giovedì 9 agosto 2012

Decrescita dell'arte e dell'artista fuori tempo?

Dal 1950 importiamo il marketing e subiamo la conseguente nascita della società dei consumi, l'utopia sembra una merce possibile, il sistema economico dell'arte libera tutto il suo potenziale creativo e distruttivo all'insegna del soldo mai in saldo davanti al sogno, in questa maniera si materializza il sistema della catastrofe artistica contemporanea.
2012, forse è il caso di fermarsi, sembra quasi insanabile la distanza tra gli artisti e la loro comunità, anche gli artisti esclusi e scartati di produzione parlano forse un linguaggio troppo diverso dalla loro comunità, vivono una iperspecializzazione di un prodotto che non ha più un mercato reale ed il mercato reale è forse scomparso va ricostruito, fatto di culture e simboli dal valore comunitario ed affettivo identitario pubblico.
 Bisogna  lavorare su nuovi ragionamenti sull'arte che partano dalla logica della convivialità e non dall'accumulo frenetico di prodotti (penso alla volontà di capitalizzare del collezionista o del gallerista ma anche dell'artista che lavora a costo zero per sé producendo l'inutile per chi non esiste e forse non è reale), bisogna dire stop, decolonizzando il nostro immaginario.
Lavorare per la riconquista della percezione del tempo presente, a rischio evaporazione virtuale in un tempo di vita mediamente allungato senza il tempo per vivere, bisogna diffidare dai ricercatori dell'arte, che invece che al servizio delle loro comunità e della loro identità, si collocano al servizio dei poteri economici e politici.
Il sistema dell'arte fondato sull'accumulo del capitale non è statico come sostiene Politi il Direttore di Flash Art o Luca Rossi il finto critico o detrattore creato a tavolino.
 L'impulso principale di questa spaventosa macchina è la ricerca immediata ed ossessiva di un profitto sempre più grande, questo crea l'iperquotazione del contemporaneo che non sarà mai un investimento sicuro, il contemporaneo è destinato a crescere e poi a lavorare per espandere questa crescita.
La moneta unica? Ha un unico scopo, metterci in concorrenza planetaria, chi si ferma ha perso.
La crisi? La chiusura delle gallerie? Renderà poche cose inutili beni di lusso, inaccessibili alla massa ma a disposizione dei privilegiati, vedi Telemarket, ma certi artisti saranno condannati al fuori mercato ed i ricchi collezionisti privati saranno sempre più ricchi e detteranno il buono ed il cattivo tempo dell'arte e del suo mercato.
La pubblicità invece d'informare influenza occultamente l'informazione e l'artista è diventato un prodotto in cerca di pubblicità che informi su di lui, l'artista è diventato un prodotto a perdere, qualcosa difficile da riparare da quando l'effimero ha cominciato a farla da padrone, senza la novità non c'è la frenesia della visione e dell'acquisto da parte di chi può.
Basta la giusta critica divenuta pubblicità e non informazione per fare diventare una ricerca artistica improvvisamente vecchia, anche per gli stessi artisti che inseguono pubblicità ed in maniera indotta seguono il vento del prodotto dominante.
Si cambiano collezioni private d'arte contemporanea come signore eleganti cambiano il guardaroba, il mimetismo d'artista e la rivalità indotta tra gli artisti sono complici nel produrre rifiuti, in questa maniera hanno colonizzato l'immaginario in nome dell'ideologia consumista anche quando è comunista.
L'arte è l'artista si sono ridotti ad una quantificazione numerica del valore del prodotto, non più significato affettivo simbolico, ma numero calcolabile trasformabile in merce scambiabile.
La mercificazione del tempo ha fagocitato tutto: tempo libero, affetti, cultura, uso e consumo di sostanze stupefacenti, basta un clic elettronico a mutare la sorte di un popolo e muovere enormi transazioni di denaro, dominio a km.zero alla giusta distanza di sicurezza, in fondo non serve neanche più risparmiare usando la politica del credito che diventa sempre un debito contratto, l'artista? 
Davanti alla sterminata potenza della finanza internazionale non è più una risorsa umana e culturale ma è diventato un costo di produzione nelle mani di criminali patologici amanti del denaro prima che della ricerca di senso della condizione umana.
La rivoluzione del sessantotto? Mai stata sul serio antiproduttivista, per la finanza si è trattato di un nuovo movimento sociale alternativo e creativo, dove un modello culturale produttivo realizzatosi negli anni ottanta ha voltato le spalle al vecchio mondo industriale in nome del prodotto.

Mario Pisci a Forasa, dal sud ovest della Sardegna aspettando una catastrofe presente da tempo

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