venerdì 31 ottobre 2014

T.A.M. Cagliari nr.36 # Mariano Bellarosa "Icone".




"DUE GIORNI DOPO" di G Angelo Billia

Se questi scioperi , così tempestivi, ma pur sempre locali, fossero stati nazionali, al momento in cui il primo posto di lavoro è stato messo in discussione, Renzi-Napolitano e il padronato non avrebbero avuto qualche problemino in più a fare ciò che vogliono? Va bene che oggi ha preso una manganellata, ma Landini era segretario anche quando le manganellate le prendevano altri.

DUE GIORNI DOPO  di G Angelo Billia

Dunque, sciopero generale FIOM a novembre, concertazione fra sindacati (rigorosamente istituzionali) e la Polizia, per la gestione “della piazza”.
A corollario Camusso chiama il Governo a ripensarci: 

"senza di noi (le dirigenze sindacali), non ci riuscite a fare quel che volete. 
Non la sfiora il fatto che la maggior parte del progetto annientamento diritti è già passato grazie anche alle sue scelte".
Intanto Renzi incontra il Napolitano del: "giusto ciò che si fa, ma bisogna fare altro".
Là dove altro vuol dire che, il regime deve andare fino in fondo nella svendita dei diritti dei lavoratori e nel processo di annientamento delle garanzie democratiche.
Nel clima del vogliamoci bene perché tanto facciamo ciò che vogliamo, Renzi “concede” un incontro, che chiederà al burocrate europeo capo, cioè la Merkel, per definire quanti lavoratori si licenzieranno nel bel paese.
Il tutto avviene mentre l’ISTAT, con gli eufemismi abituali, comunica che il 28% degli italiani è sulla strada che conduce alle mense di carità.
Si rendono evidenti alcune questioni, implicitamente contenute nel quadretto appena delineato.
La dirigenza dei sindacati istituzione, si appresta ad assumere il ruolo di cane da guardia del regime, in modo formale, accollandosi anche il cosiddetto ordine pubblico. 

La cosa avverrà nel modo più tradizionalmente consono a siffatti dirigenti, strumentalizzando i lavoratori. 
Se non fosse così non si spiegherebbe l’annuncio odierno dello sciopero generale nazionale, sciopero che doveva essere indetto anni fa, non appena è divenuto chiaro ciò che stava accadendo sul fronte della ristrutturazione capitalistica, di fronte alla quale, invece, la triade non ha trovato di meglio che rendersi garante con l’accordo sulla rappresentanza.
Questo modo di procedere “sindacale” consegna al regime, mani e piedi legati, centinaia di migliaia di lavoratori, che a questo giochetto concertativo non ci stanno. 

E’ evidente che il controllo della piazza concertato diviene una priorità, soprattutto quando ad occuparla saranno propaggini di quel 28% messo dal regime ai margini della vita.
Non servono profeti per prevedere ciò che accadrà: tutto ciò che sfuggirà al viatico confederale in termini di gestione di ulteriori ridimensionamenti occupazionali, di riduzioni di salario e quant’altro, finirà nel tritacarne della repressione più dura, fino a che, pacificate le ribellioni, il regime avrà mano libera anche con gli illusi affidati alle cure della dirigenza sindacale. 
Tranquilli, non è la prima volta che vediamo dirigenti dei lavoratori passare armi e bagagli dalla parte dei padroni. 

L’importante è ricordare come sono finiti storicamente.




MIRACOLO!

Il governo del regime, attraverso il Sig. Polletti (ma non solo), è stato toccato dalla grazia divina. Risultato: anche la matematica si piega alla legge del padrone.
Per voi, inetti comuni mortali, uno più uno fa due, non per lui e chi come lui è stato unto. Per loro uno più uno fa due meno meno.
Così si spiega l’aumento della disoccupazione e degli occupati.
Ecco l’arcano: “i disoccupati sono aumentati solo perché sono diminuiti quelli, sempre disoccupati, che non cercavano neppure più lavoro”.
I tapini, nella loro astuta dabbenaggine, non si rendono neppure conto di smascherare i ritocchi arbitrari al ribasso sul numero dei disoccupati reali.
Va tutto bene, un regime come questo non può puntellarsi ad altro che alla metafisica per giustificarsi.

BASTARDO!

Perdonatemi, non eccedo quasi mai, ma quando ci vuole…
Dunque, Barroso, noto microcefalo al servizio del capitale europeo, nonché ispiratore dei microcefali nostrani, a commento dell’accordo per la fornitura di gas russo all’Ucraina ha detto: “nessuno in Europa avrà motivo di stare al freddo quest’inverno”.
Ha omesso di dire: a parte quelli che non se lo possono permettere, in Italia il 28% della popolazione, sempre ammesso che i numeri non siano stati manipolati al ribasso.
Datemi pure dello scurrile.


giovedì 30 ottobre 2014

Il giorno dopo di G Angelo Billia







ONORE E INFAMIA
(A proposito delle botte agli operai).

Ho ancora negli occhi il volto sanguinante di un operaio, pestato perché colpevole d’aver difeso il posto di lavoro e il Tg mi rimanda l’immagine di Fassino in conferenza stampa:
 i comuni protestano per le misure governative, vogliono un tavolo di confronto.
Onore e infamia. 
L’onore di chi affronta gli sgherri del regime, senz’altra arma che il suo diritto ad una vita di lavoro dignitosa e l’infamia di chi ha contribuito alla costruzione del regime stesso.
Che fare? 
Ancora una volta “alzare alta la voce della protesta”, oppure ritornare a disquisire sull’ingiustizia?
Ci sarebbe anche l’ipotesi di continuare a coltivare le tante preferenze personali: denuncia delle malversazioni; il Parlamento incostituzionale; l’Euro fonte di tutti i mali; le banche che non danno prestiti; la degenerazione del Pd; il futuro negato alle nuove generazioni; il ricordo della Costituzione repubblicana; la disoccupazione; le pensioni da fame e quelle da ricchi; i tagli ai fondi per disabili; ecc.
Ponendomi questi interrogativi, che derivano da una personale lettura dei fermenti che attraversano la sinistra, noto la loro inadeguatezza rispetto al problema centrale che si pone oggi.
 A che serve, mi domando, parcellizzare un problema che proprio i fatti odierni dimostrano essere, al contrario, riconducibile all’insieme del regime?
Non serve neppure fare, per l’ennesima volta, l’elenco dei tanti motivi che sono alla base di questo ragionamento.
 Le botte di oggi, più ancora che quelle del passato, sono il sigillo di un regime che non indietreggerà di fronte a nulla per imporre le sue scelte al popolo lavoratore. 
Il pluripresidente e il partito che è andato affermandosi grazie alle sue scelte, facendo a meno anche dell’avallo elettorale, sono la mano politica di chi, oggi, ha deciso di riprendersi lo stesso diritto alla vita dei cittadini.
Il paese e con esso gli altri paesi, europei, ma non solo, affonda nelle tenebre di una dittatura che fa a meno delle camicie nere (per ora), ma che, per le sue moderne peculiarità promette di essere più feroce di quelle conosciute in passato.
Mentre chi ha perso il lavoro muore, spesso non solo civilmente, e viene manganellato, mentre anche la semplice attuazione della giustizia penale, cioè quella contenuta nel codice, da anni dà segni sempre più evidenti d’omologazione (basterebbe per tutti l’esempio del processo G8, o il processo con l’imputazione di terrorismo per i no TAV) e mentre l’esercito e le forze di polizia, in modo sempre più impune zittiscono violentemente il dissenso, provando con l’evidenza dei fatti di rispondere ad orientamenti politici precisi del regime, credo davvero non abbia più senso, né la frammentazione della sinistra, né, tantomeno, l’annullamento delle energie rincorrendo questo o quell’ obiettivo parziale.
La protervia renziana-presidenziale è lì, a dimostrare che il nemico è uno e indivisibile. 
A mio giudizio non se ne esce, o si comprende questo oggi, o lo capiremo domani, quando il numero dei nostri caduti sarà divenuto insopportabile anche per le “anime belle” della sinistra.




IL GIORNO DOPO

Sono un uomo d’età, che nella vita ne ha viste di tutti i colori, per nulla incline alla violenza pur essendo un “mangiabambini comunista”, eppure, scorrendo i resoconti della stampa di regime sugli scontri di ieri, a Roma, la mia abituale natura riflessiva è andata a farsi benedire.
Sono letteralmente furioso, lo sono perché ho scorto un copione già visto nell’Italia peggiore, quando settori dello Stato amoreggiavano con le trame nere e regolarmente si trovava l’espediente, più o meno dialettico, o giuridico, per scagionare i malfattori di Stato.
Renzi dice che ha parlato con Landini, poi, smentito, ma in maniera furbesca, da Landini stesso, afferma d’essere stato cercato dal vate sindacale e d’avere scambiato con esso alcuni messaggi.
La prima questione che mi viene in mente è che l’errore squadristico è stato commesso dando una manganellata anche a Landini. 

Evidentemente nessuno aveva informato i responsabili dell’ordine di regime, che le parole di Renzi, per quel che riguarda la dirigenza sindacale non dovevano essere prese alla lettera. 
Un conto è rimetterli al loro posto di semplici collaboratori e un conto è trattarli come si fa abitualmente con gli altri, quelli che si oppongono davvero alle porcherie.
Dov’era Landini quando volavano dal ministero fior di candelotti sui manifestanti, quando si massacrava di botte migliaia di studenti e lavoratori, rei di non accettare le misure imposte dal Re e dai suoi accoliti? 

Qui nessuno ha detto che si trattava di un equivoco, anzi, si è negata anche l’evidenza scientifica.
E fosse solo questo il problema. 

Landini, in quanto dirigente sindacale, porta tutt’intera la responsabilità dell’obiettivo isolamento, in cui i lavoratori hanno subito negli anni tutte le angherie possibili da parte del padronato e del governo.
Mentre con uno stillicidio inarrestabile il padronato faceva quel che voleva, licenziando, chiudendo fabbriche e quant’altro, anziché chiamare alla lotta unitaria tutte le categorie, si limitava a fare ciò che la dirigenza sindacale sa fare meglio, insegnare ai padroni come la loro bestialità sia “solo” frutto di scelte imprenditoriali “sbagliate”.

 Cioè contribuiva a disegnare la dirigenza sindacale come consulente padronale e parte in causa nella gestione imprenditoriale.
La seconda questione invece, è la constatazione che il processo di fascistizzazione dello Stato è andato talmente avanti da liberare dagli orpelli di un controllo, spesso più formale che reale, il loro operato. 

Si sentono liberi di eseguire al meglio il loro compito, sicuri che ci penseranno i superiori a trovare la giustificazione adatta per spiegare qualsiasi cosa. 
Del resto a questo si è puntato nel corso degli ultimi anni, la stessa noncuranza con cui, nelle alte sfere, si calpesta la legge fondante della Repubblica, la Costituzione, è il “liberi tutti” per la parte peggiore della società, sia essa in divisa, in toga, o coperta dal doppio petto di qualche manager o consigliere d’amministrazione.
Tutte cose già viste, cose per le quali l’arrabbiatura del singolo non cambierà nulla, sino a quando la somma dei singoli non sarà in grado di organizzarsi, pensionando “rappresentanti” che “chiamano il capo” solo perché hanno assaggiato di persona la medicina che “nutre” tutti i giorni i lavoratori.

martedì 28 ottobre 2014

E DICIAMOLO PER UNA VOLTA! di G Angelo Billia

E DICIAMOLO PER UNA VOLTA!

A proposito della testimonianza di Napolitano in merito alla trattativa Stato-Mafia, forse è ora di smettere la rabbia e ragionare. Personalmente leggo questa vicenda, per come è stata gestita e commentata sino ad oggi, come uno specchietto per le allodole. 

La questione è ininfluente, per qualsiasi ipotesi di svelare questioni sottobanco, in cui eventualmente fosse stata coinvolta la persona, per il semplice fatto che sarebbero comunque indimostrabili.
Al contrario sta servendo allo scopo di sollevare un polverone sulla dignità nazionale ferita, nella figura del massimo rappresentante del paese, nonché garante della Costituzione. 

Già… Garante-della-Costituzione.
Personalmente sono dell’opinione, e sono certo di non essere solo, che la manfrina serva a mettere la sordina a ben altro, peraltro sotto gli occhi di tutti quelli che vogliono vedere.
Il Presidente è stato rieletto e, anche se la cosa non è espressamente menzionata nella carta costituzionale, in spregio alla consuetudine e allo spirito stesso della Carta, costruendo così un precedente la cui pericolosità antidemocratica è tangibile anche nell'immediato.
Il Parlamento, costituzionalmente delegittimato, essendo composto da nominati anziché da eletti, dopo aver rieletto il Presidente, continua, nella sua copertura, alle decisioni assunte dal pregiudicato Berlusconi e dallo scout di provincia, nominato dallo stesso Napolitano, senza, ovviamente, come da tradizione consolidata durante i mandati di Napolitano, passare per le urne.
Nonostante l’illegittimità parlamentare, l’opera di svuotamento democratico dello stesso continua con ricorsi insistenti al voto di fiducia, svuotandolo anche della prerogativa di discutere le leggi.
La Costituzione, durante la presidenza Napolitano, non solo non è stata applicata per la parte sempre ignorata, ma addirittura è soggetta all’erosione della parte restante, applicata o parzialmente applicata in passato.
In un paese normale, non comunista, per carità, normale, dove la legge costituente dello stesso viene regolarmente dileggiata ad opera delle istituzioni, il Presidente non dovrebbe rispondere ai legali di Riina, ma dovrebbe essere chiamato a rispondere per attentato contro le basi democratiche dello Stato. 

E’ mia convinzione che questo reato sia stato commesso e per questo reato penso convintamente che dovrebbe essere prevista anche la pena capitale.
Invece assisto impotente alla barbarie di fior d’intellettuali, di tutte le tendenze, uniti come un sol uomo per costruire l’immagine oltraggiata di una democrazia inesistente.
Ma c’è anche chi gioisce, come se una semplice testimonianza fosse un surrogato di ben altro processo. 

Attenzione, perché l’infantilismo permette punti d’incontro a volte impensabili, col qualunquismo.


T.A.M. Cagliari nr. 35 # Daniela De Simone: "A drops of star/una goccia di stella".


T.A.M. Cagliari nr. 35 # Daniela De Simone: "A drops of star/una goccia di stella".
Illustrazioni fotografiche del racconto "A drop of star/Una goccia di stella", di Massimiliano Spera (5 fotografie).




lunedì 27 ottobre 2014

Estetica delle apparenze di Delfo Cantoni.

Estetica delle apparenze.

L’artista e teorico Sergio Lombardo fin dall’inizio ha operato una critica all’arte tradizionale cercando nei suoi quadri monocromi la non arte per fare quello che gli altri non facevano. 

Non l’ispirazione delle regole, un metodo che porta al quadro come è stato scritto da altri autorevolmente. 
Quadri rivoluzionari per l’arte perché non ricalcavano quanto prima si era fatto, visto e rivisto e copiato.
I provos il movimento hippy costole di un romanticismo che presenta l’artista, il finto artista a dir la verità nell’apparenza. Il vero artista è colui che ha creatività e rovescia la cose ne istiga la rivolta permanente, “stenterello confonde il cappello con il cervello”.
Confidando che tale persona perché così esteriormente diversa sia anche in perpetua condizione di ispirazione per darci delle opere d’arte. 
Persone interessate a vendere ed incamerare opere dovrebbero cercare come cani da tartufo siffatto disordine interiore ed esteriore, pensate a Giancarlino Benedetti Corcos e accontentatevi. 
Dopo studi giuridici Lombardo compie studi psicologici e psicologico sociali direi. 
Lo stereotipo ed il pregiudizio. 
Noi abbiamo delle credenza ingessate e tendiamo molto a chiudere dentro dei gruppi le persone ci orientiamo e confidiamo nelle apparenza cosa diversa succede ad uno psichiatra ad un critico di costume, ad un” lookologo” come Roberto D’Agostino.
All’interessante incontro dei martedì critici tenutosi al museo Maxxi, ai primi di ottobre del 2014 per onorare Cesare Pietroiusti ci era dovuto l’intervento di Sergio Lombardo che diede il la a quella stagione rivoluzionaria per l’arte. 
Viene ricapitolato l’episodio dell’incontro tra i due maestri:
”Quel giovane sembrava un attore, era un intellettuale erano tutti arrabbiati e lui era calmo, era un artista”.
Se con il teorico Domenico Nardone l’esperienza del centro studi per l’arte Jartrakor esce dal laboratorio l’azione performativa di Cesare Pietroiusti in particolare, si fa accompagnare da una suggestione letteraria.
Cesare Pietroiusti un rivoluzionario artista in incognito.
La pecca di Pietroiusti è chi espande il successo la carriera, l’arrivismo come tutti i socialisti amici di Sofri ex Lotta Continua.
"Reporter quotidiano"? 
Erano si sessantottini o ex tali ma socialisti craxiani.
Altra pecca di Lombardo, se si può dire pecca aver ceduto a Bonito Oliva, poteva essere l’unico esempio di teorico ed artista se non faceva scoreggiare criticamente Bonito Oliva.


"Migliore o chi per esso" di G Angelo Billia

MIGLIORE O CHI PER ESSO

Non ho la caratura e, per essere sinceri, neanche la volontà di cimentarmi in un’analisi psicologica, per spiegare le mille anime “migliori” della sinistra.
Dirò solo che la base teorica sottintesa, sta tutta nell’assioma secondo il quale non è tutto bianco e nero. 

Quindi la spiegazione starebbe nelle “assennate” sfumature di grigio, cioè nella capacità “dialettica” di confezionare la miscela.
Mi si perdoni, allora, se uso l’accetta, ma credo che questa base teorica sia un’invenzione utile per giustificare tutte le azioni peggiori, dal salto della quaglia, alla condivisione “ragionevole” di autentiche porcate politico amministrative.
D’altro canto, è grazie a questa visione del mondo che tanti “ominicchi” pontificano sullo scibile umano beandosi di sé stessi.
Basterebbe, per smontare il castello di balle, darsi un’occhiata intorno, leggendo ciò che accade, smettendo per una volta la veste d’agnello sacrificale, che la maggior parte di noi ha congenitamente cucita addosso.
Dirò che, guardando a sinistra, e non da oggi, vedo un popolo spesso confuso, attanagliato dalla contraddizione del sentimento, realisticamente in bianco e nero, e dal perbenismo di chi è “collocato” o in cerca di “collocazione”.
Sì, in un mondo in cui la ragionevolezza, in quanto cavallo di Troia della cultura della classe dominante, serve solo a garantire potere e ricchezza a pochi e condizione servile per la grande maggioranza, quando viene usata a sinistra per giustificare le compromissioni col nemico di classe, ha sempre una valenza abietta.
Questa constatazione pone davanti agli occhi uno dei fenomeni più apparentemente inspiegabili, cioè l’auto affidamento acritico della sinistra, ad una pletora di personaggi ambigui, buoni per tutte le stagioni, i quali, vuoi per questa loro caratteristica, vuoi per l’aggiunta del caso, hanno raggiunto un certo livello di notorietà.
Sono personaggi sempre in cerca di collocazione, disponibili, alla bisogna, al ragionamento in bianco e nero, ma sempre pronti a giustificare “ideologicamente” qualsiasi scelleratezza, purché premiante la loro augusta persona. 

Non hanno molte pretese, (a parte quando si montano la testa, pensando magari di vincere le primarie), anzi, sono di bocca buona, gli basta gravitare attorno al potere, anche se mini, magari con incarichi onorari, con la presenza in una giunta comunale o un ente di secondo grado, oppure una pacca sulla spalla, o l’aver dismesso la tuta da lavoro in cambio di uno status sociale più “elevato”, meglio ancora se c’è qualche intervista televisiva che enfatizzi il “successo” personale.
Ci sono mille modi di vendere sé stessi e certamente quello della prostituta è uno dei più onesti, almeno non finge di fare altro e rischia di persona. 

Non così a sinistra, dove la prostituzione ha sempre una sgradevole sfumatura di grigio.


venerdì 24 ottobre 2014

"Santo subito" di G Angelo Billia.


SANTO SUBITO
(Sperando nella tradizione che santi si diventa da morti.)

In piemontese il tacchino si chiama “bibin”, ed è da questo che deriva il termine “imbibinare”, cioè, ridurre un essere umano a livello di un tacchino.
Di che parlo?
 Della sensazione che ho provato alla vista del Napolitano pontificante su tre, dico tre, classi liceali provenienti da tre, dico tre, zone d’Italia, per un totale onnicomprensivo di centoquaranta studenti.
Mi sono ricreduto quando ho compreso l’obiettivo del sommo.
 La chiesa vola nel gradimento della cultura in scatola italica, è ovvio che chi conta cerchi la via della santificazione.
Eh sì, l’indefinibile, (per essere buoni ed educati), c’è riuscito, il suo viatico alla santificazione l’ha avuto, come spiegare altrimenti l’impresa sovrumana di trovare tre classi liceali che, anziché lanciargli i calamai sulla vetusta fronte, l’applaude, educatamente, ma l’applaude.
Il resto non conta, fa parte del copione ormai collaudato: “più sviluppo e meno austerità!” Recita il beato.
Qualcuno, maligno, potrebbe dire che la cariatide ha fatto tutto il disumanamente possibile perché l’austerità uccidesse lo sviluppo, ma sarebbe un sofisma. 
Nella alte sfere la coerenza non è collegata alla voce. 
Come dire, la carezza del boia dopo che ti ha steso orizzontale.
Bastasse questo, ma no, non basta. 
Come sempre accade quando si vuole strafare, è arrivato a dire che “l’Europa è nostra”, omettendo un “questa”, quanto mai opportuno. 
L‘uso del plurale maiestatis si presta all’equivoco e prontamente i giovani intimiditi ci sono caduti: “ah beh, se è nostra…”. 
Gli applausi di rito hanno salutato la presa di possesso inaspettata.
Sorge un dubbio non da poco, che sia questa la ragione della ditata di sterco data dal sommo &C. alla Costituzione, là dove recita: 
"scuola privata sì, ma senza i soldi dello Stato"? 
Quanti milioni di Euro pubblici sono costati gli applausi di centoquaranta “studenti”?


giovedì 23 ottobre 2014

Molto pelo sullo stomaco di G Angelo Billia.


Molto pelo sullo stomaco di G Angelo Billia.

C’è una diga costruita con criteri moderni, per la realizzazione della quale si è fatto a meno degli operai. 
La cosa si spiega con l’abnegazione sul lavoro profusa da pensatori un tanto al chilo; da giovanotti e signorine, (più o meno), che riempiono con lena la discarica chiamata informazione; da distinti signori a cui non affidereste neanche il borsellino, che pontificano d’economia; da disgraziati, culturalmente nullatenenti, che si affannano a spiegare che, sì, le cose vanno male, ma vuoi vedere, mettendo qualcuno in galera e sostituendolo con onesti a loro immagine e somiglianza, sai che paradiso!
Nonostante tutto il lavoro profuso, la diga non riesce a contenere del tutto i liquami. 
Ogni tanto qualche piccola crepa si apre e da essa esce uno zampillo prontamente tamponato dal ditino di qualche solerte costruttore.
E’ la favola d Hendrick che si ripete tutti i giorni.
Questa volta si tratta della bimba italiana proveniente dall’Africa e del racconto delle torme di mamme inferocite che temono il contagio di Ebola per i propri figli. 
Scandalo inusitato! 
Qualcuno particolarmente illuminato mentre preme il ditino arriva a dire: “sta uscendo il medioevo”!!! 
Capisco che, dopo aver fatto tanto per nasconderlo uno possa anche sentirsi avvilito, ma ho difficoltà a capire la sorpresa riferita al medio evo. 
E’ come trovare strana la presenza dell’acqua in mare.
Per dirla in un altro modo, ci vuole un bel pelo sullo stomaco a servire il feudatario e poi a scandalizzarsi se i servi della gleba si comportano come gli è stato insegnato.
Fuori dai denti: c’è più medio evo in chi non crede nelle garanzie sanitarie di un sistema che dice di guarire tutto e non sa neppure guarire un raffreddore, o in chi, approfittando di ciò, si appella ad una ragionevolezza tanto pelosa quanto inesistente?


martedì 21 ottobre 2014

5 Stelle e dintorni di G Angelo Billia.

5 STELLE E DINTORNI

Posto che i media, tarati sul mussoliniano renzinapolitanismo, quando parlano male di qualcuno, pur infarcendo il loro eloquio con parole desuete come democrazia e antirazzismo, in realtà portano sempre acqua al mulino del capo assoluto, la questione dell’interpretazione grillesca dell’immigrazione, merita comunque di essere affrontata.
Per l’inventore del movimento più movimento di tutti, la rottura con la vecchia politica, i vecchi partiti, è stata la chiave di volta che ha aperto il credito elettorale presso il disastrato mondo giovanile. 
Il rifiuto di qualsiasi tipo di compromissione con “gli altri”, anche se sottintende “tutto il potere a noi”, ha avuto l’indubbio pregio di mostrare una fedeltà al “programma” delle origini:

 no ai compromessi con politici, banchieri disonesti e quant’altro, lasciando intuire che l’Italia degli onesti mette le cose a posto.
Inutile dire che, il semplice fatto di non avere mai fatto menzione dello sfruttamento capitalistico e aver copiato gli ammiccamenti al padronato scimmiottati da Renzi, ad esempio con la consegna dei risparmi del gruppo parlamentare agli imprenditori vessati dalle banche, stanno ad indicare un’obiettiva accettazione naturale di uno Stato in mano a sanguisughe “oneste”.

 La cosa avviene attraverso il noto meccanismo che si può sintetizzare in:
 arricchisci il tuo padrone perché lui, in cambio, potrà elemosinarti un lavoro.
Chi si ostina a grondare fede nel “nuovo” di cui sarebbe portatore il noto attore, farebbe bene a dare un’occhiata al “vecchio”, probabilmente si accorgerebbe che le novità sono solo i veicoli attraverso i quali arrivano i messaggi, ma mai la sostanza degli stessi.
A ben guardare, anche la lotta alla cosiddetta casta, avviene su basi non dissimili da quelle del passato. 

A memoria non ricordo nessun rappresentante della casta pronunciarsi a favore della disonestà. Ricordo invece fior di politici comunisti che percepivano lo stipendio di un operaio, consegnando l’eccedenza dell’emolumento al partito stesso.
Forse vale la pena ricordare che il codice penale non contiene nessun articolo atto a colpire il ladrocinio dello sfruttamento capitalistico in quanto tale. 

Fingere che ciò sia normale e che la cosa si risolva colpendo solo la disonestà spicciola dei cortigiani intrallazzatori, beh, ha tutte le caratteristiche di una manovra di depistaggio, come dire, sacrifichiamo il picciotto perché la cupola continui a prosperare.
Ma se su questi punti occorre argomentare per scalfire la fede del nuovo, taroccato, sulla questione immigrazione sarebbe tempo perso. 

Che c’è da dire su argomenti tratti di sana pianta dall’armamentario della destra parafascista?
E’ nuovo l’espediente (se solo di questo si trattasse) di cavalcare obiettivi leghisti sperando in voti, purché sia?
E’ vero, non bisogna commettere l’errore di appiattire il movimento sui vaneggiamenti di un borghese arrivato, con manie di grandezza.

 La battaglia, per dirne una, del gruppo parlamentare contro la regalia di miliardi alle banche è stata notevole, condotta con capacità e grinta, encomiabile da molti punti di vista.
Purtroppo però, ogni stella dell’universo grillino è fatalmente attratta dal buco nero costituito dal vecchio arnese qualunquista e dal socio di ditta. 

Come sempre accade, in prossimità dei buchi neri si può andare in una sola direzione, quella imposta dal buco stesso, cioè verso il basso.
 Né in Europa le cose vanno meglio per i cavalieri del nuovo. 
Una nuova alleanza, questa volta col fascista polacco, conferma l’assenza di sbavature rispetto alla direzione intrapresa.
Probabilmente alcuni, i più fedeli alla premiata ditta, puntano sull’effetto “orizzonte degli eventi”, sperando che la caduta libera non possa essere vista dall’esterno, ma le cose fra gli umani non vanno così.
Quanto alle espulsioni, che dire, vale la pena di imbastire un discorso sulla democrazia mancata nel movimento? 

Ma per favore!


sabato 18 ottobre 2014

Cagliari capitale europea della cultura? Un fallimento - Antonio Musa Bottero


Cagliari capitale europea della cultura? Un fallimento - Antonio Musa Bottero

Credo che la maniera più onesta e costruttiva di porci di fronte al tentativo di Cagliari di concorrere a capitale europea della cultura sia quello di considerarlo per quello che è: un fallimento.
Ad applaudire in maniera inconsulta si rischia di spellarsi le mani e di alimentare un processo onanistico collettivo che non porta da nessuna parte, giacché la tensione collettiva per una buona politica sulla cultura non può e non deve mica concludersi con questa vicenda.
Parliamoci chiaro, gli applausi sconclusionati servono solo a cristallizzare posizioni di comodo e situazioni che potrebbero invece rappresentare l’inizio di percorsi evolutivi virtuosi e innovativi, ma solo a condizione che vengano sottoposti a critica e discussione.
Appare chiaro quindi che alla luce di questo fallimento debba iniziare un’analisi seria e costruttiva sulla vicenda e sull’intero corso della politica cittadina sulla cultura.
E pensare che tutto iniziò sotto i migliori auspici, con la meravigliosa immagine di quell’asta posta in essere dagli artisti locali che misero in vendita le loro opere per finanziare la campagna elettorale di Zedda.
Tanta era la fiducia.
Un’immagine bellissima e suggestiva, apparentemente limitata ad un fatto simbolico ma a ben vedere già carica di formidabili contenuti programmatici.
Una capitale della cultura in senso moderno infatti non può assolutamente prescindere da un’attenzione, un dialogo e un’interazione profonda e permanente con tutti i focolai di produzione di cultura e arte nel territorio.
In particolare in questo periodo di liberismo sfrenato dove arte e artista sembrano costituire entità inscindibili dal cosidetto “mercato dell’arte”.
Il “mercato dell’arte”, concetto carico di ideologia e fatto di gallerie private che decidono cosa è arte e sopratutto cosa è arte vendibile in aderenza agli stesse parametri standardizzati del mercato delle cipolle, dei pomodori e delle azioni di borsa.
Un “mercato dell’arte” che soffoca possibilità, spontaneità, diversità, intuizioni, novità… che non sono contingenze ma sostanza dell’arte.
Un’amministrazione di sinistra e una capitale della cultura degna di questo nome dovrebbe in qualche modo indossare le vesti da “mecenate” (passatemi il termine) e coprire l’enorme vuoto e l’infinita tristezza legati al cosidetto “mercato dell’arte”.
Una capitale della cultura degna di questo nome ha il dovere di intrattenere un rapporto stretto e simbiotico con gli artisti locali, deve avere la sensibilità di accogliere e fare propri talenti ed energie che nascono dal basso come la più preziosa delle risorse.
Amministrare la cultura significa spendersi, creare condizioni, impiegare energie intellettuali, mettere in gioco intelligenze e denari per intercettare quel che viene dal territorio e su queste basi organizzare progetti credibili.
Cagliari tutto questo non l’ha fatto... ma siamo sempre in tempo per iniziare a farlo, se a un certo punto la smettessimo di battere le mani.






domenica 12 ottobre 2014

Il Movimento 5 Stelle visto da Giulietto Chiesa.

L'elenco parte da Napolitano e continua con Renzi. 
Che si salvi qualcuno è più difficile di un miracolo. Inutile farlo, questo elenco, ci capiamo perfettamente.
 La questione è che fare? 
Chi può farlo?
L'opposizione nel paese, nonostante la lobotomizzazione cui tutti siamo stati sottoposti, esiste e cresce. 

Manca una organizzazione capace di unirla in una forza dirompente che cambi il quadro politico. Manca una comprensione della vastità e complessità della crisi (che non è solo italiana e europea, ma è mondiale).
 Senza queste due cose (entrambe possibili) è inutile piangere.
 Sulla prima sarò sintetico e franco, come al solito.
 L'unica opposizione al momento è il Movimento 5 Stelle. 
Prescindere da essa è, prima che sbagliato, stupido.
 Ma il M5S da solo non può farcela. 
Con il 25% non si cambia l'Italia. 
Promettere questo in queste condizioni e con l'attuale struttura del movimento significa dire uno sciocchezza e condannarsi alla sconfitta.
 Dunque si pone il problema, adesso (non domani) di operare una svolta radicale nella fisionomia del M5S. Quale svolta lo deve decidere il Movimento, ma fino ad ora si batte il passo.
Sulla seconda carenza il discorso è più complicato. Il M5S (ma neanche la sinistra, e neanche la destra) non ha questa visione. 

Non è un movimento che metta in discussione l'assetto sociale. 
Per questo non ha un'idea organica di trasformazione. 
Per questo non ha opinioni su questioni cruciali dell'assetto sociale italiano e internazionale. 
Non gliene faccio una colpa: è giovane e inesperto, non ha fondamenta profonde. 
Ma bisogna che il suo vertice, la sua testa, prenda atto che questa idea qualcuno deve essere in grado di secernerla. 
Dunque organizzi la sua creazione.
 Non lo si potrà fare in cinque minuti, ma ogni minuto perso lo è per sempre. 
Può nascere da dentro il Movimento? 
Sarebbe un'illusione e anche un errore grave. 
Bisogna costruire una grande alleanza democratica e popolare. 
Non ci sono scorciatoie. 
O si fa questo o il Movimento andrà in pezzi, e sempre più velocemente.


sabato 11 ottobre 2014

Sciopero generale di G Angelo Billia


SCIOPERO GENERALE

Grande allarme, sta a vedere che lo sciopero del 24 riesce! 
Qualcuno insinua timori dell’unto dal Signore di turno. 
Pullman per centomila persone prenotati in anticipo di quindici giorni, gli studenti sono già mobilitati.
In effetti un po’ di timore c’è, ma quanto suona artefatto!
A dire il vero anch’io nutro timori, anzi, per dirla tutta, più certezze che timori. 
Milioni di uomini, dopo anni di silenzio nel corso dei quali hanno subito supinamente, sotto lo sguardo compassionevole dei loro “rappresentanti”, porteranno la loro rabbia in piazza. 
Sarà un nuovo autunno caldo? 
Una riedizione di quella stagione che ha permesso le conquiste, demolite quarant’anni dopo?
Onestamente do una lettura un po’ diversa, da quella prevalente,su quegli avvenimenti. 
Sul piano politico sindacale, ciò che il Partito Comunista e la CGIL non volevano fare, fu loro imposto dagli sconvolgimenti del movimento sessantottesco.
Chi come me, ha vissuto da lavoratore anche uno scorcio dell’epoca precedente, ricorderà i picchetti che, ad ogni sciopero si dovevano fare, per arginare il crumiraggio di CISL ed UIL.
L’effetto di trascinamento del movimento, o, per meglio dire, il timore che lo scavalcamento giovanile divenisse qualcosa di diverso , più profondo ed organizzato, in grado di insidiare rendite di posizione politiche, che già venivano usate per preparare il compromesso fra sfruttati e sfruttatori, è stato alla base dell’autunno caldo e della cosiddetta unità sindacale.
Oggi quel progetto di revisione dei rapporti interclassisti, dopo quella battuta d’arresto transitoria, è giunto all’approdo dell’annullamento di ogni rappresentatività delle masse lavoratrici; il PCI si è trasformato in partito unico della borghesia e la dirigenza sindacale ha trasformato il sindacato di classe in istituzione dello Stato della Borghesia stessa.
Per questo, pensando alla gioia della gente che scenderà in piazza per protestare, porto nel cuore la certezza ragionevole che sarà strumentalizzata, per definire equilibri di potere lontani anni luce dai loro interessi. 
E’ anche vero che, quel giorno scenderanno in piazza i sindacati di base i quali, coraggiosamente, cercheranno di arginare la farsa messa in piedi dalla Camusso, trasferendo su un piano conflittuale quella che, nelle intenzioni dei gruppi dirigenti sindacali è un episodio collaterale, utile al rafforzamento dei gruppi dirigenti stessi, negli equilibri di potere dello Stato della borghesia.
Quand’anche il 24 rappresentasse un inizio di conflittualità più o meno permanente, non potrà essere una riedizione dell’autunno caldo in termini di conquiste dei lavoratori e questo a causa della mancanza totale di alcuni presupposti.
Manca il partito che, sia pure trascinato per i capelli com’è accaduto, dà uno sbocco in quel senso, manca una dirigenza sindacale legata a quell’interesse, manca, anche a livello di massa, tutt’intera la consapevolezza che, se le lotte non sono inserite in un contesto più generale di lotta al capitale, il volontarismo ancorché “rivoluzionario”, alla fine della storia, come sempre sarà riassorbito da chi l’organizzazione ce l’ha, cioè il capitale stesso.
Né si può contare su fette della CGIL, come la FIOM, la quale non riesce a nascondere, neppure con i richiami suggestivi all’occupazione delle fabbriche, il fatto incontrovertibile che la sua dirigenza è legata mani e piedi agli obiettivi di Camusso & C.
Queste e altre sono le ragioni che mi inducono a dire: lottiamo, ma trasformiamo la lotta anche in una crescita culturale collettiva. 
Senza il partito comunista non c’è sindacato di classe. 
In questo settore le scorciatoie storicamente allungano la strada di decenni, se non di secoli.