sabato 9 gennaio 2016

T.A.M. Cagliari a Reggio Calabria


Pensando al progetto espositivo di “Questa Casa non è un albergo” era ben chiara l’idea di un percorso di sopravvivenza nella città che vuol dire resistere alla rassegnazione, all’accettazione della situazione in cui ci si trova come individui o come collettività nel suo insieme, ma soprattutto si è creduto in un’occasione dalla quale partire per iniziare il lento ma progressivo recupero di una coscienza civica, caratteristica di una comunità emancipata e protagonista dei processi di trasformazione.

La mostra è curata da Giuseppe Capparelli, organizzata e allestita dall’associazione“Techne Contemporary Art di Reggio Calabria”, in partnariato con “The Format Culture Gallery” di Milano e con la sponsorizzazione di “Contemporary Reload di Guido Cabib”.

Si svolge nei locali del Grande Albergo Miramare di Reggio Calabria, rimasti chiusi per oltre undici anni, trasformandoli, anche se per un tempo limitato, in atipici contenitori per l’arte contemporanea, uscendo così dai luoghi tradizionali dei musei e delle gallerie.
Una conseguenza di tale slittamento spaziale è la possibilità di raggiungere diverse categorie di pubblico che normalmente non gravitano nell’orbita delle attività di musei e istituzioni operanti nel campo dell’arte contemporanea.

Per novanta giorni il pubblico si confronterà anche con opere concepite espressamente per questo spazio divenendo così parte attiva nel processo creativo.
Avrà anche modo di assistere a incontri sui temi relativi a sistemi, modi e luoghi dell’arte.. .
Un modus che darà possibilità agli artisti invitati di scegliere quei costrutti che hanno a che fare con il mondo incastonato tra le pareti di una casa con due portoni d’ingresso, uno che dà sul tempo e l’altro nello spazio condiviso, offrendo così a visitatori e curiosi il modo di indagarne dinamiche e relazioni.

Scrive Giuseppe Capparelli:
“Un contenitore di contenitori in cui ogni artista esporrà se stesso, la propria domus, endo o esocentrica, la sua costruzione o il suo disfacimento.
Il vessillo della vittoria sarà issato sulla cima delle sue macerie oppure sul suo vertice ben edificato?
Ma a noi rispondere non interessa.
Saremo contemporaneamente clienti e concierge, posti con cura fra le sale, accatastati come valigie nella hall, trasportati da un piano all’altro; vividi voyeur dello shock temporale di cui siamo protagonisti.
Però in fondo questo albergo non è una casa; esistono delle regole superiori, dei rigori da cui è inutile prescindere.
Ora le possibilità risolutive, che si pongono davanti a noi, sono la condivisione, la fuga o l’indifferenza.
Come dire: basta saper decidere quale strada scegliere.
E la scelta è pur sempre un’opportunità da non sottovalutare.

Potrà tutto rimanere come sempre, con la sua poetica di decadenza postromantica, oppure tutto potrà essere stravolto e rivolto verso la coincidenza di nuovi linguaggi e di obiettivi comuni, come approdo in un porto sicuro.
Che siano anche gli altri a decidere, perché tutti dovranno sentirsi partecipi di questo progetto, che non riguarda solo un luogo, tassello riposizionato in un mosaico di contingenze, più ampio e ancora da definire, in un territorio già proiettato verso realtà globali più avanzate.
Ripensare nuovamente lo spazio e il tempo a venire, per una nuova identità, non solo del luogo ma dell’intera collettività, questo è il senso ultimo di un progetto culturale – perché tale può definirsi – che non è una mostra nell’accezione più comune che il termine sottende.”

ph Giulio Mangiaviti

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