domenica 15 dicembre 2013

Gaia Vitozzi attacca Guido Cabib via social network, perché?



GALLERISTA TU MI PROPONI? IO TI ACCOLTELLO VIA FACEBOOK

Gaia Vitozzi è una artista napoletana, una delle tante che esibisce il titolo di "artista" anche perché passata per la programmazione di un gallerista di caratura e di spessore internazionale.
Il gallerista in questione è Guido Cabib, negli anni novanta gestiva la galleria d'arte contemporanea napoletana di  Piazza del Gesù  "THE- Theorical Event", spazio a cui molti artisti devono molto dal punto di vista formativo e informativo, negli anni novanta non esistevano i social network e se volevi conoscere il lavoro di un artista serviva un gallerista intelligente con una programmazione illuminata, i galleristi d'avanguardia avevano la responsabilità di formare attraverso la selezione dei lavori che proponevano gli artisti delle generazioni a venire nel territorio dove operavano.
Grazie alla sua programmazione e la sua dedizione Napoli impattava negli anni novanta con artisti come Damien Hirst, Nan Goldin, Cindy Sherman e Tracey Emin, si era a Londra.
Gudo è un gallerista molto particolare, ha sostenuto con la sua presenza sul campo gli ex lavoratori Rockwool e il loro Rockbus Museum a Campo Pisano ad Iglesias, li ha conosciuti ed è stato di fatto l'unico "addetto ai lavori" che si è schierato al fianco dei lavoratori in una lotta, che è stata nel tempo dei social network, anche di comunicazione mediatica interconnessa (il video di quel giorno  è a questo link http://youtu.be/5sFH4AlEMuE).
Perché questo preambolo?
 Guido Cabib  è principalmente un ricercatore di senso dei linguaggi dell'arte e questo lo rende non amato dagli artisti in cerca di mercato e dagli addetti ai lavori convenzionali.
Arriviamo al punto: via facebook, leggo un post di Gaia Vitozzi, il cui lavoro è stato promosso e proposto da Guido, scrive sulla sua bacheca questo post,  accompagnandolo da una foto del suo lavoro photoshoppato dove punta una lama verso il gallerista-infante raffigurato come un barbuto bambino, nella versione originale del quadro Gaia autoritratta accoltellava un peluche: 
"Caro Guido Cabib, facendo un giro di telefonate, vengo a sapere che il tuo presunto deposito romano, nel quale sostieni che la mia tela in sicurezza giaccia, non esiste più dal giorno in cui chiudesti, per ragioni che ormai tutti conoscono, la sede di Roma de Changing Role.
Ora io voglio sapere, dove cazzo sta il mio quadro?
Che fine ha fatto?
Lo hai venduto in silenzio come hai fatto con altri "artisti" e ti sei, sempre in silenzio, intascato i soldi?
Io ormai non ho più nulla da perdere e se quanto sospetto è vero di quei soldi intascati silenziosamente te n'e' accattà tutte mmericine!
Alle persone che leggeranno tale post le invito a condividerlo per diffondere sta schifezza, fetenzia, presa per il culo di fatto".
Traduco per i non napoletani "te n'e' accattà tutte mmericine!" vuol dire ti dovrai comprare tutti medicinali.
Ovviamente tutto il web qualunquista e populista condanna alla pubblica gogna il gallerista, io no, penso che il vero problema del sistema dell'arte contemporanea non siano i galleristi e sicuramente non i galleristi come Guido, il demone va cercato nell'ambizione e nella voglia di fama di artisti disposti a tutto pur di vedere riconosciuto il loro lavoro.
Tento di capire e chiedo a Gaia Vitozzi come sia andata e lei mi risponde così: 
"Correva l'anno 2009, partecipai a una collettiva curata da Massimo Sgroi, a fine mostra, consigliata dalla vice di Guido Cabib che alloggiava in galleria nella sede romana, lasciai una tela e una foto, a distanza di mesi tentai di comunicare con Guido, via e-mail, cellulare, mostre, volevo recuperare la tela, lui mi narrava di questo ipotetico deposito,  sono trascorsi quattro anni, dopo un giro di telefonate scopro che il deposito non esiste, penso che la tela l'abbia venduta per racimolare soldi, visto che dopo la mostra lui dichiarò bancarotta, questo è tutto. Scusa, non ho nulla da aggiungere  sono esausta".
La tela è quella pubblicata via facebook, con l'aggiunta del volto del gallerista al posto del peluche ovviamente.
Quello che mi chiedo e vi chiedo a questo punto è: in questo scenario di forte dissesto economico e sociale il ruolo di un artista lo si può ridurre a inseguire un gallerista dopo quattro anni per riavere indietro un quadro?
Se penso che io i quadri li ho sempre abbandonati e reagalati pur di non ridurmi a questo, rispetto il lavoro di Gaia Vitozzi, ma penso che in quest'epoca d'informazione diffusa e interconnessa il sistema dell'arte non ammette ignoranza.
Contatto anche Guido che mi risponde sull'argomento in questa maniera:
"sto procedendo alla denuncia, il suo quadretto è in un mio deposito a Roma, dove lei non si è peritata mai di venirlo a prendere. Non voglio dichiarare nulla per ora, vorrei andare a Roma filmare l'apertura del deposito prelevarla e postarlo su Facebook invitandola al ritiro pubblicamente con scuse e vergogna...".
Che cosa altro aggiungere, se non che gli artisti contemporanei sembrano impossibilitati a rappresentarsi socialmente e culturalmente se non attraverso una relazione, conflittuale o meno con il gallerista? Non per colpa dell'artista s'intende, il mercato ha educato a questo sistema e la professione dell'artista si difende come può.










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