mercoledì 31 dicembre 2014

"Morto Carlo Maurizio Benvenudi" di Delfo Cantoni.

"Morto Carlo Maurizio Benvenudi" di Delfo Cantoni.



Gian Tommaso Liverani mi disse nel 1991 -non c’è più il comunismo e non ci sono più neanche gli artisti -, Maurizio era un drammaturgo, un poeta- .
Nella mia giovinezza è stato il mio mentore amico della mia fragilità.
Un uomo che ha dedicato la sua vita alla nostra scuola: l’istituto statale d’arte Roma 1.
Un grande edificio che si diceva stesse per crollare e poi è stato smantellato da via Silvio D’Amico è stato trasferito a via Argoli.
Da noi hanno insegnato Marcello Beltramme stretto collaboratore di Argan, Luca Patella, Eliseo Mattiacci, il grande incisore e scultore Pasquale Santoro, poi venne Nunzio di Stefano due anni prima leone d’oro della Biennale d’arte di Venezia.
Tanti artisti ma io voglio ricordare soprattutto Luciana Resta animatrice del femminismo e delle lotte per i diritti delle donne.
Non voglio fare un torto a nessuno ma i nostri professori erano sull’Argan, dei maestri.
Maurizio oggi mi direbbe con Gramsci: non esiste un organizzazione della rivoluzione essa matura nelle forze produttive ed ha i suoi tempi bisogna oppore a questo stato di classe della borghesia un altro apparato, dissolvere le classi.
Costruire l’egemonia compito degli intellettuali dei funzionari delle super strutture: intellettuale+specialista.
Evolvere le classi l’insegnamento di padre Bresciani dare le cose semplici ai giovani, evolvere e condurre questa lotta tra mentalità che nasconde la reazione e l’oppone al progresso.
Maurizio capiì i nuovi linguaggi dell’arte e fu tra i pionieri dell’arte che si dice concettuale-cronaca delle tautologie discontinue e correnti-.

Compito dei professori dopo Don Milani dare voce ai ragazzi capirli perfino psicologicamente, ed in questo Maurizio era unico tanto che divenne preside di questa nave di artisti.
La specificità del comunismo italiano e la zia maoista di Maurizio, il materialismo dialettico per cui c’è un interna contraddizione in ogni cosa ed i cambiamenti sono sempre interni i due lati delle questioni da esaminare che sono opposti in lotta fin dentro di noi.
Se non crediamo a questa legge della contraddizione per cui i cambiamenti sono sempre interni, rimaniamo meccanicisti.
Quando negli anni ottanta si preparava la sciagura del pci, e sopra di noi il crollo dell’URSS andavo sicuro verso la fine dell’adoloscenza, -il futuro non era più quello di una volta- i nati nei settanta si sono visti scippare l’utopia, e tutto in nome di un finto realismo l’eredità ed il senso di commozione politica che lascia una generazione come scrisse lo stesso Marx .
La vita artistica doveva preparami all’arte che è stata degli anni novanta e l’arte degli anni settanta era li tramortita da tutto questo mercato che vendeva una pittura notturna, espressionista, ed anche minimal, le opere di Tulio Catalano, Lillo Romeo, Luciano Trina non vanno tenute nascoste.
Una galleria che si chiamava GAP in onore ai partigiani, Gianni Fileccia, Giancarlo Croce i nomi di questi animatori tra cui Maurizio Benveduti le cui performance lui stesso editava in libretti.
Di questo geniale artista caro Mimmo di Caterino ti invito a vedere il sito con i contributi critici storia di un decennio i settanta.
Partecipazione alla Biennale rosa del 1976 invito di Enrico Crispolti, e da cercare il libro arte ed ideologia -ufficio per l’immaginazione preventiva- edizioni Marani a cura di Filiberto Menna.
Io vorrei che tra storici dell’arte e critici militanti ma soprattutto tra artisti nascesse la dovuta attenzione per un arte non intossicata dal mercato e non anestetizzata dall’ideologia dominante di questo stato borghese, che per dirla con David Cooper lascia sempre imprevisti effetti collaterali.
Caro Maurizio a Gramsci preferisco Lenin, serve un organizzazione della assidua lotta di classe come sai forse il moderno principe il partito comunista è più importante del picci: personal computer.
L’oppressione della borghesia imperialista affama ed uccide popoli, nazioni, zone del mondo in malessere occidentale se addirittura si parlava si surplus negativo ed aristorcrazie operaie che partecipavano al racket dello sfruttamento del terzo mondo, oggi ci lascia poveri proletarizzati tutti, questi trent’anni di filosofia del soggetto e liberalismo, questi trent’anni senza Marx ci hanno distrutto caro Maurizo ricorderò sempre quella frase che nei tuoi libri citavi da l’ideologia tedesca di Marx  -solo nella società comunista ciascuno sarà cacciatore, pescatore e poi critico, perché verrà superato l’angusto limite della divisione sociale del lavoro-.
Un giovane Marx umanista, non quello del capitale.
Grazie Maurizo per averci portato l’ideologia che viene sempre da fuori ed allora serve l’organizzazione, significato del "Che fare" leniniano.
La luckacsiana partiticità dell’arte la politicizzazione ora che la politica ed il suo cattivo condominio sono sputtanamenti, sento le risa gli sghignazzi i soliti fascisti post moderni.


Il sito di Maurizio: http://www.cmauriziobenveduti.it/

lunedì 29 dicembre 2014

Caro amico ti scrivo di Delfo Cantoni.


Caro amico ti scrivo di Delfo Cantoni.



Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po' e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò. 
L’anno che sta arrivando chiude il semestre europeo presieduto da un italiano niente di meno che da il nostro Renzi.
E chi se ne era accorto? 
Cosa ha comportato per Francia ed Italia paesi più di altri nel mirino nei confronti delle pressioni tedesche sul debito ed il pareggio di bilancio? 
Il nostro:M.R non si è fatto sentire, non ne ha detta una buona ha perfino citato Mina cantando -parole, parole- all’uscita da un vertice europeo. 
Lo sforamento del deficit necessario alla crescita che richiede investimenti.
La licenziabilità su questo si basa la ricetta di Renzi con l’abolizione dell’articolo 18 già deflorato dalla Fornero. 
Una delle più grandi rotture tra governo e parti sociali, si sentono innovatori a villipendere il sindacato. 
In tutta Italia abbiamo visto la polizia caricare e manganellare studenti e lavoratori. 
Il 12 Dicembre c’è stato lo sciopero generale ed è solo un primo passo. 
Ricordiamo che Renzi non è stato eletto e che i suoi voti sono quelli delle Europee e regionali non delle politiche. Il suo partito piglia tutto perde voti ed altissima ancora è stata la non affluenza ai seggi, perché la destra collusa con mafia ed ogni malaffare ancora non ha un leader certo. 
Si temono colpi di coda.
Non lasciamo ai penta stellati l’onere e l’onore di cacciare queste persone dal Mose a Venezia alla Roma nera e malavitosa di Buzzi e Carminati.
Anche le passate amministrazioni capitoline erano colluse e complici in un sistema che gestiva appalti sui miserabili di Victor Hugo, colonne infami di povera gente, rom, profughi, immigrati. 
Non sono mai riuscito a non votare negli ultimi venti anni. 
Non facciamo di ogni erba un fascio, io ho difficoltà ad essere garantista con Alemanno perché un dato parla chiaro il il sindaco Marino ha denunciato un gigantesco buco nel bilancio capitolino.
In questi giorni a Roma molti cosiddetti clochard rischiano di morire assiderati per il calo brusco delle temperature. 
E arrivato l’inverno qui da poche ore.
Si è detto aprano le chiese forse per la prima volta servono a qualcosa. 
Caro Mimmo un abbraccio a te ed a Barbara ed a tavor art mobile.




sabato 27 dicembre 2014

PER UN SOGGETTO POLITICO D’ALTERNATIVA E COMUNISTA di G Angelo Billia


PER UN SOGGETTO POLITICO D’ALTERNATIVA E COMUNISTA di G Angelo Billia


D’acchito la definizione lascia uno spazio d’interpretazione tale da permettere ad ognuno di riconoscervi i significati che gli sono congeniali. 
Parlo, ovviamente, di quella fetta di società che si oppone da sinistra allo stato di cose esistenti.
In realtà questa interpretazione, secondo il mio personale punto di vista, non è affatto corretta. 
Infatti lascerebbe spazio alla riproposizione dei mali della sinistra negli ultimi decenni.
Credo invece sia necessario, per comprendere appieno la portata politica della proposta degli autoconvocati, soffermarsi, sia pure brevemente, su ognuno dei tre termini che compongono la proposta, cioè ,soggetto politico, alternativa, comunista.
Soggetto politico, cioè organizzazione politica, cioè partito.
 Quanto di più auspicabile in una realtà nella quale la grande maggioranza della popolazione è l’oggetto di un attacco, che ha lo scopo di annientarne qualsiasi possibilità di uscire dalla condizione obiettivamente semischiavistica, nella quale il regime la sta sospingendo.
La negazione dei diritti acquisiti procede di conserva alla negazione dello stesso diritto di avere una rappresentanza politico organizzativa. 
Lo scopo evidente è quello di sospingere la classe produttrice di ricchezza in un serraglio nel quale attingere a piene mani per soddisfare le ambizioni sempre più sfrenate della classe parassitaria, senza dover pagare lo scotto dei pericoli che deriverebbero dall’organizzazione del potenziale umano, ridotto alla stregua dei polli allevati in batteria.
Non a caso, dal momento che un attacco diretto poteva sollevare più di un problema, si è preferito privilegiare un approccio disgregatore dell’idea stessa dell’organizzazione politica.
 Se si preferisce, tale approccio può essere definito di tipo culturale, e ha visto come parte diligente dell’operazione, componenti che, a prima vista sembravano agli antipodi. 
Partiti tradizionalmente espressione degli interessi della borghesia, dalla DC sino ad arrivare a FI, e partiti che, per il loro passato apparivano ancora legati agli interessi dei lavoratori come PCI e PSI.
E’ sufficiente ricordare l’americanizzazione del concetto partito, già presente nei partiti citati, anche prima che con Berlusconi si arricchisse della componente personalistica, peraltro già presente in modo embrionale oltre che negli altri partiti anche nello stesso PCI, con i capi corrente che facevano politica più attraverso i media che nello stesso partito.
Mano a mano che il lavoro procedeva e attecchiva nel sentire comune delle grandi masse, le caratterizzazioni para ideologiche dei vari partiti andavano indebolendosi, appiattendoli e trasformandoli, da portatori d’idee alternative complessive quali apparivano, a semplici concorrenti per la gestione di un sistema talmente immutabile, da essere ormai dato per scontato dalla stessa maggioranza della popolazione.
La stessa trasformazione dei partiti di sinistra, in particolare il PCI, da partiti già indistinguibili dagli altri partiti e che, attraverso opportune fusioni, di quelle che prima apparivano come alleanze, trasformandosi in partiti anche ideologicamente idonei a rappresentare gli interessi parassitari nel paese, apriva anche a livello di massa una voragine intellettuale, nella quale era venuta meno la stessa idea della necessità del partito della classe operaia.
A quel punto il processo era compiuto e con la gestione dello Stato per conto terzi divenne inevitabile anche l’emersione di un iceberg presente da tempo nella struttura politica di potere della borghesia: la corruzione.
Nulla di nuovo, la corruzione ha accompagnato l’umanità nel corso dei secoli, mano a mano che le classi dirigenti si dotavano di struttura politico-amministrativa- militare per garantirsi il potere. 
Oltretutto più è forte e inattaccabile il potere e più aumentano le possibilità per gli uomini strumento dello stesso potere di arrotondare. 
Quante fortune personali sono state costruite con l’oro alla patria ad esempio, non lo sapremo mai.
Conviene comunque soffermarsi sul fenomeno, com’è andato caratterizzandosi in questi ultimi tempi, perché anch’esso è la spia del livello di obnubilamento delle masse lavoratrici, a proposito della perdita della stessa idea di poter essere rappresentate in quanto classe. 
Siamo all’assurdo che il modello politico universalmente auspicabile è il partito onesto, senza por mente al fatto che se il partito stesso opera contro gli interessi delle masse popolari non sarà mai tale.
Quindi tutto questo pone l’altro problema: se non c’è consapevolezza che partito, per le masse popolari deve significare alternativa radicale al potere costituito, con il quale non è possibile dialogare ma solo combattere, viene a mancare la necessità stessa di avere un motore, cioè il partito.
Certo non sarà facile districarsi per addivenire ad una definizione d’alternativa condivisa. 
Non si può dimenticare che uomini, così come organizzazioni politiche di sinistra, sono finiti nell’ingranaggio culturale predisposto per negare sia il partito dei lavoratori che l’alternativa reale al sistema. 
Così, come non si può negare che ci saranno resistenze di segno opposto, di persone ed organizzazioni le quali suppongono che l’opposizione alla deriva culturale promossa dalla borghesia, non possa essere che una riproposizione di schemi derivanti da questo o quel periodo storico, considerato, sul piano delle idee, più congeniale, peraltro spesso senza aver proceduto a farne un’analisi approfondita collegiale.
La comprensione delle peculiarità politiche del momento, comporta la necessità di comprendere che il nostro è un lavoro finalizzato prima di tutto ad invertire una tendenza.
 Se si considera realistica anche solo la metà di quanto esposto sopra, è fuori discussione che il programma d’alternativa non può essere che costruito, tenendo conto della necessità che vi si possa rispecchiare la parte migliore della società, quella che ha rifiutato l’omologazione ai canoni imposti dalla borghesia e dai suoi uomini di mano, e nello stesso tempo dovrà essere comprensibile e condivisibile dalla parte delle masse che già oggi ha scelto di lottare, sia pure confusamente e su obiettivi a volte semplicemente limitati, altre su obiettivi decisamente compatibili con il processo culturale che la borghesia sta attuando.
Per questo ed altro credo che, se si immaginasse il programma d’alternativa come una cosa definibile minuziosamente nei dettagli, attorno alla quale, poi, raccogliere le grandi masse, sarebbe l’errore più grossolano che si potrebbe commettere. 
L’alternativa dovrà essere definita nel corso del lavoro con le masse e fra le masse e per questo non può essere considerata semplicemente frutto dell’ingegno di qualche intellettuale.
Ciò detto, considero fondamentali alcuni punti fermi attorno ai quali credo non sia possibile sorvolare. Uno di questi è costituito dal rifiuto di qualsiasi forma d’alleanza con forze politiche portatrici del progetto politico capitalista, come il PD. 
Da ciò deriva la necessità dell’uso dello stesso metro a livello internazionale. 
Non esiste oggi, in nessun consesso elettivo di cui la borghesia si è dotata, la possibilità di formulare alleanze con partiti, formazioni politiche, uomini politici che non si pongono in totale, assoluta alternativa al potere politico capitalista. 
Chi, oggi, sostiene il contrario, consapevolmente o no porta con sé il germe della collaborazione di classe.
La battaglia contro l’euro, per dirne una, è una battaglia di retroguardia, condotta su un terreno congeniale anche a settori della borghesia in quanto non dirimente la questione della gestione del potere. 
Anzi, per alcuni aspetti questa battaglia risulta deviante rispetto anche al semplice obiettivo di limitare il potere capitalistico, perché condotta su un piano (quello della moneta) che è sempre congeniale al sistema e connaturato con esso.
Non è più tempo, anzi è un malinteso pensare che lo sia stato, di affidare a pattuglie di eletti il compito di limitare i danni della gestione capitalistica.
Il terreno di scontro l’ha scelto la borghesia, è uno scontro frontale, diretto e totalizzante, all’idea stessa che le masse lavoratrici possano divenire qualcosa di diverso di limoni da spremere.
Tenendo conto di questo, l’unico uso ipotizzabile dei consessi elettivi borghesi, è quello del lavoro per inceppare il più possibile il funzionamento degli stessi e quello di denuncia della valenza esclusiva antipopolare che hanno assunto, sfornando leggi liberticide a tutto spiano e favorendo la finzione che il potere sia nell’elettore.
E’ chiaro che non può trattarsi di una rinuncia a cercare di cambiare in senso più favorevole alle masse gli stessi consessi, ma senza cadere nell’illusione di poterlo fare senza l’apporto esclusivo, costante e decisivo delle masse stesse.
 Nessuna alleanza estemporanea è in grado di cambiare questo stato di cose, anzi, la storia anche recente, insegna proprio il contrario.
In tutto questo assume rilevanza vitale il termine comunista. 
Nulla di quanto si verifica oggi non era stato previsto da Marx, quindi diviene naturale calcare sull’alternativa dallo stesso prefigurata. 
Non si tratta, qui, di rimanere ancorati a schemi del passato, quanto piuttosto di legare l’idea stessa dell’alternativa alla sua natura scientifica.
Questo comporta due elementi indissolubilmente interconnessi. 
Il primo riguarda la natura dell’alternativa, appunto. 
E’ prefigurabile, oggi, di fronte all’attacco senza compromessi portato avanti dalla borghesia, immaginare un’alternativa diversa da quella socialista? 
Sarebbe utile indicare più o meno genericamente una società “più giusta” dove la borghesia la faccia ancora da padrone? 
Decisamente credo di no.
L’altro elemento è costituito dalla specificità dell’organizzazione comunista, l’unica che può permettere, con cognizione di causa, di collegare i vari momenti di lotta per farli concorrere all’alternativa complessiva.
Direzione collegiale senza personalismi, intercambiabilità reale ai posti dirigenti, elaborazione collegiale dove si concretizza il massimo della democrazia e subordinazione della minoranza alla maggioranza sino alla verifica successiva. 
Sono i cardini dal cui rispetto dipende il partito stesso e le prospettive strategiche di vittoria.
Non si tratta di una ripetizione di formule astratte, quanto piuttosto della constatazione di quanta responsabilità, nello sfacelo del movimento comunista internazionale, abbia avuto il mancato rispetto di queste semplici regole. 
Il nemico di classe è ovunque, anche nella “personalità” comunista che ama cantare per conto proprio.



mercoledì 24 dicembre 2014

BUON NATALE di G Angelo Billia

BUON NATALE di G Angelo Billia

Mentre la cariatide spruzza veleno, cioè ordini a tutto spiano, in attesa di fare il pensionato “nobile” dell’ignobile fascismo, Lupi spara sulla protesta “terroristica” sognando tribunali speciali, inquisitori alla Torquemada, carceri nelle quali appendere per i pollici alle pareti trasudanti umidità i “colpevoli”, perché dissenzienti.
Alfano, dal canto suo, agitandosi per smentire i maldicenti che ad ogni piè sospinto dicono “Alfano chi?”, promette che confezionerà un capolavoro di leggi antiterrorismo.

 A tale scopo sembra abbia intenzione di avvalersi della consulenza di Magistrati torinesi noti per la loro “preparazione”.
 Nel frattempo qualcuno giura di averlo visto nei musei vaticani, mentre scartabella le relazioni dei prelati al seguito dei conquistadores.
Intanto l’uomo al comando (mamma mia), con l’ausilio dei molti badanti di cui si circonda, ritocca con finezza i testi appena approvati per cancellare anche l’ombra dei diritti. 

E’ Natale, santa Madonna, i regali li ha fatti in anticipo ed ora è in ambasce. 
Tra una spunta e l’altra trova anche il tempo per accusare gli “altri” di aver sbagliato tutto con la vicenda Marò. Non sia mai che Lui non difenda la sua “onorabilità”!
La Bonino, laica sì, ma è Natale anche per lei, si sveglia dal torpore che l’assale da quando sogna il Quirinale e, udite, udite, “le regole d’ingaggio di La Russa erano sbagliate”.

Della serie “anche i topi a Natale partoriscono”.
Nel frattempo in Emilia e in altre regioni, la nomenclatura PD è in affanno, lo stesso di chi, dopo aver confezionato il termine Mafia Capitale, non sa più a che santo voltarsi per definire le loro prodezze.
Una visione d’insieme non può prescindere, però, da quelli che un tempo lontano venivano definiti con rispetto consessi elettivi. 

Sgradevole sensazione quella di essere circondati, in ogni dove, da personalità la cui definizione, se la giustizia non fosse una chimera, si troverebbe agevolmente nel Codice Penale.
E poi, adattando una frase abusata nei tempi passati, un pensiero agli italiani d’oltremare lo vogliamo dedicare? 

No, non agli emigranti, merce avariata ininfluente nei grandi progetti, parlo degli uomini in divisa, quelli che si dice abbiano la testa a Roma e quelle altre cose all’estero, nei teatri di guerra, cioè, volevo dire, di pace.
Buon Natale amici e compagni.
P.S. A proposito, ce lo ricordiamo che se le cose stanno così è anche colpa nostra?




martedì 23 dicembre 2014

ATTUALITA’ DELL’IDEA di G Angelo Billia

ATTUALITA’ DELL’IDEA di G Angelo Billia

Nei commenti relativi alle prese di posizione sull’attualità dell’idea comunista, da qualche decennio a questa parte, si nota, spesso anche da parte di persone che si qualificano comuniste e di sinistra, tutta un gamma di reazioni negative.

 La più comune sottintende la necessità del superamento di quelli che vengono concepiti come dogmi.
In buona sostanza, secondo questa critica, pur continuando a sostenere la bontà del marxismo, partendo da un’analisi storica, più istintiva che ragionata, si finisce sempre sul tema del rinnovamento, o, se si preferisce, sulla necessità dell’aggiornamento della teoria, sulla base dei cambiamenti avvenuti nel mondo moderno.
Forse, sarebbe opportuno, nell’affrontare la questione, por mente all’entità dei cambiamenti avvenuti nella borghesia, soprattutto per rispondere al quesito che necessariamente si pone: com’è cambiata la situazione attuale rispetto a quella precedente?
A ben guardare, gli elementi di cambiamento indubbiamente ci sono, ma che questi siano tali da snaturare la stessa analisi marxista, imponendone un ripensamento teorico politico, sembra più una concessione alle velleità intellettuali di qualche personaggio della sinistra piuttosto che una necessità reale.
E’ cambiato il modo di produrre capitalistico. 

Oggi la produzione di beni coinvolge, molto più che nel passato, settori di lavoratori che vengono definiti del “terziario”. 
Il proletario antagonista, in quanto classe, della borghesia, non è più solo l’addetto materialmente alla produzione, altri settori, da quello dei trasporti di beni e persone, a quello della sanità, fino ad arrivare alla stessa scuola, sono coinvolti direttamente o indirettamente nel processo produttivo, né da questo elenco possono essere esclusi i lavoratori del mondo della cultura, in quanto anch’essi produttori di beni, sia pure spesso immateriali.
L’introduzione di nuove tecnologie nel processo produttivo ha ridotto il numero dei lavoratori direttamente impiegati nella produzione e ha contemporaneamente cambiato, in una certa misura, la figura stessa dell’operaio (non è raro, oggi, trovare un solo tecnico là dove qualche decennio or sono erano al lavoro decine di operai in tuta). 
La delocalizzazione industriale è stata resa possibile dall’esiguità del personale altamente qualificato necessario a far funzionare le macchine. 

E’ agevole, trasferendo alcune decine di persone preparate e super pagate, creare rapidamente le condizioni produttive preesistenti lucrando sui salari di milioni di uomini.
A questo proposito si nota un cambiamento nella politica neocoloniale, tradizionalmente tesa ad appropriarsi delle ricchezze. 

Infatti, ha assunto un’importanza d’entità priva di riscontri nel passato, lo sfruttamento diretto della stessa forza lavoro, non solo in dipendenza della spogliazione delle materie prime, ma anche nella produzione di prodotti ad alto apporto tecnologico aggiunto, fino a qualche anno fa confezionati direttamente nei paesi colonialisti. 
Manco a dirlo, ciò avviene in dipendenza dell’assenza di qualsiasi potere contrattuale dei lavoratori.
Né si può dimenticare il peso smisurato assunto dal capitale finanziario nell’economia capitalistica.

 La crisi di sovrapproduzione iniziata alla fine delle ricostruzioni del dopoguerra, ha favorito lo storno del capitale produttivo a favore di quello finanziario, così come l’ha fatto la quotazione in borsa di aziende o parti scorporate di esse, rendendo disponibili, pronta cassa capitali da impiegare in speculazioni finanziarie senza nessun rapporto con la produzione di beni. 
Questi fatti, uniti al peso smisurato raggiunto dai fondi pensionistici di alcuni paesi ha fatto il resto. 
La cosiddetta finanza creativa è il prodotto scontato di questa realtà.
Da ciò deriva l’ulteriore accrescimento del peso che le banche hanno sempre avuto nella gestione capitalistica. 

Sotto questa luce, le esortazioni alle stesse banche di aprire il credito alle aziende per rilanciare l’economia, fa sorridere, soprattutto perché l’economia capitalistica, in questa fase non risparmia la piccola borghesia, tant’è vero che la recrudescenza della crisi ha messo in evidenza, soprattutto nella fase iniziale, l’impoverimento di settori fino ad allora considerati privilegiati, non tanto e non solo nel settore dell’aristocrazia operaia, quanto piuttosto nella piccola e media borghesia.
Gli assetti capitalistici internazionali, cresciuti a dismisura con l’internazionalizzazione dei cartelli finanziari e produttivi, non poteva che dare nuovo impulso alle cordate imperialistiche, creando anche rimescolamenti di portata inedita nel dopoguerra. 

Non è raro trovare multinazionali gravitanti nell’orbita americana, con interessi nell’orbita russa e, o cinese, oppure viceversa. 
Tutto questo, anziché costituire un elemento di stabilizzazione, in realtà è alla base degli accresciuti pericoli di guerra. 

Infatti queste sono contraddizioni che, non essendo assorbite nella normale dialettica imperialista, costituiscono il valore aggiunto nella tendenza degli apparati politici militari a risolvere con lo scontro armato. 
E’ il caso, ad esempio, della vicenda Ucraina.
Nel quadro generale assume rilevanza la conquista delle fonti energetiche, come l’assume, in una sordina ingiustificata, l’importanza dell’operazione tendente a ingabbiare la produzione agricola internazionale entro parametri d’esclusività proprietaria, impensabili solo alcuni decenni or sono.
L’Europa, così com’è venuta a caratterizzarsi, rappresenta un tentativo d’affrancamento dall’orbita americana dell’imperialismo europeo, tentativo fallito perché l’esperienza americana ha fatto sì, quando ancora il progetto non era realizzato, di scatenare una guerra per il petrolio (la prima guerra del golfo), coinvolgendo il nascituro nell’operazione, contro il proprio stesso interesse.

 Non si può dimenticare, infatti, che l’Iraq era il produttore che per primo rifiutava la divisa americana preferendole quella europea, per il pagamento delle proprie forniture.
Da allora, pur permanendo velleità imperialistiche europee d’indipendenza, il vecchio continente ha visto prevalere le vecchie cordate, più o meno stabilmente dipendenti e coordinate con quelle americane.
Sul piano politico militare la cosa ha comportato un riallineamento alla filosofia NATO, cioè USA, appena mitigata dalle levate di scudi di facciata di alcuni paesi europei.
Entrando, poi, nel particolare dei singoli paesi, notiamo che l’elemento unificante è un costante livellamento al ribasso del tenore di vita delle masse e un contemporaneo rafforzamento, in chiave antidemocratica, della struttura di potere capitalistica. 

Il tutto è un indizio sicuro di dove si voglia andare a parare, cioè ulteriore pressione per azzerare il potere contrattuale delle masse lavoratrici e crescita costante dell’accumulazione di capitali, quindi di potere, facendola pagare alle masse lavoratrici stesse.
Com’é reso evidente anche dal presente, parziale riassunto, nulla autorizza a pensare ad un superamento, sia pure limitato, della teoria marxista. 

Le novità in casa capitalista dovrebbero essere incasellate alla voce razionalizzazione. 
Per giungere alla situazione attuale un robusto supporto è stato dato dall’impegno corale dei media, tutto finalizzato al cambiamento del modo di percepire delle masse.
E’ stato un lavoro lento e graduale, che ha portato, da una certa fase in poi, ad abiurare i modelli culturali del passato, primi fra tutti la coscienza anticapitalista e antifascista. 

Questo elemento, a livello di massa ha, prima di tutto, eliminato qualsiasi capacità critica, se si eccettua l’ininfluente mugugno.
L’esperienza storica, soprattutto quella relativamente recente, ha cessato ogni funzione educativa rendendo le masse permeabili anche alle esperienze più negative, anche quelle, appunto, vissute nel passato nel modo più drammatico possibile, come il fascismo.
La personalizzazione della politica, elemento già presente, culturalmente, negli anni settanta, ha avuto la definitiva conferma con Berlusconi, con esso si è andato affermando il partito personale e la demolizione del Parlamento, così, com’era concepito nella carta costituzionale.
Tale trasformazione, vissuta con inusitata naturalezza dal popolo, ha sancito la rottura del cordone ombelicale con la storia della prima metà del novecento e con quanto di negativo essa tramanda anche in termini di uomini soli al comando.

Sul piano politico propriamente impegnato culturalmente, quest’opera di rimozione storica ha mietuto vittime nella sinistra, anche in quella parte, e non è poca, che si richiama idealmente al marxismo.

 In sostanza, la rimozione acritica del passato, ha creato le condizioni per l’affermazione di valori propri della destra, sempre più spesso intesi come adeguamenti della tattica, giustificati dalle mutate condizioni dei giorni nostri.
E’ così che si assiste, prima nell’ultimo PCI, poi in Rifondazione Comunista, fino a giungere da parte delle molte realtà para politiche-organizzative attuali, all’affidamento al presunto potere salvifico delle “personalità” di volta in volta individuate, alle quali consegnare le speranze di riscossa.
Ecco perché la direzione collegiale ha finito per perdere significato ed ecco perché, in più occasioni, assistiamo all’assegnazione del diritto di veto direttamente al capo prescelto, annientando così persino l’idea dell’organizzazione comunista.
Nel momento in cui il capitalismo dà luogo ad un riequilibrio di portata planetaria, a tutto svantaggio delle masse lavoratrici, spazzando via qualsiasi concetto di diritti che non siano i propri, l’idea stessa di alleanze con sue parti supposte progressiste, oltre ad essersi già dimostrata perdente, assume i contorni di un vero e proprio tradimento.
Così come, considerare la situazione determinata dalle scelte capitalistiche, come indizio del cambiamento delle contraddizioni ampiamente sviluppate da Marx e trarne la conclusione della necessità dell’evanescenza dell’organizzazione comunista, soppiantata da formule organizzative, o scimmiottate da un passato scarsamente definito, o da un presente considerato erroneamente rivoluzionario, rappresentano la premessa sicura del fallimento delle lotte rivendicative immediate e delle stesse prospettive di liberazione dell’umanità.



domenica 21 dicembre 2014

T.A.M. Cagliari a "Spaceescape", Oratorium chiesa della Confr.ta del Purgatorio, Ostuni, Brindisi.






T.A.M. Cagliari a "Spaceescape", Oratorium chiesa della Confr.ta del Purgatorio, Ostuni, Brindisi.


1) I lavori sono liberamente prelevabili da chi lo desiderasse, è il privato, lo spettatore e il fruitore a determinare il valore simbolico e affettivo che determina una operazione artistica.


2) Lo spettatore che decide di ritirare l'elaborato, ha a disposizione un pennarello con il quale firmare il o i lavori che intende prelevare, altrimenti avrà un lavoro non firmato e non autenticato da lui stesso (sarà impossibile ricostruire le vicissitudini di una operazione artistica a così ampio raggio di interconnessione). Nella auto autentica dovrà anche indicare la data e il luogo dove è avvenuto il prelievo dell'opera.


3) Una volta firmato il lavoro, lo spettatore che lo preleva, per la sua abusiva e privata collezione d'arte contemporanea, s'impegna a farsi fotografare con i lavori prelevati e a postare o fare postare dall'organizzazione dell'evento culturale il proprio lavoro tramite facebook con tanto di tag agli autori, allo scopo di documentare negli anni tutta l'operazione e anche l'itinerare dei lavori sulla piattaforma di movimento www.tavorartmobil.blogspot.it.








"...é un modo nuovo e originale con cui l'Artista da la possibilitá alle persone di autentificare e certificare le sue opere, utilizzando il social network". 

Claudio Golizia


"sign. mimmo domenico di caterino, apprezzo il modo di certificare l'opera in tal modo, anzi, dovrebbero prenderne spunto molti artisti !!! 
Il mio mah era riferito all'opera..., senza offesa, non mi dice nulla..., per me non è classificabile..."

Angelo Lionetti


"Signor Angelo, che un opera "dica" senza intermediazioni, mi lasci scrivere che è una cazzata fuorviante, lei ha mai parlato con un opera? 
Nel qual caso avrei per lei un buon psicologo o forse è lei a potermi consigliare un buon pusher di riferimento per verificare su di me questo stato allucinatorio della coscienza. 
Premesso questo che l'opera sia non classificabile per lei è un valore aggiunto, dal momento che in una operazione come questa si antepone il processo del fare artistico al prodotto, che in questo mondo interconnesso rendono proprio l'umano consumatore del web il prodotto a costo zero sul mercato. 
Quindi nessun prodotto, nessuna opera parlante e nessuna classificazione nel secolo del 2.0 e delle applicazioni, soltanto la volontà, attraverso la complicità delle stesse intermediazione web che consentono a chi partecipa al processo di condivisione e di movimento del fare artistico tali operazioni che più che parlare, evidenziano, denunciano e discutono. Si offende se le scrivo che trovo il suo commento non classificabile e completamente incapace di comprendere per saccenza, pedanteria o ignoranza le rivoluzioni del secolo in corso? 
Nello specifico, lo schizzo in questione è un mio autoritratto studio (come tutti) attraverso il quale per qualche minuto ho indagato il mio segno e il mio umore in chiave arteterapeutica, evidentemente non le dice niente perché non le dico niente e se non mi ascolta, come può pretendere che uno schizzo parli per me e mi racconti? 
A maggior ragione se lei non lo vuole "classificare". 
Chiudo scrivendole che il fatto che lei non l'abbia prelevato, evidentemente la pone in condizione di chi non ha classificato, il mondo è bello perché e vario, la saluto esco e vado a parlare con un quadro, avrà tante cose da dirmi, magari mi aiuta a comprendere la differenza tra opera e operazione..."

La risposta di T.A.M. Cagliari al signor Angelo Lionetti.



 "Spazi come luoghi da gestire in maniera nuova, utopica e alternativa, spazio come mezzo di fuga di cui appropriarsi per uscire dalle convenzioni, dagli stereotipi e dalla retorica" . Michele Trotti











mercoledì 17 dicembre 2014

"Sul movimentismo" di G Angelo Billia.

SUL MOVIMENTISMO di G Angelo Billia.

“Gettare il cuore oltre l’ostacolo”
, a prima vista, a sinistra è una frase che ha il suo fascino, sottintende la caparbietà di chi non si lascia disarmare dalle difficoltà, ma si può essere sicuri che preluda ad una garanzia di continuità della lotta?
Probabilmente sì, ma a condizione che la lotta stessa faccia parte di un progetto strategico che abbia come obiettivo finale la liberazione dell’umanità dall’oppressione capitalistica.
La realizzazione di questa condizione comporta la comprensione dell’ineludibilità di una serie di passaggi, all’interno dei quali il primo posto è detenuto dagli strumenti della lotta e gli obiettivi, cioè la distinzione fra i mezzi da adottare e i fini da raggiungere.
Proprio su questo punto, nella storia passata e recente del nostro paese, la confusione ha regnato spesso sovrana. 

Già nel lontano movimento sessantottesco l’elemento che balzava agli occhi era, accanto a quello della grande combattività delle masse, in particolare giovanili, l’indeterminatezza degli obiettivi. 
Essi erano compresi in modo confuso e contraddittorio e confluivano tutti nel sogno di redenzione, quasi mai meglio specificato.
La causa di ciò andava ricercata nel ruolo di un PCI avviato sulla strada del revisionismo e nel conseguente annacquamento, quando non esplicito rifiuto, fra le masse in lotta, del concetto stesso di partito, a tutto vantaggio di una concezione movimentista, che di fatto esauriva nella lotta anche la parte di progettualità necessaria a garantirne il successo nel tempo.
Ciò che accadde allora e andò a rafforzarsi nel tempo, è una fusione impropria dello strumento e della progettualità, assegnando allo strumento (la lotta), quelle attribuzioni rivoluzionarie che lo strumento in sé non ha, non può avere.
Si verificò, in sostanza, il meccanismo proprio dei moti spontanei delle masse e l’annullamento, in essi, di quelle che si ritenevano avanguardie.
Assegnare a questo fatto tutta la responsabilità del riflusso successivo sarebbe ovviamente un errore, in quanto sono molte le variabili che l’hanno determinato, ma certamente la perdita della nozione di partito ha fatto sì che venisse a mancare qualsiasi continuità strategica anche con le lotte successive.
Sul versante propriamente dei comunisti, l’accaduto, anche se diede luogo a malumori e a vere e proprie ribellioni, non giunse mai ad una sistematicità d’analisi che permettesse di superare il problema collettivamente.

 La stessa costituzione di Rifondazione Comunista, anziché scaturire da un’analisi critica dell’esperienza del PCI e della sua degenerazione, per una parte fu la speranza, dimostratasi velleitaria, di cambiare la situazione in corso d’opera e per l’altra fu la riproposizione tout court del PCI come era andato modificandosi nel tempo.
Il risultato veramente paradossale di queste esperienze è che, ancora oggi, nel movimento che si oppone alle misure capitalistiche, prevale, come e più che nel ’68 l’identificazione dello strumento con la strategia. 

Oggi ognuno coltiva il suo orticello attribuendogli una valenza rivoluzionaria che non ha e non può avere.
Senza forzare, con analisi distruttive che lascerebbero il tempo che trovano, ma occorre dirlo che, in situazioni in cui l’oppressione del nemico di classe è tale da rendere istintiva la ribellione dei settori più colpiti, il più bel regalo che si possa fare alla borghesia è far credere alle masse che senza un progetto e un’organizzazione che se ne faccia carico è comunque possibile emanciparsi. 

Con questa concezione imperante in premessa, la conclusione più probabile è un massacro e un riflusso che oblierà per un altro mezzo secolo qualsiasi speranza d’emancipazione.
A tutti, ma in particolare ai comunisti, trarre le debite conclusioni.




L’ITALIA DI DOMANI
(olimpiadi e dintorni)

Contraddicendo Monti, per ragioni di bottega, il chierichetto di Firenze candida l’Italia per le Olimpiadi. Sono molti i sottintesi dell’operazione, ma su tutti spicca il messaggio subliminale che il capo in seconda del partito unico, (il primo è l’ex GUF del Quirinale), lancia alla nazione: visto? L’Italia non è più quella di Monti, oggi NOI ce lo possiamo permettere.
Sgomberando immediatamente il campo dall’ovvia considerazione secondo la quale siamo in presenza dell’ennesima montagna di soldi pubblici che “passeranno di mano”, cosa che si potrebbe tranquillamente etichettare alla voce “investimenti per il LORO futuro”, viene in mente di immaginare quale sarà il futuro del paese.
La base di partenza non è, come molti sembrano pensare, l’austerità inaugurata da Monti, piuttosto è un sistema di potere politico economico che considera “sano” un sistema con il 7-8% di senza lavoro e con sacche di povertà “fisiologiche”.
Su questo sfondo si è innestata la crisi, dovuta alla “scoperta” che i capitali possono essere raddoppiati nel giro di mezza giornata, senza nessun collegamento con la produzione di beni reali.
E’ fuor di dubbio che le conseguenze sociali di tale crisi siano destinate ad aggravarsi e con esse aumentino le necessità di controllo delle ribellioni di massa.
La strategia adottata non è neppure originale, da un lato si delega agli “onesti” e a chi viene percepito come tale, il compito di convincere che il marciume non è nel sistema, ma piuttosto di quelli che ne fanno un uso distorto, “illegale”, dall’altro ecco pronta la medicina per la terapia di massa: annientamento delle già insufficienti garanzie, azzeramento dei valori costituzionali demolendo la Costituzione nella parte più avanzata, legnate con contorno di gas sempre più sofisticati e, per i più insistenti, l’accusa di terrorismo destinata a trasformare col tempo, i luoghi di detenzione in nostrane Guantanamo.
Intanto, quelle che potrebbero essere considerate finte operazioni trasparenza, vedi mafia capitale, anziché sortire l’effetto di convincere l’opinione pubblica della lealtà del potere che sarebbe insidiato dal malaffare, rendono sempre più evidente che si tratta di volti diversi della stessa piovra, sostanzialmente uguale sia quando ruba in modo classico, brigantesco, sia quando lo fa ponendo mano alle leggi.
Uno dei risultati di questa presa d’atto da parte dei cittadini, è l’allontanamento dal voto, con l’ovvia operazione del chierichetto di sovrastimare, grazie ad un’informazione addomesticata, il peso della minoranza che vota tardando ad accorgersi dell’imbroglio in cui sta vivendo.
Evidentemente tutto questo condurrà alla stabilizzazione di un regime il quale, anche grazie ad un sistema elettorale tagliato su misura, permetterà a pochi uomini di fiducia del capitale di dirigere il paese, conducendo alle estreme conseguenze la spogliazione delle masse lavoratrici.
A questo proposito vale la pena fare un cenno all’Europa concepita come cane da guardia degli interessi capitalistici ed imperialistici.
Trattandosi di un’entità sovranazionale, mentre nelle segrete stanze decide l’entità della spogliazione dei popoli, in quelle ufficiali, “democraticamente” elette, si procede legiferando su elementi di secondo piano che non insidiano per nulla interessi e decisioni delle cupole internazionali. 
Il tutto crea un profondo risentimento verso l’Istituto europeo, risentimento che torme di volenterosi “sinistri” incanalano, poco opportunamente, verso l’Euro e qualche volta la Germania “pigliatutto”, senza sapere che il problema dell’Europa è esattamente il problema dell’Italia, cioè l’irriformabilità del capitalismo e del suo sistema di potere.
L’Italia delle Olimpiadi quindi, ammesso che la banda italiana prevalga sulle bande di altri paesi, sarà la logica prosecuzione di quella attuale: chi lavorerà lo farà esclusivamente per sopravvivere; chi non lavorerà passerà il suo tempo fra un pasto donato e l’espediente da inventare per avere il successivo; sul piano pensionistico, anche se sembra impossibile, la situazione sarà sicuramente peggiore dell’attuale, cioè saranno a regime le non pensioni derivanti dalle varie “riforme”, sia quelle imposte, sia quelle “concordate”; la Sanità sarà sempre più per ricchi, così come l’istruzione; nei luoghi di lavoro varranno le regole imprenditoriali di un secolo fa; le carceri saranno sempre più luoghi dove confinare i ribelli e i cittadini -che già oggi non sono ispiratori delle Leggi e della loro applicazione- saranno controllati da uno Stato sempre più militarizzato e da un apparato giudiziario opportunamente aggiornato per la bisogna.
Né si può pensare che l’elenco appena fatto sia davvero esaustivo del nostro futuro prossimo.
 Il sistema imperialista di cui l’Italia fa parte, ha nel proprio dna le guerre d’aggressione che sono il prodotto delle sue contraddizioni. 
Pensare che l’Italia e l’Europa stessa possa sfuggire a questa sorte è una pia illusione, come lo è quella di cambiare qualcosa grazie a qualche “illuminato” uomo di governo.
Affinché tutto questo non accada e il progetto di cui Renzi è rappresentante non si realizzi, occorre avere chiarezza di alcuni elementi: Non c’è opposizione possibile se non si supera l’idea, radicata in parte della sinistra secondo la quale è possibile allearsi con capitalisti “onesti” e i loro rappresentanti di “sinistra” nel partito unico; non c’è futuro accettabile se costruito dal capitale; non c’è lotta parziale che possa essere decisiva; non c’è lotta generale che possa essere condotta senza la presenza del partito comunista.