sabato 3 maggio 2014

Io, tu e Max Papeschi, l'artista che vende (e non venderebbe) la mamma.


Io, tu e Max Papeschi, l'artista che vende (e non venderebbe) la mamma.

Acquistato il primo libro di Max Papeschi, "Vendere svastiche e vivere felici. Ovvero: come ottenere un rapido e immeritato successo nel mondo dell'arte contemporanea", della Sperling e Kupfer, ho ragionato con Max Papeschi sul lavoro, lui pensava lo stroncassi, invece io volevo ragionarci su, i linguaggi dell'arte, nella loro diversità geografica, sociale e culturale, sono sempre destinati a incrociarsi e relazionarsi, l'interconnessione digitale, in questo secolo, rende questi incroci sempre più veloci, questo dialogo si è svolto sul filo della rete digitale, tra il sud dell'isola e la California.

Mimmo Di Caterino:
Non vorrei stroncarlo, vorrei pubblicare una intervista dialogo sul testo se ci stai, ti sgancio la prima domanda e a lettura testo terminata pubblico l'intervista come la vedi?
Ovviamente sarò non tenero nel modo di porti le questioni, parto?

Max Papeschi:
Si ok! Ci metterò un po' a rispondere alle domande perché sono in California e scrivo dal telefono però ok, quando riesco ti rispondo!


Mimmo:
Senza fretta, intanto partiamo, io cerco di seguire il filo narrativo del tuo libro e parto: Sostanzialmente nel tuo libro sembra esserci un doppio registro, quasi un bipolarismo creativo, non si comprende bene se è maggiore la frustrazione per il fallimento da regista e/o performer teatrale o l'autocelebrazione per essere emerso come artista quasi per caso nell'epoca dei social network e delle loro interconnessioni, che nel tuo caso ti hanno relazionato a Roman Nowak? Già che ci sono aggiungo, come artista di questo millennio e la rivoluzione che ne deriva nel modo di operare e progettare non solo i prodotti, ma anche i processi creativi, non pensi che sia stato il tuo, un approccio al tempo (anche se casuale) un poco conservatore? Insomma la figura dell'artista che diventa popolare attraverso la figura di un mecenate è in fondo una figura stereotipata di fine ottocento o sbaglio? Così tanto per cominciare questo dialogo in maniera light!
Max:
Per quanto riguarda il discorso sul mecenatismo, prima di Poznan avevo già ottenuto ottimi risultati in Italia ed ero stato pubblicato su decine di riviste e centinaia di siti web in tutto il mondo. Questo è il motivo per il quale Roman mi ha proposto di lavorare con lui. Per chi non nasce in una famiglia particolarmente facoltosa, è necessario trovare qualcuno che sponsorizzi i nostri progetti, e per ottenere questo è fondamentale essere capaci di farsi notare in mezzo alla massa di wannabeartist che pullula in tutto il mondo, non solo del web. Io sono stato in grado di farlo, tu?
Non ho scritto questo libro per celebrare i miei risultati nel mondo dell'arte, tantomeno per manifestare la mia frustrazione per non aver sfondato in quello dello spettacolo. Ho semplicemente cercato di raccontare la mia storia. Che come tutte le storie, è fatta di vittorie e di sconfitte.

Mimmo:
No, io non sono stato capace di farlo, rispetto la tua scelta e alzo il tiro dell'intervista, vendere tua mamma e anche sposare Minnie per confermarne il ruolo pop di rispettabile "zoccola" sono delle operazioni che trovo realmente divertenti inquadrate in un gioco di spettacolarizzazione del marketing e del mercato, ma questo chiodo fisso del tuo rapporto con il mercato non temi ti renda un tantino Accademico?

Max:
Queste operazioni più che per il mercato, che in realtà è piuttosto disinteressato a questo genere di spettacolarizzazione, le ho fatte per non annoiare e sopratutto per non annoiarmi in un ambiente che invece trovo accademico per motivi molto diversi. Questione di punti di vista naturalmente.

Mimmo:
Mettiamola così, anche se in questa maniera non seguiamo il filo narrativo del libro, scopandoti Minnie e poi sposandola, in cosa avresti fatto una operazione diversa da Jeff Koons? Mettendo in mostra tua mamma con tanto di cartellino cosa hai fatto che non avesse fatto già Kounellis quando ha esposto il suo mongoloide alla biennale di Venezia? Certo quello che rende in realtà il tuo lavoro politico è forse proprio nella tua monografia, in un tempo come questo l'opera e le operazioni di un artista non possono essere scisse dalla monografia dello stesso, in questo senso ti do atto di essere all'avanguardia, c'è del calcolo in questo o è semplicemente dettato dall'uso, fatto necessità e mestiere, dei social network, i quali non ammettono conflitto e disordine tra etica del produttore-artista e l'estetica del suo prodotto? Aggiungo, hai ragione quando dici che il mercato non ama le spettacolarizzazioni, ma è anche vero che la risonanza mediatica di certe provocazioni un tipo di mercato lo traina sempre o comunque, o sbaglio?  
Max:
Dipende da cosa intendi per calcolo, ovviamente non faccio le cose alla cazzo, ma cerco di seguire un filo logico tra un'operazione e l'altra.

Il progetto "Exit from Heaven" già nel titolo dichiarava di essere una reinterpretazione del lavoro di Koons, nel libro ne spiego ampiamente il significato, quindi non mi dilungherò qui. Stesso discorso vale per la vendita di mia madre.  
Sono due cose molto diverse.
La risonanza mediatica traina il pubblico, non i collezionisti.  

Mimmo:
Quando nel libro denunci gli stereotipi di sistema, che sconfiggi attraverso l'alcol e qualche scopata cosa affronti in realtà? In fondo, proprio perché popolare, anche il tuo lavoro affonda nello stereotipo storico collettivo simbolico, sbaglio? Insomma perché tanto disagio? Già che ci sono, il collezionista mi sembra sia una figura preservata dalla tua causticità nel libro.
Max:
Non mi sembra di denunciare nulla, mi limito al descrivere fatti e persone che ho avuto modo di conoscere in questi ultimi anni. Il disagio che racconto è un fatto mio personale, non ha a che vedere con il mondo dell'arte nello specifico, ma con quello del successo in generale. I collezionisti in fondo sono le persone più pulite in questo ambiente, spendono i loro soldi sostenendo il nostro lavoro, permettendoci di vivere di questo e non essere costretti a fare altri lavori, perché dovrei attaccarli?

Mimmo:
Mi piace, penso possa bastare, anzi no, ultima domanda, il tuo rapporto con l'editoria specializzata come è? Non mi sembra che testate come flash art o artribune abbiano raccontato come merita il tuo lavoro, pregiudizio di mercato o cosa?
Max:
Su Artribune sono stato pubblicato più di una volta, quindi non ho nulla di cui lamentarmi. Per quanto riguarda l'altra rivista, nessun pregiudizio, semplicemente le gallerie con le quali lavoro in Italia non pagano spazi pubblicitari sulla sua testata, condizione necessaria e spesso sufficiente per essere presi in considerazione per degli articoli.
Mimmo:
Grande Max, brindo alla tua salute e un poco brillo, domani ti invio la versione definitiva di questo nostro dialogo prima di pubblicarlo, grazie di cuore e come si dice sull'isola "troppo togo" !
Max:
Io invece adesso vado a ubriacarmi alla mia inaugurazione .

Nessun commento:

Posta un commento