lunedì 31 agosto 2015

UN’OPINIONE PER L’ALTERNATIVA di G Angelo Billia


UN’OPINIONE PER L’ALTERNATIVA di G Angelo Billia



Lo stesso gruppo industriale, in una sede chiede (e ottiene) gli straordinari, mentre in un’altra denuncia esuberi, avvicinando i licenziamenti.
Ordinaria amministrazione, tanto da non fare più notizia.
Se chiedete in giro, frequentemente vi risponderanno che si tratta della crisi, e tanto dovrebbe bastare.
 Pochi, veramente pochi, anzi, direi sempre di meno si pongono il problema che è insito nel fatto che l’azienda, quest’entità spesso impersonale, è padrona della vita dei dipendenti.
Per nascondere questa semplice verità si ricorre ad artifici dialettici ormai entrati nel linguaggio comune. 
Il più ricorrente è il riferimento alla produzione, entità talmente corporea da rendere legittima la subordinazione ad essa degli uomini e della loro vita.
Conosco personalmente decine di operai che, in una certa fase della loro esistenza, hanno “sposato” la fabbrica, non tanto per la parte lavorativa, quanto piuttosto con l’accettazione acritica di ciò che da essa veniva in termini di annientamento di qualsiasi interesse personale, che non fosse legato alle esigenze della produzione.
L’imbroglio, poi, nel momento in cui il sindacato scelse la “gratificazione” di “difendere” i lavoratori spiegando agli industriali come gestire al meglio la produzione, ha avuto nuovo impulso.
La crisi, in seguito, ha aperto gli occhi a molti “sposi”, ma, se non era troppo tardi, era comunque impossibile cambiare in modo alternativo il modo di pensare.
Credo che una delle cause maggiori della quiescenza intellettuale di molti lavoratori, attivi e no, sia proprio da ricercare nell’abitudine alla delega, intesa in senso politico sindacale. 
L’altro elemento interconnesso con questo, è l’abitudine a ragionare mutuando argomenti e forme di “chi ne sa”, cioè gli stessi che si sono fatti regime successivamente, o coloro che si sono caratterizzati come supporti ad esso, sul versante sindacale.
Vorrei qui, mettere in evidenza due elementi, il primo, pur considerando tutte le differenze del periodo, credo debba essere la constatazione dei punti in comune nel pensare istintivo, fra molti lavoratori odierni e gli schiavi integrati, che vedevano nelle fortune della famiglia del padrone la loro possibilità di sopravvivenza. 
Non credo servano esempi per dimostrarlo.
Il secondo, invece, riguarda la possibilità di sbocchi alternativi a questo stato di cose. 
E’ fuor di dubbio che la sostanziale inerzia del movimento operaio non può essere attribuita né alla repressione, né ad un’entusiastica accettazione del sistema. 
Semplicemente si è persa completamente ogni cognizione d’identità di classe. 
Ognuno fa per sé, per i suoi problemi e per le sue confusioni.
D’altronde, dopo il passaggio al campo della borghesia del partito che, a torto o a ragione veniva considerato portatore, anche culturale, dell’alternativa, e dopo le “rifondazioni”, fatte sempre senza por mente alle cause della degenerazione, perseguite pervicacemente in un’ottica parlamentaristica, ciechi a qualsiasi reale proposta alternativa, che non fosse la riproposizione di modelli socialdemocratici della gestione del potere borghese, la tendenza al disimpegno non poteva che rafforzarsi.
Per molti, tempi difficili equivalgono a tempi di “semplificazioni”, come se nulla fosse accaduto e le “semplificazioni” non fossero, in fondo, le principali responsabili dello stato presente.
Nessun appello all’unità, se non è unito ad un chiarimento politico, perlomeno per separare il grano dell’alternativa di classe dal loglio della socialdemocrazia, nelle sue mille forme, potrà portare a risultati diversi da un peggioramento ulteriore della situazione all’interno della classe operaia.
Aggiungo che le diatribe ideologiche, legate al periodo storico nel quale il proletariato ha assunto e gestito il potere, possono aspettare, in questa fase, infatti, costituiscono solo un appesantimento senza nessuna utilità, se non quella di rafforzare divisioni senza nessun riscontro nella realtà attuale.
La discriminante oggi, il faro attorno al quale costruire l’unità propedeutica alla costruzione dell’organizzazione d’avanguardia, idonea a sua volta alla costruzione dell’alternativa di classe, è la separazione netta della linea d’alternativa rivoluzionaria da quella socialdemocratica. 
Chi si balocca immaginando resurrezioni impossibili passando da Ingroia a Tsipras, volente e cosciente o no, è strumento del rafforzamento del potere borghese.



Nessun commento:

Posta un commento