venerdì 14 agosto 2015

"FRANK & FRANK" di Antonio Musa Bottero


"FRANK & FRANK" di Antonio Musa Bottero



Conosco due Frank che stimo tantissimo.
Uno dei Frank, esimio professore comunista di Harvard, scrive in un commento che l'Isis dovrebbe far saltare in aria non solo i mega-yacht ma tutti gli yacht che girano per i mari, solo perché simbolo dell’occidentalismo, del capitalismo e del neoliberismo.
L'altro dei Frank, esimio giornalista juventino, scrive:
"Quelli che stanno più a sinistra di tutti in questo periodo tacciono. 
Sono a regatare sui velieri e al largo lo smartphone non prende. 
Appena approdano allo yacht club riprenderanno i loro proclami a favore dei tupamaros uruguaiani.”
Appare chiaro che i due Frank hanno qualche problema col mare, col vento, con le vele, con gli yacht club e, sopratutto, qualche idea confusa sulla rivoluzione.
Vediamo di capire perché.
Il primo Frank, quello di Cambridge (Massachusetts) esimio professore di Harvard di cui tutti noi apprezziamo le riflessioni, scrive benissimo e spesso ci delizia con analisi politiche di livello stratosferico. 
Lo spessore è indiscutibile.
Il suo immaginario rivoluzionario, però, spesso deborda in affermazioni che appaiono molto lontane dal suo solito standard. 
L’esimio professore pare viva nella continua e maniacale aspettativa che qualcuno (per lui) dia un inizio materiale alla tanto agognata rivoluzione. 
Le sue irrazionali e spesso compulsiva speranze rivoluzionarie vengono di volta in volta riposte in personaggi che niente hanno a che fare con le sue splendide elucubrazioni accademiche: prima Grillo, poi Salvini, ora addirittura l’Isis. 
La sua idea pratica di rivoluzione è giacobina, feticistica, serve una “Bastiglia”, un “Palazzo d’Inverno” un simbolo inequivocabile da mandar giù, da chiunque, non ha importanza se da Grillo, da Salvini, da Isis o da chicchessia.
E quale simbolo è più inequivocabile di uno yacht?
Frank di Harvard avrebbe un suo fascino indiscusso se solo riuscisse a ricondurre a coerenza il suo giacobinismo teorico e la sua idea pratica di rivoluzione.
Con infinito rispetto e umiltà, mi permetto di segnalare una figura storica, estremamente affascinante ed eroica, assimilabile parzialmente (solo parzialmente) all’esimio professore.
Il personaggio è Carlo Pisacane. 
La differenza (sostanziale) sta nel fatto che Pisacane non aspettava, comodamente avvolto nell’ermellino di Harvard, che altri dessero inizio alla rivolta. 
Pisacane, pur consapevole che chi inizia le rivoluzioni va a morte sicura, il 25 giugno del 1857 salpa con altri 24 prodi a bordo della motonave “Cagliari” per liberare, tenetevi forte, nientepopodimeno che l’intero sud dai Borboni!
I partecipanti all’impresa, ricordata come “Spedizione di Sapri”, firmarono il proclama che segue:
« Noi qui sottoscritti dichiariamo altamente, che, avendo tutti congiurato, sprezzando le calunnie del volgo, forti nella giustizia della causa e della gagliardia del nostro animo, ci dichiariamo gli iniziatori della rivoluzione italiana. 
Se il paese non risponderà al nostro appello, non senza maledirlo, sapremo morire da forti, seguendo la nobile falange de’ martiri italiani. 
Trovi altra nazione al mondo uomini, che, come noi, s’immolano alla sua libertà, e allora solo potrà paragonarsi all'Italia, benché sino a oggi ancora schiava »

Con infinito rispetto e umiltà suggerisco all’esimio Frank di Harvard di dedicare qualche attimo di riflessione alla gigantesca figura di Carlo Pisacane invece di sparare minchiate su Salvini, Grillo, Isis, gli yacht e l’andar per mare.
Il secondo Frank, l’esimio giornalista juventino, al contrario di Frank di Harvard, lui, odia Salvini, lo perseguita, interviene sulla sua bacheca, non fa altro che attaccarlo in maniera durissima, costante, spesso compulsiva.
È una persona onesta, Frank il giornalista, tutti lo sanno, 
Nel suo immaginario, però, nei suoi processi di auto-percezione egli si vede come un rivoluzionario.
Solo perché ha trascorso giovinezza a inveire su Berlusconi prima e su Salvini poi, il nostro Frank di Gallura crede onestamente di essere un rivoluzionario.
Ma qualcuno di voi l’ha mai sentito dire una parola su renzifonzi, su Bersani, su Civati, sul Pd, su Sel? Qualcuno di voi ha mai letto una sua condanna nei confronti delle più significative violenze al mondo del lavoro, ai diritti e alle tutele dei lavoratori, quali il pacchetto Treu, le coglionerie di Ichino, il jobs act di renzifonzi? 
Frank di Gallura, si sa, riserva le sue invettive solo a Berlusconi e Salvini.
Qualcuno di voi ha mai visto un suo editoriale, una sua riflessione, uno straccio di commento su fatti politicamente rilevanti come l’elezione del segretario regionale del Pd o le primarie per la designazione del candidato Governatore?
Frank di Gallura è molto prudente ma si autopercepisce (e si mostra al pubblico) onestamente “rivoluzionario”.
Pur essendo infinitamente più bravo e preparato della maggior parte dei giornalisti che circolano nell’isola, Frank di Gallura, al contrario di Frank di Harvard, mostra alcune gravi carenze culturali tipiche del conformismo bigotto e radicale dei comunisti d’altri tempi (vi ricordate quando affermò che Jackson Pollock è stato un’artista insignificante frutto di una montatura della Cia?) ma non ha importanza. 
Per lui è importante solo l’onestà, l’apparenza rivoluzionaria e l’adesione a tutti i luoghi comuni del conformismo proletario.
Per avere continua e rassicurante conferma della sua autopercezione rivoluzionaria, Frank di Gallura si circonda di figure mediocri, moderate, banali, disposte ad ogni acrobazia intellettuale pur di fare visualizzazioni.
Sin qui nessun problema, il problema arriva dopo e riguarda la gestione di questa sua forzatura identitaria.
 Infatti la caratura rivoluzionaria di Frank di Gallura è drasticamente vincolata all’annullamento o alla denigrazione di tutto quanto stia più a sinistra della sua moderatezza.
Chiaro che il suo tentativo risulta quantomeno acrobatico.
Persino la buon’anima di Mino Martinazzoli si collocava più a sinistra di lui.
Dati questi presupposti, non è affatto casuale che anche lui, da buon cultore della sua personalità rivoluzionaria e proletaria (di gomma), mostri avversione per il mare, per le vele, per gli yacht, sciorinando i più banali luoghi comuni di un’Italia francescana, comunista (di gomma) e bigotta.
Ecco, vorrei dire a entrambi i Frank, verso i quali nutro sincera stima, che dovrebbero avvicinarsi ad uno di questi "abominevoli" yacht club e fermarsi un attimo ad osservare i bambini che apprendono le prime nozioni di vela.
Mi ricordo Michele, mio figlio, il giorno in cui incontrò il vento, quello vero. 
Quando tornò a terra aveva gli occhi ancora pieni di paura.
“Papà, col Maestrale così forte non si può andare! 
Ho preso un colpo di boma terribile alla nuca (aveva un bernoccolo come una palla da tennis) ho scuffiato, sono riuscito a raddrizzarla, ho preso un altro colpo di boma e ho scuffiato di nuovo! 
Non salirò mai più su una barca a vela con il vento forte! 
Il gommone era lontanissimo, ero solo!”
Due giorni dopo il vento era ben più forte e quando andai a prenderlo pensai a lui rifugiato nel gommone ben lontano dalla barca a vela.
Invece mi venne incontro con gli occhi sprizzanti di gioia:
“Papà oggi il vento era fortissimo, sono stato sulla barca tutta la mattina da solo, sono riuscito a tenerla benissimo, andava velocissima, ero solo ma ho capito il vento!"
“Ero solo” disse Michele con gli occhi pieni di paura il primo giorno
“Ero solo” disse Michele con gli occhi pieni di felicità e orgoglio qualche giorno dopo.
Vedete, cari amici Frank & Frank, il 90% degli yacht club sparsi nel mondo sono cosa ben diversa dai vostri preconcetti ideologici. 
Il 90% dei marinai sparsi in mare sono cosa ben diversa dalle vostre fantasie proletarie (di gomma).
Chiusi dentro i vostri pregiudizi e tabù ideologici, non riuscite a capire che l’andar per mare è una delle attività umane che più concretamente si avvicinano all’ideale astratto di libertà.
Cari amici Frank&Frank, vi invito a riflettere sul fatto che il rivoluzionario senza il senso della libertà e senza il senso della solitudine non esiste in natura.
Quel senso della solitudine che anche un bambino di dieci anni, scaraventato su una barchetta a vela, impara ad affrontare e a conviverci.
Dall’andar per mare scaturisce la consapevolezza di esser soli, navigare significa allenarsi alla solitudine, significa diventare amici della solitudine.
E come diceva L.F. Céline:
“Esser soli significa allenarsi alla morte”.
(e torniamo a bomba a Carlo Pisacane)






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