"La buona Scuola" di G Angelo Billia
CARI DOCENTI,
Ho molto piacere che boicottiate le prove invalsi, così come mi conforta che sommergiate elettronicamente Renzi di minacce di non voto al PD, e mi piace anche il fermento referendario contro il DDL scuola, ma dovete ammettere che qualcosa non va.
Il bonario ricatto di non votare PD svela comunque il fatto che del PD buona parte di voi era sostenitore.
A questa parte domando se si rende conto che l’attuale alzata di scudi può apparire più come un fatto corporativo, piuttosto che la presa di coscienza d’essere di fronte ad un regime il quale, dopo aver colpito i lavoratori dipendenti privandoli di ogni garanzia, procede con gli stessi intenti anche verso di voi, lavoratori pubblici.
Quale “cultura” avete ritenuto di veicolare votando PD?
Il silenzio assordante della vostra categoria in quella fase, nel vostro stesso interesse non deve essere taciuto.
Rendetevi anche conto che, quella minoranza fra di voi che da decenni lotta coerentemente contro il modo di concepire la scuola del regime -il DDL attuale è solo l’ultimo atto di un processo che dura da tempo- ha anche il pregio di far percepire una realtà combattiva coinvolgente tutti quanti voi.
Se questo, però, finisse per oscurare anche fra di voi la constatazione delle tante complicità presenti nella categoria e, quel che più conta, finisse per non contrastare gli effetti politici di queste complicità, tutto quello che di positivo sarà stato fatto finirà nel nulla.
Il DDL attuale parla di cultura, di una formazione culturale finalizzata a porre armi e bagagli il mondo della scuola al servizio della produzione, cioè, per dirla senza eufemismi, al servizio degli interessi industriali.
Il modello che viene perseguito è di derivazione americana, paese nel quale la maggioranza dei giovani finisce in scuole parcheggio e una minoranza proveniente dal mondo dei ricchi si impossessa del sapere per usarlo, domani, nella gestione del potere in tutti i suoi aspetti.
E le cose non sono diverse per quel che riguarda il corpo docente, soggetto a chi ha il compito d’imporre le scelte governative, usando le stesse come parametro di giudizio sui singoli docenti stessi.
Altro capitolo, autenticamente vergognoso -per usare un eufemismo-, è costituito dalla storia decennale dei docenti non di ruolo, usato dallo Stato mutuando gli imbrogli messi in atto dalle peggiori, anzi, ormai tutte, aziende private.
A loro si è richiesto l’impegno del docente di ruolo senza riconoscergli gli stessi benefici.
Vi domando dove eravate quando la situazione anziché procedere nel senso della soluzione del problema, andava ad incancrenirsi ulteriormente grazie alla misura d’investire della copertura delle supplenze lo stesso personale di ruolo.
Veramente, fatico a ricordare le vostre mobilitazioni per impedire che ciò accadesse!
In questi giorni, in prossimità del cinque maggio si è parlato molto della moglie del Presidente del Consiglio andata a scuola anziché scioperare.
Spero che in questi anni almeno una riflessione sia stata fatta sull’obbligo di comunicare prima lo sciopero.
Voi sapete meglio di un profano qual sono, che lo zoccolo duro del crumiraggio è favorito, dal fatto che non trova contrasto fisico da parte della maggioranza che sciopera e incamera una giornata di lavoro senza punto lavorare a causa dell’assenza della quasi totalità degli allievi.
Sia pure col senno di poi, ma non pensate che il rispetto dell’utenza sia stato né più né meno che un espediente per regolamentare lo sciopero spogliandolo del suo valore dirompente?
Ognuno è utente di qualcun altro e questo fatto, se malinteso, porta alla negazione di fatto del diritto alla lotta di tutti.
Ho l’intima certezza che più d’uno, alcuni anche fra chi lotta abitualmente, messo di fronte a questi problemi volge il viso verso le rappresentanze sindacali.
Non lo fate, ma non perché i sindacati siano senza macchia, tutt’altro, non lo fate perché vi siete affidati senza esercitare quello che viene definito il sale della democrazia, cioè il diritto di critica e, perché no, anche quello del rifiuto della delega.
Il vostro mondo lavorativo e la vostra stessa funzione docente vi pone nella dimensione più prossima al futuro rispetto ad ogni altro settore della società, se ciò nel sentire comune, viene avvertito più come un fatto astratto che concreto, in parte lo si deve anche a voi.
Da parte mia, proprio perché ho il massimo rispetto anche per la vostra sfera privata, –so quanto pesa sulla vostra busta paga e quindi sui vostri bilanci famigliari una giornata di sciopero-, sono portato ad attribuire anche a queste difficoltà, come dire, la scarsa affezione della categoria, facendo le debite eccezioni, alla lotta.
Senza contare la componente della perfetta inutilità di molti scioperi, dovuta in massima parte ai sindacati maggioritari e alla loro propensione a far passare tutto, o quasi tutto, in cambio di qualche successo di facciata.
Se ci fosse davvero consapevolezza del ruolo centrale della scuola nella società contemporanea e se essa fosse presente prima di tutto nel corpo docente, certamente dalla vostra categoria verrebbe un esempio culturale trainante per l’intera società.
Oltretutto siete la categoria di dipendenti pubblici più numerosa e, in termini contrattuali questo conta.
Si avvicina l’approvazione del DDL, con qualche modifica che lascerà inalterata la sostanza e già giungono voci di rassegnazione appena mascherata da una vena combattiva.
Qualcuno pensa già al toccasana, il referendum abrogativo, senza porsi il problema della quasi inutilità dello stesso sia a causa dell’uso distorto che ne è stato fatto in passato, con conseguente disaffezione del corpo elettorale, sia del fatto che referendum come quello dell’acqua pubblica, anche se hanno vinto vengono poi snaturati dal potere.
Tra l’altro, vale appena la pena di ricordare che, ad impedire le centrali nucleari nel paese, anche se ha vinto, non è stato il referendum, bensì il disastro di Fukushima.
Voi, oggi, per il credito acquisito con lo sciopero del cinque maggio, per il ruolo che svolgete e per la consistenza anche numerica della vostra categoria, avete il potere di non fare approvare il DDL o, in alternativa, di farlo rimangiare al Governo anche dopo averlo approvato.
Risultati questi che non potrete ottenere con minacce di voto difforme o di non voto, dovrete piuttosto ricorrere ad una mobilitazione permanente, chiedendo il supporto solidale dell’utenza, e pazienza se ciò vuol dire mandare a quel paese i sindacati concertativi.
In caso contrario “buona scuola”, sapendo che ci avrete messo anche del vostro.
CARI DOCENTI,
Ho molto piacere che boicottiate le prove invalsi, così come mi conforta che sommergiate elettronicamente Renzi di minacce di non voto al PD, e mi piace anche il fermento referendario contro il DDL scuola, ma dovete ammettere che qualcosa non va.
Il bonario ricatto di non votare PD svela comunque il fatto che del PD buona parte di voi era sostenitore.
A questa parte domando se si rende conto che l’attuale alzata di scudi può apparire più come un fatto corporativo, piuttosto che la presa di coscienza d’essere di fronte ad un regime il quale, dopo aver colpito i lavoratori dipendenti privandoli di ogni garanzia, procede con gli stessi intenti anche verso di voi, lavoratori pubblici.
Quale “cultura” avete ritenuto di veicolare votando PD?
Il silenzio assordante della vostra categoria in quella fase, nel vostro stesso interesse non deve essere taciuto.
Rendetevi anche conto che, quella minoranza fra di voi che da decenni lotta coerentemente contro il modo di concepire la scuola del regime -il DDL attuale è solo l’ultimo atto di un processo che dura da tempo- ha anche il pregio di far percepire una realtà combattiva coinvolgente tutti quanti voi.
Se questo, però, finisse per oscurare anche fra di voi la constatazione delle tante complicità presenti nella categoria e, quel che più conta, finisse per non contrastare gli effetti politici di queste complicità, tutto quello che di positivo sarà stato fatto finirà nel nulla.
Il DDL attuale parla di cultura, di una formazione culturale finalizzata a porre armi e bagagli il mondo della scuola al servizio della produzione, cioè, per dirla senza eufemismi, al servizio degli interessi industriali.
Il modello che viene perseguito è di derivazione americana, paese nel quale la maggioranza dei giovani finisce in scuole parcheggio e una minoranza proveniente dal mondo dei ricchi si impossessa del sapere per usarlo, domani, nella gestione del potere in tutti i suoi aspetti.
E le cose non sono diverse per quel che riguarda il corpo docente, soggetto a chi ha il compito d’imporre le scelte governative, usando le stesse come parametro di giudizio sui singoli docenti stessi.
Altro capitolo, autenticamente vergognoso -per usare un eufemismo-, è costituito dalla storia decennale dei docenti non di ruolo, usato dallo Stato mutuando gli imbrogli messi in atto dalle peggiori, anzi, ormai tutte, aziende private.
A loro si è richiesto l’impegno del docente di ruolo senza riconoscergli gli stessi benefici.
Vi domando dove eravate quando la situazione anziché procedere nel senso della soluzione del problema, andava ad incancrenirsi ulteriormente grazie alla misura d’investire della copertura delle supplenze lo stesso personale di ruolo.
Veramente, fatico a ricordare le vostre mobilitazioni per impedire che ciò accadesse!
In questi giorni, in prossimità del cinque maggio si è parlato molto della moglie del Presidente del Consiglio andata a scuola anziché scioperare.
Spero che in questi anni almeno una riflessione sia stata fatta sull’obbligo di comunicare prima lo sciopero.
Voi sapete meglio di un profano qual sono, che lo zoccolo duro del crumiraggio è favorito, dal fatto che non trova contrasto fisico da parte della maggioranza che sciopera e incamera una giornata di lavoro senza punto lavorare a causa dell’assenza della quasi totalità degli allievi.
Sia pure col senno di poi, ma non pensate che il rispetto dell’utenza sia stato né più né meno che un espediente per regolamentare lo sciopero spogliandolo del suo valore dirompente?
Ognuno è utente di qualcun altro e questo fatto, se malinteso, porta alla negazione di fatto del diritto alla lotta di tutti.
Ho l’intima certezza che più d’uno, alcuni anche fra chi lotta abitualmente, messo di fronte a questi problemi volge il viso verso le rappresentanze sindacali.
Non lo fate, ma non perché i sindacati siano senza macchia, tutt’altro, non lo fate perché vi siete affidati senza esercitare quello che viene definito il sale della democrazia, cioè il diritto di critica e, perché no, anche quello del rifiuto della delega.
Il vostro mondo lavorativo e la vostra stessa funzione docente vi pone nella dimensione più prossima al futuro rispetto ad ogni altro settore della società, se ciò nel sentire comune, viene avvertito più come un fatto astratto che concreto, in parte lo si deve anche a voi.
Da parte mia, proprio perché ho il massimo rispetto anche per la vostra sfera privata, –so quanto pesa sulla vostra busta paga e quindi sui vostri bilanci famigliari una giornata di sciopero-, sono portato ad attribuire anche a queste difficoltà, come dire, la scarsa affezione della categoria, facendo le debite eccezioni, alla lotta.
Senza contare la componente della perfetta inutilità di molti scioperi, dovuta in massima parte ai sindacati maggioritari e alla loro propensione a far passare tutto, o quasi tutto, in cambio di qualche successo di facciata.
Se ci fosse davvero consapevolezza del ruolo centrale della scuola nella società contemporanea e se essa fosse presente prima di tutto nel corpo docente, certamente dalla vostra categoria verrebbe un esempio culturale trainante per l’intera società.
Oltretutto siete la categoria di dipendenti pubblici più numerosa e, in termini contrattuali questo conta.
Si avvicina l’approvazione del DDL, con qualche modifica che lascerà inalterata la sostanza e già giungono voci di rassegnazione appena mascherata da una vena combattiva.
Qualcuno pensa già al toccasana, il referendum abrogativo, senza porsi il problema della quasi inutilità dello stesso sia a causa dell’uso distorto che ne è stato fatto in passato, con conseguente disaffezione del corpo elettorale, sia del fatto che referendum come quello dell’acqua pubblica, anche se hanno vinto vengono poi snaturati dal potere.
Tra l’altro, vale appena la pena di ricordare che, ad impedire le centrali nucleari nel paese, anche se ha vinto, non è stato il referendum, bensì il disastro di Fukushima.
Voi, oggi, per il credito acquisito con lo sciopero del cinque maggio, per il ruolo che svolgete e per la consistenza anche numerica della vostra categoria, avete il potere di non fare approvare il DDL o, in alternativa, di farlo rimangiare al Governo anche dopo averlo approvato.
Risultati questi che non potrete ottenere con minacce di voto difforme o di non voto, dovrete piuttosto ricorrere ad una mobilitazione permanente, chiedendo il supporto solidale dell’utenza, e pazienza se ciò vuol dire mandare a quel paese i sindacati concertativi.
In caso contrario “buona scuola”, sapendo che ci avrete messo anche del vostro.
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