lunedì 30 settembre 2013

Il purgatorio, il 13 Ottobre


Domenica 13 ottobre 2013 ore 15

INAUGURAZIONE 

IL PURGATORIO
Somano (CN) - Via Madonna 7 B

In esposizione permanente:

Mimmo Di Caterino - Barbara Ardau - Mirko Ferrero - Enrica Borla - Giovanni Sabbadin - Pamela Fantinato - Manuela Franco - Luca Giordana - Pino Montalbano - Sam Punzina - Cinzia Farina - Natascha Auenhammer - Rosa Ubeda - Jimmy Rivoltella - Om Bosser - Sasha Zelenchevich - Silvano Bruscella - Maya Mitten - Samuele Papiro - Daniele Giustat - Stefano Simone - Erika Riehle - Kristina Ramone - Monia Mercadante - Roberto Simone - Elena Consoli - Massimo Bernardi - Matteo Rebuffa - Cinzia Mastropaolo - Franco Aleotti - Claudia Crisopulli - Mattia Moreni - Gianni Maria Tessari - Geremia Renzi - Lucia Rosano - Cristina Aldrighi - Alfonso Siracusa - Stefania Ormas - Piero Racchi - Silvia Cammarota - Gianni Depaoli - Tonia Copertino - Daniele D'Antonio - Barbara Cammarata.

A cura di: Claudio Lorenzoni
In collaborazione con: MCA Camo

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Il nome PURGATORIO nasce dal nome di un terreno degli avi, diventa il segno distintivo della casa di famiglia trasformata in un luogo dedicato all'ospitalità e all'arte.

Il Purgatorio nasce con l'obiettivo di dar vita a un luogo che sappia dare ai suoi ospiti la sensazione dell'intimità di casa ma allo stesso tempo sappia essere un luogo di incontro e di cultura.

Proprio la passione per l'arte del proprietario trova una dimensione reale in ogni area della struttura sino all'interno delle tre camere: Cimabue, Peccatori Incontinenti e Matelda.

Il Purgatorio è un luogo dove le opere d'arte troveranno una naturale e coerente collocazione, favorita dal rapporto dialettico con lo spazio abitato, con gli oggetti della quotidianità e dall'informalità con cui verranno esposte.

Il Purgatorio sara' uno spazio da vivere e scoprire che ospitera' letture, mostre d’arte, laboratori, attività culturali e didattiche, residenze d’artisti, workshop e stages.

L'entrata al Purgatorio e' gratuita.

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Info line: 3493389360 -- 3891230045
www.ilpurgatorio.com

venerdì 27 settembre 2013

Nessuno accetti l'invito di "decorare" il muro della vergogna.


Il muro della vergogna resti così come è

Come volevasi dimostrare Pinuccio Sciola non è disposto a rifare l'affresco e un opera d'arte non è rottamabile, Federico Carta è uno street artista, un writer taggatore prima che un muralista; tra la street art e il muralismo c'è qualche differenza non da poco (di contenuti politici per esempio), ma quello che mi chiedo è perché uno street artista che vive e lavora a Cagliari e che quindi produce e evolve il suo stile in presa diretta sui muri della città dovrebbe averne un altro? 
Crisa è già del territorio e al limite è da tutelare la sua produzione che già ha consegnato e consegnerà alla città, cerchiamo di non travisare le parole di Sciola, trascinati dall'onda della notizia, lui ha risposto a una domanda dove gli si chiedeva se fosse disposto a rifarlo e ha giustamente declinato l'invito dicendo che ci sono giovani interessanti come Federico Carta in giro; adesso io non so se questo diventi un invito reale, se il condominio o l'amministrazione comunale inviteranno Crisa a eseguire un murales sul luogo del misfatto, purtroppo in realtà provinciali come quella Cagliaritana tutto è possibile, per cui mi aspetto anche questo, ma mi sembrerebbe un cattivo investimento d'immagine da parte di tutti, anche per lo stesso Crisa, che in qualche maniera offenderebbe un Maestro e si renderebbe complice di tutto questo festival della noncuranza. L'occasione è invece giusta perché come artista faccia sentire il dissenso verso lo scempio compiuto e l'immagine migliore per denunciarlo è proprio la facciata asetticamente riverniciata. 
Crisa o chi per lui potrebbe "decorarla" da street artista di razza, non curante del condominio e dell'amministrazione comunale e quello potrebbe diventare il nuovo lavoro simbolo, figlio del reale dissenso, da tutelare in quanto bene pubblico e simbolico di chi non accetta tali abiure, altrimenti non si esce dalla pantomima del "vogliamoci bene" ogni qualvolta si offende il lavoro e la storia di un artista.

giovedì 26 settembre 2013

Pinuccio Sciola purtroppo indietro non può tornare...

Scrivo indignato per un ulteriore scempio culturale e artistico che la città di Cagliari vede compiersi tra il silenzio generale.
Il murales di Pinuccio Sciola in piazza Repubblica a Cagliari, “tre pietre” del 1985, murales che dava dignità artistica a una anonima facciata cieca di un anonimo scatolone popolare nei pressi del palazzo di giustizia, è scomparso!
Chi è stato il vandalo? 

Una impresa edile; tra qualche settimana il ponteggio verrà rimosso e Cagliari si ritroverà una meravigliosa parete anonima in più che si confonderà con le altre.
Leggo come il sindaco di Cagliari Massimo Zedda e l'assessore Frau pensano di potere giustificare (a norma di legge) la perdita del murales e mi verrebbe voglia di spiegare al sindaco come al suo assessore che un lavoro artistico perso è un lavoro perso che non può essere compensato da nessun altro intervento su scala urbana. 
Vorrei che comprendessero che davanti uno scandalo del genere una amministrazione comunale non può lavarsene le mani e dire: "ci attiveremo presto per fare realizzare a Pinuccio Sciola e altri artisti altri lavori su scala urbana". 
Ma di cosa stiamo parlando? 
Se quando si ragiona su arte e cultura e si liquidano problemi come quello di un lavoro patrimonio culturale di una città con l'etichetta del "tutto ha prezzo" e a un opera d'arte che vive nel territorio si pensa di poterne sostituire un altra con la stessa logica con cui si rottama una auto usata è finito tutto, è finito il linguaggio dell'arte, è finita una idea dell'arte come memoria storica di una identità. 
Un opera persa è un opera persa ed è insostituibile, ridicolo anche chiedere, come chiede qualche blogger, che il comune si scusi con Pinuccio Sciola per fargli rifare il lavoro, non si tratta un artista come fosse un bambino piccolo. 
Questa storia semplicemente imbarazzante, racconta emblematicamente quanta sciatteria e provincialismo ci sia sull'isola per quanto riguarda la valorizzazione della propria arte e la propria cultura, l'incapacità di volgere lo sguardo oltre il folklore e la tradizione, ridicolo parlare d'identità culturale e specificità di un territorio quando si bistratta e offende la voce e il lavoro degli artisti che lo animano e abitano.
Tutta la comunità isolana si è vista da un giorno all’altro depredata di un proprio valore aggiunto.
Sarebbe bastata una operazione di adeguato consolidamento a salvare il murales “Le tre pietre” di Pinuccio Sciola.
L’operazione di restauro sarebbe costata più che demolirlo da parte del condominio, ma la spesa poteva e doveva essere compartecipata da parte dell’amministrazione comunale, altrimenti a cosa servono assessori alla cultura e all’urbanistica? 
La spesa avrebbe permesso di mantenere una consolidata connotazione estetica di una delle piazze più importanti di Cagliari (era la prima cosa che mi avevano mostrato arrivato nel 2000 sull’isola); i mattoni si stavano sbriciolando e trascinandosi dietro l’intonaco, ma a cosa servono le imprese di restauro?
Il fatto irreparabile di cui si è macchiata quest’amministrazione comunale è che la città si è privata di un opera di un suo Maestro di chiara fama, vi immaginate cosa sarebbe successo in catalogna se avessero offeso in questa maniera il lavoro di Mirò o Picasso?
Fornire la possibilità a Pinuccio e ad altri non bene precisati artisti di realizzarne un'altra connota quanta ignoranza diffusa ci sia da parte di chi ci amministra su una idea dell’arte dettata non dal passeggero valore di mercato, ma come linguaggio identitario e culturale che nasce con e sul territorio dove l’artista vive e lavora.
Niente è offensivo come chiedere a un artista di rifare il proprio lavoro, alcuni artisti per appagare esigenze di mercato in passato si sono auto copiati e retrodatati e la loro immagine ancora paga per questo, De Chirico in qualche modo ne ha risposto davanti la storia dell’arte e anche davanti al suo stesso mercato; la realizzazione di un'altra o di altre opere d’arte su scala urbana non restituirà mai la ricerca pittorica di Pinuccio Sciola negli anni ottanta; aggiungo di trovare imbarazzante e poco dignitoso vedere e sentire di artisti che si stanno auto proponendo per questo, che senso ha creare quando sai che la tua opera lascia il tempo, l’amministrazione e il condominio che trova?
Visto il dato irreparabile sarebbe opportuno che qualcuno si dimettesse e che si pronunciasse a proposito anche l’assessore alla cultura, o dobbiamo immaginare di essere amministrati da una giunta a comparti stagni? Ci saranno anche delle responsabilità trasversali quando accade uno scempio del genere? Se non ci sono perché non dissociarsi pubblicamente?

Una buona amministrazione e un buon governo in una materia complessa come quella dell'arte in un territorio e una comunità, non può limitarsi a muoversi a norma di legge, o meglio può farlo, ma evidenzia in questa maniera tutti i limiti dell'amministrazione qualunque o anche peggio quando non s'interviene per tempo per limitare un danno come la perdita di un opera di un artista che ha e avrà nell'isola il suo valore culturale e storico inconfutabile; l'art.9 della costituzione da chi dovrebbe essere tutelato prima di tutto dai cittadini o da chi i cittadini li amministra e li tutela a prescindere? Questi amministratori che tacciono sulla questione e che quando parlano rivelano anche la loro pochezza sull'argomento (anche perché lavoro sarebbe stato anche tutelare e valorizzare le ricerche artistiche contemporanee piuttosto che vederle deperire senza batter ciglio) possibile che non abbiano pensato al limite a uno "strappo" del lavoro, per preservarlo e tutelarlo anche la dove il restauro in loco si fosse rivelato poco fattibile, impegnativo e dispendioso?  Questa è la stessa amministrazione che ha avuto il coraggio di acquistare una scultura installazione multiplo di Mimmo Paladino in ritardo di trenta o quaranta anni rispetto il suo mercato e la sua storia, vedendosela spedire e installare direttamente sul posto, adesso se rapporto le due cose, non mi sembra di essere davanti a una amministrazione che ha un approccio con l'arte che parta dall'interazione tra gli artisti che lo animano e vivono e la loro comunità e territorio, mi sembra imponga gusti e qualità a norma di legge se non di portafoglio e non è proprio questo il modo per creare un patrimonio artistico diffuso che racconti realmente un territorio.
Quando si è in guerra, la prima cosa che fa l’esercito invasore è depredare musei e distruggere luoghi e simboli artistici del territorio conquistato, possibile che quest’operazione a Cagliari sia consentita a un condominio da parte di un’amministrazione comunale?

Domenico "Mimmo" Di Caterino, dal sud dell'isola


(da "Cronache del sud dell'isola", di Mimmo Di Caterino, quando e se qualcuno sarà disposto a pubblicarle)

mercoledì 25 settembre 2013

Rottamare il Maestro Pinuccio?


Rottamare il Maestro Pinuccio?

Direttore caro, apprendo oggi come il sindaco di Cagliari Massimo Zedda e l'assessore Frau pensano di potere giustificare (a norma di legge) la perdita del murales di Pinuccio Sciola del 1985 "Tre pietre", mi verrebbe voglia di spiegare al sindaco come al suo assessore che un lavoro artistico perso è un lavoro perso che non può essere compensato da nessun altro intervento su scala urbana. Che davanti uno scandalo del genere una amministrazione comunale non può lavarsene le mani e dire: "ci attiveremo presto per fare realizzare a Pinuccio Sciola e altri artisti altri lavori su scala urbana". Ma di cosa stiamo parlando? Se quando si ragiona su arte e cultura e si liquidano problemi come quello di un lavoro patrimonio culturale di una città con l'etichetta del tutto ha prezzo e a un opera d'arte che vive nel territorio si pensa di poterne sostituire un altra con la stessa logica con cui si rottama una auto usata è finito tutto, è finito il linguaggio dell'arte, è finita una idea dell'arte come memoria storica di una identità. 
Un opera persa è un opera persa ed è insostituibile, ridicolo anche chiedere che il comune si scusi con Pinuccio Sciola per fargli rifare il lavoro, non si tratta un artista come fosse un bambino piccolo. Questa è semplicemente imbarazzante, racconta emblematicamente quanta sciatteria e provincialismo ci sia sull'isola per quanto riguarda la valorizzazione della propria arte e la propria cultura, l'incapacità di volgere lo sguardo oltre il folklore e la tradizione, ridicolo parlare d'identità culturale e specificità di un territorio quando si bistratta e offende la voce e il lavoro degli artisti che lo animano e abitano.
Ph del blogger Vito Biolchini


martedì 24 settembre 2013

Con-cave and Con-vex



Tutte le foto della performance stradale qui: Concave and Convex

Il Comune di Cagliari cancella Sciola!


SCIOLA CANCELLATO

Direttore carissimo, al solito scrivo indignato per un ulteriore scempio culturale e artistico che la città di Cagliari vede compiersi tra il silenzio generale.
Il murales di Pinuccio Sciola in piazza Repubblica a Cagliari,  "tre pietre" del 1985, murales che dava dignità artistica a una anonima facciata cieca di un anonimo scatolone popolare nei pressi del palazzo di giustizia, scomparso!
Chi è stato il vandalo? Una impresa edile, tra qualche settimana il ponteggio verrà rimosso e Cagliari si ritroverà una meravigliosa parete anonima in più che si confonderà con le altre.
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Ecco com’era il murale. Foto recuperata via web dal blogger Cagliaritano Vito Biolchini
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Da questa immagine si vede il murale coperto da uno strato di vernice. Ph Vito Biolchini
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Mi chiedo: Il Comune come può autorizzare la distruzione di un Maestro come Pinuccio Sciola, simbolo della ricerca artistica contemporanea in Sardegna nel nome di lavori di rifacimento di una facciata?
L'opera aveva un valore estetico prima che storico, commissionata da “La Rinascente" quando il palazzo di via Roma era interessato da lavori di ristrutturazione e a Milano si era deciso di aprire una piccola sede in città. 
Che assessore alla cultura è quello che in nome del pubblico distrugge opere d'arte ritrovatesi in casa per caso per merito di un committente privato a costo zero? Non capisco, sembra che per questa giunta l'arte abbia valore solo se effettivamente a carico del contribuente.

giovedì 19 settembre 2013

Priamo Pinna per la Tavor Art Mobil


Giugno 15 – Gennaio 16

“Existential Travels” di Lucilla Esce, Priamo Pinna e Paolo Cervino

Wifredo Lam, Rufino Tamayo, Ennio Calabria, Iti, Giancarlo Cazzaniga,Giugno 15 – Gennaio 16


lunedì 16 settembre 2013

I libri sanno volare.

 Il comunicato stampa emesso dalla Camera del lavoro di Milano in occasione della mostra I libri sanno volare.
La mostra raccoglie impressioni e opere di artiste e artisti professionisti e di donne che, nella Casa circondariale di San Vittore, hanno partecipato al laboratorio sul libro d'artista organizzato dalla CGIL di Milano.
In allegato anche un'immagine relativa ad uno dei libri d'artista che saranno esposti in mostra.
Si precisa che i  nomi e i cognomi di autori e di autrici saranno a breve  indicati in ordine alfabetico evitando la suddivisione tra professionisti dell’arte e non.
Antonella Prota Giurleo
 


      con il patrocinio di                 
 Ministero della Giustizia
                 Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria
                     Provveditorato Regionale per la Lombardia
                               Ufficio Detenuti e Trattamento
   Unità Organizzativa del Trattamento



COMUNICATO STAMPA


Mostra: collettiva di libri d’artista
Titolo: I libri sanno volare
Sede  Spazio espositivo della  Camera del lavoro di Milano.
Indirizzo: Corso di Porta Vittoria 43. Milano
Inaugurazione: 1 ottobre 2013 dalle ore 17 alle ore 19
Durata: sino all’11 ottobre
Orari: dal lunedì al venerdì dalle ore 8 alle ore18
Informazioni:  Paola Bentivegna, Segretaria della Camera del lavoro di Milano,  

Antonella Prota Giurleo, artista e curatrice, 347 03 12 744 a.protagiurleo@email.it

Una parola inventata, Librartarsi, restituisce il senso del progetto I libri possono volare, progetto che vede la sua naturale conclusione in questa mostra presentata alla Camera del Lavoro di Milano.
Librartarsi, ribaltare cioè il proprio futuro attraverso l’arte e il libro. Ma anche, attraverso arte e letteratura, librarsi, volare alto,  come possono volare le idee che i libri e le opere d’arte offrono a chi ad esse si rivolge.

Il progetto ha previsto tre fasi:
.  una  mostra di libri d’artista creati da artiste ed artisti realizzata nella biblioteca della sezione femminile della Casa Circondariale di San Vittore a Milano
.  un laboratorio nel corso del quale le donne detenute sono state invitate a creare un proprio libro d’artista
. la realizzazione della mostra odierna

Il libro d’artista si ispira al concetto di libro, assumendone spesso, ma non necessariamente,  la forma. Generalmente si tratta di un’opera unica o di un’edizione a bassa tiratura, ovviamente numerata, firmata e datata.
Diverse artiste ed artisti, molte detenute ed alcuni detenuti hanno realizzato libri in forma di fisarmonica, rotoli, scatole o altri oggetti che raccolgono pagine quando non fogli volanti o assemblati nelle modalità più varie.

Utopia e concretezza, volare alto e agire nel concreto sono gli elementi che hanno dato origine al progetto e caratterizzato i diversi momenti di lavoro.
Elementi che, pur non potendo essere compiutamente rappresentati,  appaiono nella documentazione fotografica realizzata da Mirko Bozzato e da Monia Di Santo, nelle opere esposte e nel cofanetto che racchiude le impressioni verbali e visive di chi ha dato vita e forma al progetto.

Nel corso dell’inaugurazione interverranno Graziano Gorla, Segretario generale della Camera del Lavoro di Milano; Gloria Manzelli, Direttrice della Casa circondariale di San Vittore; Paola Bentivegna, Segretaria della Camera del lavoro di Milano; Antonella Prota Giurleo, artista e curatrice; Mirko Bozzato e Monia Di Santo, fotografi; artiste e artisti professionisti; donne che hanno partecipato al laboratorio artistico a San Vittore.

In mostra resteranno esposte per tutto il tempo previsto le fotografie;  i libri d’artista, pezzi unici da tutelare, saranno visibili in occasione dell’inaugurazione e di visite guidate concordate con Antonella Prota Giurleo.



Lo squillo installato


Le suonerie dei cellulari. Che colgono di sorpresa, quando sei in mezzo alla gente. Mi infastidisce il solo pensiero, forse perchè la mia generazione ed io non ci siamo mai abituati davvero al cellulare. Andavamo nelle cabine a gettoni, oppure si chiamava da casa a casa. Molti pensieri a proposito di come hanno cambiato l’idea di essere individuo e non parte di una famiglia, di una struttura che ha un numero di telefono ma diverse persone che possono rispondere a quel numero. E poi: la suoneria, quale. Musichette, vibrazioni, ora con i nuovi cellulari veri e propri brani musicali. Guardo a chi corre la mano in tasca. Ha scelto quella suoneria. E’ come se per un istante al suo abito si aggiungesse qualcosa. Avrei mai detto che quel personaggio avrebbe usato quella musica piuttosto che un’altra? Non la trova imbarazzante? Lo squillo del cellulare è come un moto vocale incontrollabile, che per un attimo dice a tutti quelli che sono a portata di tiro chi siamo. ll pigolio di un uccello che prima era nascosto tra i rami, ed ora si è rivelato. Allora alziamo lo sguardo, e cerchiamo di scorgere quale razza di volatile sia, che emette quel verso. Per questo, la mia ultima installazione, The Heap, ha un cellulare incorporato, che è possibile chiamare, far squillare a distanza, mentre è esposta.



giovedì 12 settembre 2013

AV-MEMOS



maggiori informazioni QUI

Le cluster bomb degli addetti ai lavori attentano ai linguaggi vivi dell'arte contemporanea

Le cluster bomb degli addetti ai lavori attentano ai linguaggi vivi dell'arte contemporanea

"Alla fine dell'epoca web 2.0 la "scena" della ricerca artistica contemporanea era connessa alla dimensione locale dell'artista e del suo percorso di sviluppo sulla scena, non più semplicemente locale ma translocale e virtuale.
 La "scena operativa" era la base dalla quale sviluppare linguaggio distribuito attraverso i social network, questo era il primo pubblico dell'artista, pubblico di reali appassionati ai processi dell'arte, non aveva più ragione di essere la dicotomia tra off line e on line, non aveva più senso distinguere tra reale e virtuale, l'ambiente operativo era unico, qualcuno continuava a chiamarlo erroneamente subculturale, in realtà era un nodo di un altro sistema parallelo dell'arte, costituiva la reale dimensione interiore alternativa e distinta dal mainstream che di fatto aveva cessato di essere e si era ridotto a rappresentare una finzione, quello che connotava realmente un artista era la sua scena, gli dava una identità, l'appartenenza a una comunità; la rappresentazione dell'altro sistema era fatta di particolari luoghi che costituivano un particolare campo di produzione artistica, era fatta di produzione e consumo di arte in uno specifico ambiente e contesto.
 Erano proprio le caratteristiche sociali e culturali del contesto "scena" che formano linguaggi e nodi operativi dell'altro sistema, le interazioni e le attività quotidiane di chi viveva la scena e dava forma e rappresentazione visiva  al suo ambiente; la fruizione del linguaggio dell'arte era così immaginata e diffusa collettivamente all'interno di uno spazio specifico; la relazione artista-pubblico si creava all'interno della sua performance di vita che era fondamentale nel costituire un fulcro della formazione della scena; velocemente circolavano informazioni, consigli, gossip, passaparola, pubblicazioni che incrementavano la conoscenza diffusa dei linguaggi dell'arte e la stessa scena dell'altro sistema, era la vita dell'artista a distinguere tra il dentro e fuori la scena dell'altro sistema ad attestare che la scena locale e quella virtuale interconnessa erano un unica scena.
 La vita dell'artista nella scena dell'altro sistema dell'arte era autentica, era quello che ricreava una rappresentazione autentica di sé, superava la retorica degli addetti ai lavori che depredavano spazi in nome del mercato globale, erano potenzialmente finiti. erano finti, bastava contrapporre reale e virtuale per smascherarne la pochezza e la bassezza.
L'artista on line e l'artista off line, quando era reale aveva una unica immagine che si legittimava a vicenda tra reale e virtuale, fruiva, commentava e condivideva i suoi prodotti e contenuti formativi e mediali, manipolava e promuoveva, mutava la relazione tra il suo prodotto e il pubblico, il punto di contatto non poteva e non doveva essere l'addetto ai lavori; come il suo fruitore era fluido e flessibile, una particella di un superflusso; ma non era detto che la sua ricerca vitale avesse la meglio davanti alla storia del suo tempo, le spinte dal basso facevano in modo che proprio la sua scena e il suo altro sistema  fossero il territorio ideale di cui si nutrivano sciacalli e squali "addetti ai lavori", studiavano il cambiamento e calavano dall'alto finti prodotti e finti artisti, che erano quelli più condivisi on line, qualche dichiarazione shock, qualche lavoro forte e il sistema specializzato attraverso il linguaggio omologato dei media di massa, sganciava le sue cluster bomb, in questa maniera si prolungava la visibilità di finti artisti dai falsi contenuti imponendoli a un pubblico sempre più vasto inquinando l'ambiente e la stessa scena dell'altro sistema con il suo pubblico".

(Da "Oltre il sistema", quando troverò un nuovo editore disposto a pubblicarlo a sue spese, ma quando?)


mercoledì 11 settembre 2013

La fine dei siti specializzati d'arte contemporanea?

La fine dei siti specializzati d'arte contemporanea?

"La fine del tempo web 2.0 riconsegnava all'artista la possibilità di rimodulare la sua esistenza e formare e formarsi con l'esistente un flusso di linguaggio in divenire, poteva elaborare con altri artisti ambienti e luoghi comuni che non omettevano e escludevano mondi e linguaggi di altri artisti, lo spazio per i linguaggi artistici diventava illimitato e non selezionato o vincolato dal ristretto spazio del mercato che a cadenza regolare riscopriva artisti ignoti a decessi avvenuti.
 L'utopia di un altro sistema diffusivo reale dell'arte contemporanea e delle sue ricerche diventava possibile, la questione da affrontare era come usare il web? Come una casa o come una tana?
 Una casa ospitale aperta alla diversità era la soluzione, una alterità di linguaggio non poteva essere considerata tra artisti come una minaccia alla libertà, quando e se questo succedeva ci si allineava acriticamente alla cultura dominante.
La possibilità relazionale dell'artista si era ampliata, ma a cosa serviva se non si sapeva ascoltare e parlare il linguaggio dell'arte?
 Bisognava smetterla di scodinzolare all'unisono quando rimbalzava il parere di qualche addetto ai lavori, non si stava operando più in uno spazio ristretto di sistema.
Si poteva osservare il lavoro dell'altro, leggerlo, assumersi la responsabiltà diretta degli effetti del proprio linguaggio, poteva essere un testimone del proprio tempo in relazione con altri, da quanto tempo non succedeva? Dalla fine dell'ottocento? Legittimamente poteva tornare a sfidare il quieto vivere in nome del vissuto condiviso, il social network poteva emanciparlo, gli consentiva la sua auto rappresentazione pubblica, gli riconsegnava un ruolo andato perduto, gli riconsegnava la sua immagine davanti al pubblico, il suo pubblico, autoselezionato e  più o meno ampio e diversificato.
Per la prima volta, nella sua storia sociale, l'artista aveva davanti a se, in diretta, in real time, senza filtri e intermediari un pubblico illimitato nel potenziale.
 Lo volesse o no, questo cambiamento in atto era già un altro sistema dell'arte, era mutato l'ambiente operativo del suo agire, in questo contesto nuovo bisognava rinegoziare il proprio ruolo e la propria professionalità.
Il web degli "addetti ai lavori" era morto, vano si era rivelato il tentativo di creare piattaforme per "addetti ai lavori", poco potevano davanti il diretto scambio d'informazioni tra artisti, bastava quello a squalificarli, era impossibili limitare o arginare la diffusione di un altro sistema, si era passati a operare in autonomia su piattaforme condivise, i siti specializzati erano stati marginalizzati e ridotti a essere un bollettino inascoltato degli addetti ai lavori per loro stessi".

(da "Oltre il sistema", quando lo pubblicherò, magari, un giorno)


Delle volte ritornano: il segno al tempo dei social network

A volte tornano, certi segni abbandonati o regalati tornano incorniciati e partecipati, con relative domande per comprenderli, vi rendo partecipi:

Domanda:
"Francia: no alla precarietà" può essere inteso come un grido di protesta nei
confronti dei diritti dei lavoratori in un Paese in cui questo diritto è
tutelato
dalla Costituzione ma non viene rivendicato?




Risposta:


Si ma non solo, questo disegno è antecedente all'esplosione di una crisi
economica strutturale che ha finito per rilevare quello verso cui si
stava andando da tempo, già negli anni sessanta settanta Toni Negri nella
sua "Critica alla forma Stato" evidenziava come in realtà le lotte operaie
fossero dettata dalla voglia di capitale del lavoratore piuttosto che da
una reale condizione di classe, insomma prima consumatore e poi
lavoratore. Il cittadino globale (non solo quello Italiano) all'epoca del
lavoro era davanti a una progressiva perdita di diritti sociali e
culturali acquisiti in nome di un abbraccio mortale nei confronti di
scelte politiche dettare più che dalle classe dirigente e politica di un
paese da flussi di mercato e di capitale che si muovono sul cittadino a un
livello superiore anche della possibilità della stessa classe politica,
questa cosa la si era vista chiaramente a Genova nel Luglio del 2001, nei
miei anni di formazione artistica sono stati fondamentali i movimenti
sociali anni novanta, mi sono formato in un centro sociale napoletano
(Laboratorio Okkupato s.k.a.) e tendenzialmente cerco di raccontare
l'insieme dell'umano e dell'umanità piuttosto che il particolare o meglio
il particolare diventa una fessura che ti consente di avere uno sguardo
globale sulle cose, si tratta di un lavoro certamente critico, nel senso
costruttivo del termine, senza critica non c'è percorso e processo
progettuale e senza progetto non c'è senso nella vita come nella ricerca
di un artista.




Domanda:


"Sacchi a pelo e thè: la corsa alle quote di 900 mila immigrati" Diritti dei
lavoratori ma anche diritti degli immigrati ad assicurare sia a loro che
alle loro
famiglie un'esistenza libera e dignitosa posso interpretarlo così?


Risposta:
Si, l'ottica progettuale è la stessa, è un punto di vista sul mondo e su
un ambiente che sia realmente accogliente e interconnesso, alla didascalia
si accompagna uno stilema che mi rappresenta in preghiera e con il naso
lungo, il naso lungo nelle antiche culture primitive era un simbolo di
fertilità sessuale, dalle nostre parti questo suo significato sessuale è
stato molto addolcito da Collodi di pinocchio, dove a ogni bugia detta
alla fatina il naso si allungava proprio verso la fatina, insomma prego e
depredo, professo e aggredisco, prego per te e mento per te, giocavo con
delle ambivalenze simboliche e una serie di ipocrisie politiche che
portano spesso ad allontanarci dalla realtà e dalla reale visione delle
cose; l'immigrato è un nemico? Perché? Nel mondo della scuola a esempio se
non ci fossero gli immigrati molto personale risulterebbe essere inutile,
l'indice delle natalità nelle famiglie italiche è in calo da un una
ventina di anni, eppure in certe realtà del nord Italia le classi sono in
aumento proprio per il fenomeno dell'immigrazione, nel sud Italia e nelle
isole avviene invece l'opposto, perché in cerca di un posto di lavoro a
volte si emigra con tutta la famiglia, delle volte proprio verso il nord
Italia o paesi comunitari europei trainanti come la Germania, insomma,
anche in questo caso il motore del tutto sembra essere il mercato e
l'economia piuttosto che scelte politiche responsabili, quasi come se
l'umano e il politico per resistere a se stesso fosse costretto a mentire.

martedì 10 settembre 2013

Deus ex machina


Il mondo è pieno di macchine, con le quali interagiamo. Macchine che captano la nostra volontà, che la interpretano, che compiono un gesto per noi fino in fondo, quando a noi spetta solo il compito di iniziarlo. Vogliamo passare attraverso una porta, ci accostiamo, e la porta automatica si apre. Queste macchine completano l’azione. Sono fatte per far sì che io deleghi ad una macchina parte di quello che avrei voluto fare io. Ricordarmi il compleanno di qualcuno: ci pensa Facebook. Dunque, parte della mia mente non è solo più nella mia scatola cranica, ma fuori di essa. La mente ora è espansa. Esistono poi macchine che richiedono una chiave, per fare qualcosa. Sono dormienti, e ad un certo input preciso rispondono in qualche modo. Il numero di cellulare del mio migliore amico, lo digito e la macchina compone il numero. La password della mia casella di posta. Queste macchine verificano che io sia io, cioè è delegato a loro il mio riconoscimento, parte della mia identità. Aspettano me, mi riconoscono e completano l’azione, oppure mi danno informazioni, solo se io attivo quella certa parte di me fuori di me. Sarebbe riduttivo dire che io sono solo contenuto dalla mia pelle. Sono molto fuori, in luoghi che nemmeno so.

B.A.R. L.U.I.G.I.


Tavor Art Mobil, route n.10: Autunno al B.A.R. L.U.I.G.I.

Route n.9 http://youtu.be/YkefYQbnphk

13 Ottobre – Dicembre 

Walter Santoni con I suoi segni grafici che simulano lo scarabocchio infantile ma raccontano disagi esistenziali maturi di età ipermoderna;,Michele Melis “Ozzo” (MUD, Stay on fango) e la sua idea di arte come espressione che si mostra all’apparire;  Nicolò Rizzo e la sua pittura di matrice Turneriana che fonde ricerca astratta e naturalista figurativa,; Michelangelo Paone e la sua idea di imagine “cinematografica” pura; Pierpaolo Mameli e la sua idea di pittura sciamanica gestuale; Nicola Piscopo ci ricorda delle tasse che dobbiamo e dovremo pagare in tempi di crisi economica globale per sanare un debito insanabile; Mario Pischedda present il suo lavoro editoriale (Tap roul) che racconta come cambia l’idea del sapere diffuso in movimento al tempo del web 2.0; Grafiche d’Assalto è un progetto di grafica militante;  Cristina Cherchi riflette su un automibile in movimento da una automobile in movimento;  Rosanna Rossi propone dei frammenti complementarsimo congenito; Santini Del Prete indagano  I territori della non arte; Margherita Levo Rosenberg con le sue forma geometriche plastiche alla base del tutto; Silla Campanini con la sua pittura cromaticamente materica; Enza Voglio con I suoi fotogrammi dell’interiore e Marco Lay con le sue intense cartoline di un vedutista che lavora con smalti.



Artisti passivi figli del pensiero comune

Artisti passivi figli del pensiero comune

"Alla fine del tempo del web 2.0 l'artista aveva paura di autodeterminarsi, cercava ancora il sostegno e la protezione degli "addetti ai lavori", desiderava rintanarsi in case e salottini chiusi di commercianti privi di scrupoli culturali agli arresti domiciliari dei linguaggi dell'arte.
 Il suo problema era nitido, temeva di rivelare ciò che era, un individuo banale, superficiale, dal linguaggio scarno e volgarotto, privo di contenuti, incapace d'indurre ragionamenti a partire dalla sua ricerca di arte e di vita, si trattava di una vittima, cosa gli avevano spacciato per arte fino a quel momento?
 A quel tempo, quando l'artista comunicava in prima persona doveva sapere valutare l'effetto del suo comportamento comunicativo, della sua ricerca linguistica, non poteva ignorare di "essere con", doveva assegnarsi una etichetta e il web mirava proprio a quello, a metterlo in una condizione di limitarsi da solo, a fargli ridurre gli eccessi espressivi propri della sua struttura individuale a partire dalla quale elaborava il linguaggio, insomma per esistere e lavorare doveva essere un contenitore vuoto e il web lavorava per lui, tutto nel suo interesse s'intende, bisognava evitare di essere destabilizzanti per l'armonia del gruppo.
 Paradossalmente l'autocensura colpiva proprio gli artisti figli della cultura collettivista, erano preoccupatissimi del fatto che la loro comunicazione fosse e restasse bene comune, che lo fosse così tanto da arrivare anche a rinunciare a loro stessi e alla loro espressività, ragion per cui non risparmiavano secchiate e valanghe di merda su altri artisti  che ancora riuscivano a articolare il senso del loro lavoro.
Sui social network fioccavano gruppi e progetti artistici, questo con la passività degli artisti stessi, non facevano neanche caso a dove fossero iscritti o forse per comodo evitavano di farlo, in fondo dichiarare di "essere con" poteva portare pericolosamente ad alimentare conflitti e il web era feroce in questo, il critico veniva allontanato senza pietà e criticato privo del diritto di replica, importante era piacere e arrivare a quante più persone fosse possibile senza contrapporsi e dividersi, vietato era pronunciarsi su argomenti tabù come politica, sesso o religione, si rischiava di consegnare la storia del tempo al cataclisma, la moltiplicazione quotidiana della banalità dell'arte, banali diventavano anche i non allineati e dilagava l'omertà artistica, non si affrontavano più questioni controverse, neanche al bar, si temeva che qualcuno potesse "condividere" una opinione, si eclissavano tematiche importanti dal punto di vista umano e esistenziali, tematiche sulle quali era fondata l'arte come lingua comune.
L'artista in maniera anche peggiore che nei vecchi mezzi di comunicazione di massa stava correndo il rischio di accettare passivamente il fatto che esprimendo una posizione con il suo lavoro e la sua ricerca poteva minacciare la libertà dell'altro, anche quando l'altro era un "addetto ai lavori" che lavorava contro di lui; rischiava di passare una esistenza a esprimersi con un arte che realmente non doveva parlare e dire nulla, priva di posizione o di valutazione, in fondo a cosa servivano gli "addetti ai lavori" pagati e remunerati dal suo patire, se non per combattere la sua guerra?".

(da "Oltre il sistema dell'arte", quando e se troverà un editore disposto a pubblicarlo a spese sue)

lunedì 9 settembre 2013

Oltre il sistema dell'arte

"Alla fine del tempo del web 2.0 l'ambiente interconnesso costituiva l'unica possibilità per l'artista di di sfuggire a quella schizofrenia bipolare che gli avevano sapientemente distillato le forme di controllo dei media di massa, anche attraverso i canali dell'industria culturale e omologate monografie di artisti.
 La possibilità che aveva era quella di potere tornare a essere lui un fatto mediatico, permanentemente interconnesso, in grado di riconciliare essere e apparire, aveva finalmente la possibilità di negare attraverso la reale struttura della sua ricerca e del suo linguaggio il suo stesso essere, ridotto fino a quel momento a essere assorbito dal tampax dell'apparire, proposto da faccendieri e intermediari vari e vani.
Poteva finalmente costruirsi da sé la sua rappresentazione apparente che rimandasse alla sua reale essenza.
Poteva affermare che attraverso la sua opera, anche quando era off line, il suo essere era on line".

Da "Oltre il sistema dell'arte", quando e se verrà pubblicato


sabato 7 settembre 2013

L'unico artista buono è un artista morto?


PER L'INFORMAZIONE DI MASSA, L'UNICO ARTISTA BUONO è UN ARTISTA MORTO?

Scrivo in merito alla tragedia delle due artiste Cagliaritane Sara Onnis e Michela Delle Cave, sperando di non essere frainteso e turbato per l’accaduto ma forse anche di più per come i mezzi di comunicazione di massa (o di messa?) hanno come al solito risposto.
Non conoscevo le due artiste e il lavoro delle due artiste, pur lavorando e operando nel loro stesso territorio, ma degli amici in comune, via facebook , mi avevano consigliato di recarmi al Bastione di Cagliari per osservare questa installazione shock di cui si parlava a dire il vero da qualche tempo, la sera dell’inaugurazione c’è stato un nubifragio e il resto della storia la conosciamo bene, spettacolo e performance shock rimandata e epilogo tragico annunciato con relativa missiva, Michela Delle Cave è stata salvata all’ultimo momento dalla forestale.
Questa storia mi sembra nella sua linearità, molto simile nel modello di arte e vita e anche nel relativo triste epilogo a quanto successo nel Marzo 2008 a Pippa Bacca e Silvia Moro, entrambe vestite da sposa e partite da Milano dovevano attraversare 11 paesi Europei e Medio Orientali teatri di conflitti, economici, politici, culturali e sociali,  “Spose in viaggio” recitava la didascalia del progetto performance delle due.
Pippa Bacca è stata violentata e  uccisa a Instanbul dopo essersi separata dalla compagna di viaggio e di percorso di arte e di vita (avevano fino a quel momento attraversato insieme vestite da sposa Slovenia, Croazia, Bosnia e Bulgaria, si sarebbero dovute ritrovare a Beirut per proseguire ancora insieme verso Giordania, Israele e Palestina), nella loro idea, questa loro performance e azione artistica avrebbe in qualche maniera celebrato il ruolo della donna nei luoghi del conflitto (uomo?), il vestito da sposa sporcato durante il viaggio e il relativo lavaggio dei piedi delle ostetriche erano l’omaggio a  chi nei luoghi teatro dei conflitti globali, nonostante tutto, aiutava a fare nascere vite e speranza.
Nel 2008 mi indignai per come l’industria giornalistica e l’informazione di massa scoprisse il lavoro di queste due artiste ignorato fino a quel momento anche dall’atteggiamento utilitaristico ed egotico di certi addetti ai lavori.
La performance-installazione di Michela Delle Cave e Sara Onnis  “Donne a pezzi” toccava un argomento delicatissimo  come quello del femminicidio (che ha visto vittima la stessa Pippa Bacca),  Sara Onnis come  Pippa Bacca cercava di arrivare a comunicare tensione e messaggi vitali attraverso l’arte e la sua ricerca e la sera del loro suicidio avrebbero dovuto donare o lasciare in giro per la città un manichino fatto a pezzi infiocchettato con nastrini rosso sangue, insomma volevano donare la tragedia, se fosse anche la loro tragedia esistenziale non lo so e rispettando il loro dramma e il loro suicidio annunciato ai familiari non voglio e non sono in condizione di commentare questo, Michela Delle Cave è fuori pericolo e questo mi fa piacere, ma quello che mi chiedo è questo rituale intimo e sacrificale era da deporre sull’altare di cosa?
Cosa spinge chi ama e si occupa praticamente di processi e linguaggi dell’arte ad arrivare fino a tanto? Che ruolo ha in tragedie come questa l’informazione e la divulgazione di massa? Quanti artisti invisibili e signori nessuno devastati si tolgono la vita anche lentamente perché uccisi dall’invisibilità di cui sono colpevoli in gran parte gli addetti ai lavori e anche il giornalismo d’arte e le pagine di cultura dei quotidiani che si limitano a promuovere il politicamente corretto o sponsorizzato? Non conoscevo il lavoro di Pippa Bacca e di Silvia Moro e neanche quello di Michela Delle Cave e Sara Onnis, adesso attraverso il suo quotidiano so tutto di loro, so che si voleva shockare per imprimere un vero messaggio diretto so che si sono tolte la vita in una Ford Fiesta bianca sulla costa di Cala Regina, che Sara ha inalato gas direttamente dal tubo di una delle due bombole e Michela non direttamente e per questo si è salvata ed è fuori pericolo, so che tutti gli articoli delle tre pagine del suo quotidiano che mi raccontano addirittura quante palme avessero in casa o a chi volessero lasciare il cane sono firmate a riproduzione riservata, ma mi chiedo e chiedo a voi addetti ai lavori e all’informazione di massa, perché arrivare a tanto? Perché spingere delle vite, delle intelligenze, delle persone, delle sensibilità d’artista ad arrivare a tanto per fare arrivare un messaggio?
Questo mi turba nel profondo, ci saranno altre Pippa Bacca e altre Sara Onnis, ci sono ogni settimana e ogni giorno, soffrono in silenzio e scompaiono anche da un giorno all’altro senza che nessuno se ne accorga, perché il condimento della storia non è così perfetto monograficamente come in questi casi.
Mi turba che non si informi e non si relazioni prima, quanto più è possibile sulle ricerche artistiche diffuse in un territorio, mi turba che sia proprio l’industria culturale, giornalistica  e artistica di massa a spingere sensibilità artistiche verso l’isolamento facendole sentire diverse e/o rifiutate, mi turba che dopo delle tragedie annunciate lo show business mediatico si catapulti come un avvoltoio sulle vite di queste artiste e le cominci a chiamare ARTISTE senza ombra di dubbio (cosa che senza la tragedia non avrebbe mai fatto), mi turba vedere spuntare notizie relative alla loro azione artistica non divulgate qualche giorno prima, ma si può? Mi turba che sembri per l’informazione di massa che oggi nel 2013 l’unico artista buono debba essere per forza un artista morto, ma questa è cultura diffusa? Questa è una società realmente a cultura diffusa? Sembra che ci sia tutto un sistema diffusivo e informativo indotto che spinga tacitamente gli artisti outsider a gesti estremi come questi per farli a vita post morte insider.
Spero di non essere frainteso, sono veramente addolorato per quanto è successo e qualsiasi sia stata la dinamica che ha innestato tale scenario sono delle vittime sacrificali, anche se ripeto, non capisco quale sia l’altare sul quale si siano immolate, basterebbe poco a evitare queste tragedie annunciate, evitare un pessimo giornalismo clientelare mascherato da critica intellettuale, curiosare e proporre il lavoro degli artisti, riassegnarli simbolicamente un reale ruolo sociale anche attraverso i media di massa, diffonderne la voce diretta priva di filtro e intermediazione e invece tutto resterà come prima, soliti noti sulla pagina della cultura e l’ignoto invisibile destinato a diventare noto e sbattuto e catapultato ovunque solo dopo il decesso tragico e spettacolare dell’artista, tutto questo mi sembra sciacallo, un gioco di riflessi misero dove l’informazione di massa esclude la massa se non per consegnarle simbolicamente una vittima sacrificale che esclusa, forte della propria diversità, non vuole essere.

Con affetto e stima,
Domenico “Mimmo” Di Caterino

 La mia posizione al tempo del decesso di Pippa Bacca e il relativo commento del Direttore di Flash Art Giancarlo Politi e le sorelle di Pippa Bacca.