martedì 11 febbraio 2014

Lettera aperta al Signor Pino Giampà della Giuseppe Frau Galley.




Tenterò di fare un ragionamento serio, nonostante la nota cattiva fede della persona a cui mi rivolgo:

 La distinzione tra arte alta e arte bassa fa riferimento a un modello industriale capitalistico ottocentesco, dove si è stabilito una separazione tra un pubblico "colto" al quale rivolgere un arte alta, e un "popolo", ridotto a nutrirsi delle briciole della borghesia privata, cui Pino Giampà contro il popolo che abita il territorio (che non è suo e non è un bene privato) fa puntualmente e testualmente riferimento.
Questa logica di pensiero ha in passato disgregato e distrutto forme espressive, culturali ed artistiche popolari e comunitarie; lo scenario reale è questo, trovare punti di riferimento comuni tra singolo creatore o creativo artigiano (non artista, se parliamo di linguaggio e didattica dell'arte il termine artista è fuorviante) e un ambiente socioculturale determinato, in questo caso il Sulcis Iglesiente.
In questa ottica con la sua programmazione culturale privata di galleria, associazione o combriccola medioattivista vicino alla setta, dovrebbe cominciare a pensare che è il pubblico ad alimentare realmente il creativo e che di lui si nutre. In una realtà come quella Iglesiente perché persistere in una inutile pantomima mediatica rivolta esclusivamente a una borghesia e una classe dirigente a cui strizza ripetutamente l'occhio, che vive il suo rapporto con l'arte che patrocina all'insegna della doppiezza schizzofrenica se non dalla malafede?
Perché violentare con la propria visione dell'arte invece che lavorare per fa si che lo spettatore si riconosca in essa?
Che senso ha nel 2014, ragionare sull'arte con un unico parametro, ossia è arte ciò che è avanti rispetto a ciò che l'ha preceduto?
Chi può dire tra Michelangelo, Rodin, Rosso, Calder, Brancusi e Modigliani chi è arretrato?
In musica quanti sono i capolavori atonali?
La Scultura su pietra a prescindere dallo stile e dal linguaggio dei singoli artisti è un linguaggio classico e anche popolare dell'arte, quanta è invece l'arte contemporanea che si contorce su se stessa, concepita in salottini e stanze private, che non ha nulla, realmente nulla da dire a pubblico, comunità e territori? Dopo il Rinascimento c'è mai stata per quelli che sono i canoni dell'arte d'avanguardia contemporanei una grande scultura? Forse sta morendo, forse stanno morendo le opere d'ingegno, proprio quelli oggetti durevoli che erano forti della loro classicità, portatori della memoria, destinati a una esistenza indefinita nel tempo, rimandabili a un ambiente e una datazione precisa (ti sembra una presa di posizione anacronistica e nazional popolare signor Pino Giampà?).
Viviamo in un tempo che definisce come eccellenza e merito l'effimero, che cestina l'opera in favore del prodotto.
Adesso, tu bistratti tanto l'etichetta di "popolare", ma è proprio nel popolare l'unica possibilità di reazione costruttiva al monopolio del prodotto, il linguaggio popolare, primitivo e durevole dell'arte permette una gamma infinita di realizzazioni e di espressioni e tutte contemporanee; il linguaggio popolare lascia realmente spazio all'eccellenza dell'interprete quando diventa circolare (questo è un simposio di scultura ignorante! Ma se preferisci puoi anche chiamarlo performance plastico scultorea dal vivo).
Anche quando la Scultura, come nel caso di queste dimostrazione didattiche a tempo, non è fatta esplicitamente per conservarsi, permane, nel suo modo di essere, trasmettere e veicolare capacità soggettive che rendono anche certe brutture localizzate, uniche e irripetibili (è linguaggio dell'arte, da sempre è stato così, è il linguaggio più antico del mondo, altro che le tue strumentalizzazioni politiche per qualche spicciolo), capacità soggettive insite nella comunità stessa (quelle che tu vorresti ideologicamente forzare), da questo punto di vista, il mio, con orgoglio, ribadisco di essere in posizione diametralmente opposta rispetto alla tua idea di produzione di arte contemporanea dettata dal mercato (anche quello del voto politico) e di questo me ne faccio vanto.
Un unico regime oggi regola la circolazione delle opere d'arte, l'impersonale dittatura del mercato. L'arte è diventata un ramo dell'attività finanziaria globale. I mercati e i mercanti oggi sono generosissimi con gli artisti, ma riducono il valore dell'arte al prezzo sull'etichetta. L'estensione del mercato nel campo della cultura e della ricerca artistica espone popoli e culture a derive spirituali, morali e politiche. Il libero mercato globalizzato dell'arte contemporanea, nasconde il potere economico tra il nichilismo generale, l'unico reale obiettivo culturale che ha è l'accumulazione di beni riducendoli a divertimenti che non sono. 
Questo è il serio problema dei territori e delle culture oggi.
Non so perché ti ho replicato in maniera così alta, forse perché confido che prima o poi tu la cessi di manifestare un atteggiamento che sta mortificando il tuo lavoro ed anche di quelli che ingenuamente hai adescato, che ci credono o ci hanno creduto. Buon lavoro a te e buon lavoro a noi!


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