NON C’E’ ALTERNATIVA PESCANDO NEL SACCO DEL NEMICO di G ANGELO BILLIA
Difesa.
Quante volte nel corso della vita militante, questo verbo è stato usato.
Difesa della Costituzione, delle conquiste democratiche, di quelle sindacali, ecc.
Normale certamente, ma c’è un particolare che nella sua essenza obiettiva manda all’aria questa normalità.
Si tratta del fatto che la declinazione del verbo corrisponde alla constatazione che il nemico è all’attacco.
Constatazione veritiera, la quale, però, raramente s’accompagna ad un’analisi sulle molte ragioni a causa delle quali le masse lavoratrici hanno perso la prima battaglia per l’emancipazione dal mostro capitalistico.
Qualsiasi cultore dell’arte della guerra, posto di fronte ad una sconfitta politico militare sarebbe naturalmente indotto ad analizzarne le cause: le capacità del nemico, certo, ma soprattutto gli errori commessi dall’esercito sbaragliato.
A distanza di decenni dalla guerra guerreggiata, nelle ridotte incenerite dal nemico s’indugia ancora, invece, in un inverecondo scaricabarile senza alcun costrutto.
Legioni di “generali” s’affannano a propinare ricette, ognuno pescando dal suo pezzo di storia “buono” indica il percorso infallibile da seguire, senza mai por mente al fatto che il cedimento della truppa, in guerra, corrisponde quasi sempre alla stupidità dei comandi.
Ed è così che, mentre le ruspe capitalistiche spianano anche il ricordo delle ridotte proletarie, i macilenti compartimenti dell’ex “armata rossa”, ponendo mano alle cerbottane, cioè alle armi che magnanimamente il vincitore concede, rincorre, con improbabili assalti “democratici”, le truppe del nemico, ormai intente al sacco dei vinti.
Se è vero che storicamente i vincitori, dopo la vittoria militare, normalizzano la situazione sul piano culturale, è anche vero che per alimentare le speranze di riscossa dei vinti occorre resistere strenuamente a questa normalizzazione.
In Italia, ma non solo, questa battaglia trova il suo ostacolo principale nella collaborazione attiva col nemico di settori consistenti della sinistra, o, per dirla in termini più purgati, settori che hanno introitato i “valori” del vincitore.
Sfruttare le contraddizioni del nemico è fattore fondamentale, ma ridurre la battaglia per la presa del potere a fattore interamente dipendente da ciò è segno d’immaturità, perché indica comunque un atteggiamento di dipendenza culturale, i cui riflessi si ritrovano nell’accettazione acritica degli strumenti messi a disposizione dalla borghesia.
Per questo il movimento partigiano è stato quanto di meglio si sia potuto fare in quel periodo storico, ma senza deimenticare che la Costituzione è frutto di un compromesso nell’ambito del quale le istanze sociali, peraltro mai applicate, sono comunque in second’ordine rispetto a quelle della borghesia.
Il fatto, poi, che la Costituzione repubblicana sia stata in gran parte ignorata e sia oggetto da decenni di modifiche peggiorative, sta solo ad indicare l’insofferenza profonda della borghesia per qualsiasi regola.
Per questo, da comunista qual mi ritengo, considero la battaglia per la salvaguardia della Costituzione, nei termini in cui è condotta, un momento di lotta di per sé tutto interno al sistema borghese.
Costituzionalisti “insigni” e la stessa Corte costituzionale rappresentano il volto “buono” di un sistema sociale destinato a servire molto meno dell’un per cento degli interessi della collettività.
Ecco il motivo per cui la rappresentazione della difesa della Costituzione come momento rivoluzionario, assolutizzante, avulso dal contesto generale dello scontro di classe, è lontano anni luce da ogni istanza di cambiamento reale del sistema stesso.
Ogni istituzione, rappresentativa di questo Stato, trova il suo motivo fondante nella necessità di garantire un simulacro di legalità, ad un sistema sociale disumano nella sua essenza profonda.
E’ per questa ragione che, nell’incoscienza generale, l’attenzione sugli elementi di corruzione di cui la società è infarcita, mette in secondo piano la sua matrice dirigente, annidata in profondità nel sistema di potere.
Si dice che la Legge è uguale per tutti, ed è vero, lo è per tutti quelli che deve proteggere, cioè ispiratori e autori materiali della legge stessa.
E’ facile ingannare gli sprovveduti col contrasto al brutto e cattivo che ruba il portafogli e lo è ancora di più se si persegue anche qualche truffatore altolocato uscito dai compiti che gli sono stati assegnati. Ma nessuno persegue chi mette la collettività in ginocchio in nome degli interessi superiori del mercato, né potrebbe farlo, si tratterebbe di cannibalismo.
Sono veramente pochi ad aver compreso che l’attribuzione al pubblico del debito di Stato, che ha ben altra origine, è un insulto al più elementare concetto di giustizia.
Oggi gli strali della “sinistra” si rivolgono contro l’”Italicum”, la nuova legge elettorale proposta da Renzi. E’ giusto, ma quanti di questi strali hanno come retroterra la consapevolezza che non c’è mai stato in Italia un momento elettorale veramente libero?
Quanti hanno compreso che l’alternativa al sistema non ha mai avuto la benché minima possibilità elettorale?
La verità, per chi la vuol vedere, è che questa repubblica è una finzione dietro la quale si nasconde, come sempre, la dittatura della borghesia.
Come diceva qualcuno: “i fatti hanno la testa dura”.
E’ un fatto che quando la sinistra ha avuto l’accesso ai mezzi d’informazione di massa e ha potuto strappare una rappresentanza istituzionale, lo ha potuto fare solo grazie all’adesione ad un progetto di gestione della borghesia stessa.
La borghesia “illuminata” a volte “di sinistra” contrapposta a quella “retriva” o, per dirla con qualche irriducibile, “meglio poco che niente”, è stata la cortina fumogena dietro alla quale il potere reale ha continuato a fare i propri porci comodi.
Quanto sopra vale sia per la concreta traduzione del compromesso storico, sia per chi ha ritenuto successivamente, dopo che il progetto è giunto alle estreme conclusioni, eliminando persino l’ambiguità del termine comunista, in un partito che comunista non era da tempo, di rivitalizzare quell’esperienza storica senza punto considerare il cammino interclassista che stava ripercorrendo.
Nei giorni in cui le “teste di turco” di chi conta danno vita all’ennesima farsa definita fraudolentemente elezioni democratiche, si nota con stupore l’arrembaggio velleitario di chi, illudendosi di trarre qualche vantaggio per il popolo dalla Kermesse elettorale, con un bailamme di posizioni che spazia dall’apprezzamento cieco e immemore di Landini, fino a giungere all’idea, semplicemente ridicola in questa fase storica, di usare i media di regime per propagandare il verbo.
Oggi, salire su ogni sella apparentemente disponibile, cioè illudersi di usare qualche elemento sovrastrutturale fornito dalla borghesia, assolve tristemente il compito di offuscare, quando non di far sparire, nella consapevolezza delle masse, il fatto che quello fornito è il cavallo del nemico.
La situazione indotta dalle scelte della borghesia è tale, che settori sempre più consistenti delle masse rifiutano, spesso su una base puramente istintiva, di dar credito alla borghesia rifiutando il momento elettorale.
Concretamente tale rifiuto implica una condanna anche per le pseudo soluzioni della componente “legalitaria” della borghesia stessa.
Tutto questo presenta dei rischi d’involuzione qualunquista, ma non è un buon motivo per far quadrato col nemico di classe “buono”.
L’idea dell’alternativa di classe, in questa situazione, passa prima di tutto attraverso i settori popolari che istintivamente hanno preso coscienza dell’inutilità dell’adesione ai riti che la borghesia ostenta.
Un mondo senza sfruttatori è possibile, sta ai comunisti essere capaci di dimostrarlo a chi già rifiuta questo sistema sociale istintivamente.
La borghesia stessa e il suo sistema sociale hanno aperto una voragine nella fiducia delle masse destinata ad estendersi.
Se questa voragine non sarà riempita dall’idea dell’alternativa socialista, lo sarà nuovamente dalla borghesia, sotto mentite, ma consuete spoglie.
Non saranno né magistrati “onesti”, né sindacalisti “illuminati”, né tantomeno amministratori pubblici “alternativi” e di “sinistra”, a costituire le fondamenta del progetto d’alternativa comunista.
E non saranno nicchie “rivoluzionarie” idonee ad appagare moralmente gli aderenti, a porre le basi per l’assalto frontale senza compromessi ai parassiti dell’umanità.
Certamente il cammino è ancora lungo, ma sarebbe già molto percorrerlo lasciando per strada le false illusioni gentilmente fornite dal nemico di classe.
Difesa.
Quante volte nel corso della vita militante, questo verbo è stato usato.
Difesa della Costituzione, delle conquiste democratiche, di quelle sindacali, ecc.
Normale certamente, ma c’è un particolare che nella sua essenza obiettiva manda all’aria questa normalità.
Si tratta del fatto che la declinazione del verbo corrisponde alla constatazione che il nemico è all’attacco.
Constatazione veritiera, la quale, però, raramente s’accompagna ad un’analisi sulle molte ragioni a causa delle quali le masse lavoratrici hanno perso la prima battaglia per l’emancipazione dal mostro capitalistico.
Qualsiasi cultore dell’arte della guerra, posto di fronte ad una sconfitta politico militare sarebbe naturalmente indotto ad analizzarne le cause: le capacità del nemico, certo, ma soprattutto gli errori commessi dall’esercito sbaragliato.
A distanza di decenni dalla guerra guerreggiata, nelle ridotte incenerite dal nemico s’indugia ancora, invece, in un inverecondo scaricabarile senza alcun costrutto.
Legioni di “generali” s’affannano a propinare ricette, ognuno pescando dal suo pezzo di storia “buono” indica il percorso infallibile da seguire, senza mai por mente al fatto che il cedimento della truppa, in guerra, corrisponde quasi sempre alla stupidità dei comandi.
Ed è così che, mentre le ruspe capitalistiche spianano anche il ricordo delle ridotte proletarie, i macilenti compartimenti dell’ex “armata rossa”, ponendo mano alle cerbottane, cioè alle armi che magnanimamente il vincitore concede, rincorre, con improbabili assalti “democratici”, le truppe del nemico, ormai intente al sacco dei vinti.
Se è vero che storicamente i vincitori, dopo la vittoria militare, normalizzano la situazione sul piano culturale, è anche vero che per alimentare le speranze di riscossa dei vinti occorre resistere strenuamente a questa normalizzazione.
In Italia, ma non solo, questa battaglia trova il suo ostacolo principale nella collaborazione attiva col nemico di settori consistenti della sinistra, o, per dirla in termini più purgati, settori che hanno introitato i “valori” del vincitore.
Sfruttare le contraddizioni del nemico è fattore fondamentale, ma ridurre la battaglia per la presa del potere a fattore interamente dipendente da ciò è segno d’immaturità, perché indica comunque un atteggiamento di dipendenza culturale, i cui riflessi si ritrovano nell’accettazione acritica degli strumenti messi a disposizione dalla borghesia.
Per questo il movimento partigiano è stato quanto di meglio si sia potuto fare in quel periodo storico, ma senza deimenticare che la Costituzione è frutto di un compromesso nell’ambito del quale le istanze sociali, peraltro mai applicate, sono comunque in second’ordine rispetto a quelle della borghesia.
Il fatto, poi, che la Costituzione repubblicana sia stata in gran parte ignorata e sia oggetto da decenni di modifiche peggiorative, sta solo ad indicare l’insofferenza profonda della borghesia per qualsiasi regola.
Per questo, da comunista qual mi ritengo, considero la battaglia per la salvaguardia della Costituzione, nei termini in cui è condotta, un momento di lotta di per sé tutto interno al sistema borghese.
Costituzionalisti “insigni” e la stessa Corte costituzionale rappresentano il volto “buono” di un sistema sociale destinato a servire molto meno dell’un per cento degli interessi della collettività.
Ecco il motivo per cui la rappresentazione della difesa della Costituzione come momento rivoluzionario, assolutizzante, avulso dal contesto generale dello scontro di classe, è lontano anni luce da ogni istanza di cambiamento reale del sistema stesso.
Ogni istituzione, rappresentativa di questo Stato, trova il suo motivo fondante nella necessità di garantire un simulacro di legalità, ad un sistema sociale disumano nella sua essenza profonda.
E’ per questa ragione che, nell’incoscienza generale, l’attenzione sugli elementi di corruzione di cui la società è infarcita, mette in secondo piano la sua matrice dirigente, annidata in profondità nel sistema di potere.
Si dice che la Legge è uguale per tutti, ed è vero, lo è per tutti quelli che deve proteggere, cioè ispiratori e autori materiali della legge stessa.
E’ facile ingannare gli sprovveduti col contrasto al brutto e cattivo che ruba il portafogli e lo è ancora di più se si persegue anche qualche truffatore altolocato uscito dai compiti che gli sono stati assegnati. Ma nessuno persegue chi mette la collettività in ginocchio in nome degli interessi superiori del mercato, né potrebbe farlo, si tratterebbe di cannibalismo.
Sono veramente pochi ad aver compreso che l’attribuzione al pubblico del debito di Stato, che ha ben altra origine, è un insulto al più elementare concetto di giustizia.
Oggi gli strali della “sinistra” si rivolgono contro l’”Italicum”, la nuova legge elettorale proposta da Renzi. E’ giusto, ma quanti di questi strali hanno come retroterra la consapevolezza che non c’è mai stato in Italia un momento elettorale veramente libero?
Quanti hanno compreso che l’alternativa al sistema non ha mai avuto la benché minima possibilità elettorale?
La verità, per chi la vuol vedere, è che questa repubblica è una finzione dietro la quale si nasconde, come sempre, la dittatura della borghesia.
Come diceva qualcuno: “i fatti hanno la testa dura”.
E’ un fatto che quando la sinistra ha avuto l’accesso ai mezzi d’informazione di massa e ha potuto strappare una rappresentanza istituzionale, lo ha potuto fare solo grazie all’adesione ad un progetto di gestione della borghesia stessa.
La borghesia “illuminata” a volte “di sinistra” contrapposta a quella “retriva” o, per dirla con qualche irriducibile, “meglio poco che niente”, è stata la cortina fumogena dietro alla quale il potere reale ha continuato a fare i propri porci comodi.
Quanto sopra vale sia per la concreta traduzione del compromesso storico, sia per chi ha ritenuto successivamente, dopo che il progetto è giunto alle estreme conclusioni, eliminando persino l’ambiguità del termine comunista, in un partito che comunista non era da tempo, di rivitalizzare quell’esperienza storica senza punto considerare il cammino interclassista che stava ripercorrendo.
Nei giorni in cui le “teste di turco” di chi conta danno vita all’ennesima farsa definita fraudolentemente elezioni democratiche, si nota con stupore l’arrembaggio velleitario di chi, illudendosi di trarre qualche vantaggio per il popolo dalla Kermesse elettorale, con un bailamme di posizioni che spazia dall’apprezzamento cieco e immemore di Landini, fino a giungere all’idea, semplicemente ridicola in questa fase storica, di usare i media di regime per propagandare il verbo.
Oggi, salire su ogni sella apparentemente disponibile, cioè illudersi di usare qualche elemento sovrastrutturale fornito dalla borghesia, assolve tristemente il compito di offuscare, quando non di far sparire, nella consapevolezza delle masse, il fatto che quello fornito è il cavallo del nemico.
La situazione indotta dalle scelte della borghesia è tale, che settori sempre più consistenti delle masse rifiutano, spesso su una base puramente istintiva, di dar credito alla borghesia rifiutando il momento elettorale.
Concretamente tale rifiuto implica una condanna anche per le pseudo soluzioni della componente “legalitaria” della borghesia stessa.
Tutto questo presenta dei rischi d’involuzione qualunquista, ma non è un buon motivo per far quadrato col nemico di classe “buono”.
L’idea dell’alternativa di classe, in questa situazione, passa prima di tutto attraverso i settori popolari che istintivamente hanno preso coscienza dell’inutilità dell’adesione ai riti che la borghesia ostenta.
Un mondo senza sfruttatori è possibile, sta ai comunisti essere capaci di dimostrarlo a chi già rifiuta questo sistema sociale istintivamente.
La borghesia stessa e il suo sistema sociale hanno aperto una voragine nella fiducia delle masse destinata ad estendersi.
Se questa voragine non sarà riempita dall’idea dell’alternativa socialista, lo sarà nuovamente dalla borghesia, sotto mentite, ma consuete spoglie.
Non saranno né magistrati “onesti”, né sindacalisti “illuminati”, né tantomeno amministratori pubblici “alternativi” e di “sinistra”, a costituire le fondamenta del progetto d’alternativa comunista.
E non saranno nicchie “rivoluzionarie” idonee ad appagare moralmente gli aderenti, a porre le basi per l’assalto frontale senza compromessi ai parassiti dell’umanità.
Certamente il cammino è ancora lungo, ma sarebbe già molto percorrerlo lasciando per strada le false illusioni gentilmente fornite dal nemico di classe.
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