martedì 10 settembre 2013

Artisti passivi figli del pensiero comune

Artisti passivi figli del pensiero comune

"Alla fine del tempo del web 2.0 l'artista aveva paura di autodeterminarsi, cercava ancora il sostegno e la protezione degli "addetti ai lavori", desiderava rintanarsi in case e salottini chiusi di commercianti privi di scrupoli culturali agli arresti domiciliari dei linguaggi dell'arte.
 Il suo problema era nitido, temeva di rivelare ciò che era, un individuo banale, superficiale, dal linguaggio scarno e volgarotto, privo di contenuti, incapace d'indurre ragionamenti a partire dalla sua ricerca di arte e di vita, si trattava di una vittima, cosa gli avevano spacciato per arte fino a quel momento?
 A quel tempo, quando l'artista comunicava in prima persona doveva sapere valutare l'effetto del suo comportamento comunicativo, della sua ricerca linguistica, non poteva ignorare di "essere con", doveva assegnarsi una etichetta e il web mirava proprio a quello, a metterlo in una condizione di limitarsi da solo, a fargli ridurre gli eccessi espressivi propri della sua struttura individuale a partire dalla quale elaborava il linguaggio, insomma per esistere e lavorare doveva essere un contenitore vuoto e il web lavorava per lui, tutto nel suo interesse s'intende, bisognava evitare di essere destabilizzanti per l'armonia del gruppo.
 Paradossalmente l'autocensura colpiva proprio gli artisti figli della cultura collettivista, erano preoccupatissimi del fatto che la loro comunicazione fosse e restasse bene comune, che lo fosse così tanto da arrivare anche a rinunciare a loro stessi e alla loro espressività, ragion per cui non risparmiavano secchiate e valanghe di merda su altri artisti  che ancora riuscivano a articolare il senso del loro lavoro.
Sui social network fioccavano gruppi e progetti artistici, questo con la passività degli artisti stessi, non facevano neanche caso a dove fossero iscritti o forse per comodo evitavano di farlo, in fondo dichiarare di "essere con" poteva portare pericolosamente ad alimentare conflitti e il web era feroce in questo, il critico veniva allontanato senza pietà e criticato privo del diritto di replica, importante era piacere e arrivare a quante più persone fosse possibile senza contrapporsi e dividersi, vietato era pronunciarsi su argomenti tabù come politica, sesso o religione, si rischiava di consegnare la storia del tempo al cataclisma, la moltiplicazione quotidiana della banalità dell'arte, banali diventavano anche i non allineati e dilagava l'omertà artistica, non si affrontavano più questioni controverse, neanche al bar, si temeva che qualcuno potesse "condividere" una opinione, si eclissavano tematiche importanti dal punto di vista umano e esistenziali, tematiche sulle quali era fondata l'arte come lingua comune.
L'artista in maniera anche peggiore che nei vecchi mezzi di comunicazione di massa stava correndo il rischio di accettare passivamente il fatto che esprimendo una posizione con il suo lavoro e la sua ricerca poteva minacciare la libertà dell'altro, anche quando l'altro era un "addetto ai lavori" che lavorava contro di lui; rischiava di passare una esistenza a esprimersi con un arte che realmente non doveva parlare e dire nulla, priva di posizione o di valutazione, in fondo a cosa servivano gli "addetti ai lavori" pagati e remunerati dal suo patire, se non per combattere la sua guerra?".

(da "Oltre il sistema dell'arte", quando e se troverà un editore disposto a pubblicarlo a spese sue)

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