giovedì 12 settembre 2013

Le cluster bomb degli addetti ai lavori attentano ai linguaggi vivi dell'arte contemporanea

Le cluster bomb degli addetti ai lavori attentano ai linguaggi vivi dell'arte contemporanea

"Alla fine dell'epoca web 2.0 la "scena" della ricerca artistica contemporanea era connessa alla dimensione locale dell'artista e del suo percorso di sviluppo sulla scena, non più semplicemente locale ma translocale e virtuale.
 La "scena operativa" era la base dalla quale sviluppare linguaggio distribuito attraverso i social network, questo era il primo pubblico dell'artista, pubblico di reali appassionati ai processi dell'arte, non aveva più ragione di essere la dicotomia tra off line e on line, non aveva più senso distinguere tra reale e virtuale, l'ambiente operativo era unico, qualcuno continuava a chiamarlo erroneamente subculturale, in realtà era un nodo di un altro sistema parallelo dell'arte, costituiva la reale dimensione interiore alternativa e distinta dal mainstream che di fatto aveva cessato di essere e si era ridotto a rappresentare una finzione, quello che connotava realmente un artista era la sua scena, gli dava una identità, l'appartenenza a una comunità; la rappresentazione dell'altro sistema era fatta di particolari luoghi che costituivano un particolare campo di produzione artistica, era fatta di produzione e consumo di arte in uno specifico ambiente e contesto.
 Erano proprio le caratteristiche sociali e culturali del contesto "scena" che formano linguaggi e nodi operativi dell'altro sistema, le interazioni e le attività quotidiane di chi viveva la scena e dava forma e rappresentazione visiva  al suo ambiente; la fruizione del linguaggio dell'arte era così immaginata e diffusa collettivamente all'interno di uno spazio specifico; la relazione artista-pubblico si creava all'interno della sua performance di vita che era fondamentale nel costituire un fulcro della formazione della scena; velocemente circolavano informazioni, consigli, gossip, passaparola, pubblicazioni che incrementavano la conoscenza diffusa dei linguaggi dell'arte e la stessa scena dell'altro sistema, era la vita dell'artista a distinguere tra il dentro e fuori la scena dell'altro sistema ad attestare che la scena locale e quella virtuale interconnessa erano un unica scena.
 La vita dell'artista nella scena dell'altro sistema dell'arte era autentica, era quello che ricreava una rappresentazione autentica di sé, superava la retorica degli addetti ai lavori che depredavano spazi in nome del mercato globale, erano potenzialmente finiti. erano finti, bastava contrapporre reale e virtuale per smascherarne la pochezza e la bassezza.
L'artista on line e l'artista off line, quando era reale aveva una unica immagine che si legittimava a vicenda tra reale e virtuale, fruiva, commentava e condivideva i suoi prodotti e contenuti formativi e mediali, manipolava e promuoveva, mutava la relazione tra il suo prodotto e il pubblico, il punto di contatto non poteva e non doveva essere l'addetto ai lavori; come il suo fruitore era fluido e flessibile, una particella di un superflusso; ma non era detto che la sua ricerca vitale avesse la meglio davanti alla storia del suo tempo, le spinte dal basso facevano in modo che proprio la sua scena e il suo altro sistema  fossero il territorio ideale di cui si nutrivano sciacalli e squali "addetti ai lavori", studiavano il cambiamento e calavano dall'alto finti prodotti e finti artisti, che erano quelli più condivisi on line, qualche dichiarazione shock, qualche lavoro forte e il sistema specializzato attraverso il linguaggio omologato dei media di massa, sganciava le sue cluster bomb, in questa maniera si prolungava la visibilità di finti artisti dai falsi contenuti imponendoli a un pubblico sempre più vasto inquinando l'ambiente e la stessa scena dell'altro sistema con il suo pubblico".

(Da "Oltre il sistema", quando troverò un nuovo editore disposto a pubblicarlo a sue spese, ma quando?)


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