Gentile Direttore,
sono rimasto piuttosto sorpreso nell’apprendere che “Le
Quattro Giornate del Cinema di Napoli”, giovane e meritorio festival di cinema
che intende innescare una riflessione sul rapporto tra cinema, giovani e mondo
del lavoro, dedicasse un evento speciale alla proiezione di un documentario, “the
Earth: our home”, realizzato nel 2010 da ACT Multimedia di Cinecittà e da
OCCAM di Milano per conto delle Nazioni Unite (almeno stando ai comunicati
stampa) e scritto dallo sceneggiatore Vincenzo Cerami, com’è noto, recentemente
scomparso.
In effetti mi è sembrato un discreto paradosso.
Il punto è che io sono il montatore del documentario in
questione (che è sostanzialmente un film di montaggio, nel senso che assembla
materiali visivi tratti da grandi film della storia del cinema) e, per il
lavoro che ho svolto senza soluzione di continuità per circa 4 mesi e per cui
spesso mi sono dovuto trattenere anche la sera, non ho percepito ancora il
becco di un quattrino.
Ѐ da tre anni che chiedo ai produttori del film di venire
pagato, anche attraverso la mediazione di un avvocato, ma Act Multimedia, OCCAM
e Nazioni Unite (che peraltro sostengono di non avere nulla a che fare con il
documentario) rispondono in maniera confusa e/o si palleggiano le
responsabilità, nel più classico degli “scarica barile” all’italiana.
Ora, immagino che nella mia situazione si trovino tante
altre persone, e che una storia come quella che ho appena raccontato suoni,
ahimè, sin troppo familiare ai tanti giovani cineasti che in questi giorni
affollano la neonata kermesse partenopea, abituati a non vedersi riconosciuti
alcuni tra i diritti più elementari di un lavoratore, come avere un contratto e
ricevere un compenso.
Proprio per questo motivo mi sembra(va) importante
segnalare ad un festival così esplicitamente orientato ai problemi del lavoro
che, se addirittura i produttori di un film “realizzato per conto delle Nazioni
Unite”, a cui hanno preso parte premi Oscar del calibro di F. Murray Abraham,
Vittorio Storaro e Ennio Morricone, ritengono non sia necessario stipendiare i
propri principali collaboratori e continuano a presentare il loro film a
festival e televisioni come se nulla fosse (guadagnandoci in prestigio e in
immagine), beh, forse una seria riflessione sull’argomento qualcuno
dovrebbe/potrebbe cominciare a farla.
Credo che la “mission” di una kermesse come quella
partenopea, oltre a sostenere iniziative intese ad agevolare l’ingresso di
giovani cineasti nel mondo del lavoro e favorire la costituzione di una rete di
professionisti dell’audiovisivo, dovrebbe consistere anche nell’incoraggiare e
promuovere una cultura della trasparenza, della legalità e della meritocrazia,
contro le tante zone d’ombra e, ça va sans dire, contro le insopportabili
pratiche del nepotismo e dell’illegalità di cui da troppo tempo soffre il
cinema italiano.
Piero Tomaselli -
Roma
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