giovedì 2 gennaio 2014

Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si collage.


Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si Collage.
Ovvero La Macchina Senza Stupore.

Collage. Ma anche assemblage, found-footage, forse mosaico.
Mettere insieme i pezzi. Però, prima: trovarli. Tagliarli. Dunque, smontare un’opera, prima era intera, durante il procedimento non più, dopo di nuovo.

Immagino diverse possibilità. Qualcosa che potrebbe anche avere a che fare con la teoria degli insiemi. Schematismi che suggeriscono punti di vista. E’ importante inoltre considerare l’ordine nel quale i singoli pezzi del collage prima erano, dopo saranno.

Primo caso, si prendono i pezzi da un’opera, da un insieme, si smontano, si riassemblano.

Opera1 (A1, A2, A3, A4, A5) diventa Opera2 (A2, A3, A1, A5, A4)

Secondo caso, alcuni pezzi potrebbero essere scartati dalla mano dell’artista, lasciati fuori dal gioco (dando vita ad un insieme di scartati, oppure ad un’opera di pezzi esclusi) (oppure a pezzi che, in questa parentesi, spiegano meglio il perchè di quell’opera, proprio per la propria assenza)

Opera1 (A1, A2, A3, A4, A5) diventa Opera3 (A1, A3, A5, A4)

E’ possibile riconoscere l’opera anche se manca un pezzo? Esiste un numero massimo di pezzi mancanti, oltre il quale l’opera non è più riconoscibile? Esiste un ladro abbastanza scaltro da rubare da un’opera famosa un pezzetto microscopico, tuttavia essenziale, tale che l’opera sia riconosciuta dai visitatori della mostra come la stessa di sempre, ma in realtà non lo sia più? Penso alle fotografie ritoccate, alle questioni di verità e alle esigenze di rappresentazione. Penso alla nota saltata dal violoncellista di un’orchestra, durante l’esecuzione di un pezzo d’opera.

Terzo caso, si prendono i pezzi di due opere, e si riassemblano per un’opera sola

Opera1 (A1, A2, A3, A4, A5)  e Opera4 (B1, B2, B3, B4, B5) diventano Opera5 (A2, B3, A1, B1, B2, A3, B4, B5, A5, A4)

Quarto caso, si prendono i pezzi di un’opera, e si rimonta l’opera esattamente com’era.

Opera1 (A1, A2, A3, A4, A5) diventa Opera1* (A1, A2, A3, A4, A5)

E’ questo il caso forse del restauro, dei puzzles, del tempio di Abu Simbel smontato e rimontato poco distante per la costruzione della diga, forse anche il caso dei falsi d’autore. Ammettendo l’esistenza di un artista così bravo da riuscire a tagliare e ricomporre un’opera esattamente com’era precedentemente, senza che sia possibile notare la minima differenza, allora possiamo parlare di collage? E’ successo qualcosa all’opera, oppure no? E’ diversa da prima? Ricordo il paradosso del teletrasporto, quello dei film di fantascienza. Alcuni ipotizzano: all’arrivo non giunge la persona teletrasportata, ma una sua esatta copia, l’originale è morto smembrato nelle sue parti infinitesimali, la sua coscienza dispersa, eppure la sua copia, essendo perfetta, continuerà ad agire in questo mondo come se fosse l’originale. Sempre ammettendo che il teletrasporto, e chi l’ha costruito dunque, sappiano esattamente qual è il totale dei pezzi che compongono l’originale, e quindi abbiano programmato la macchina per trasportare dal punto di partenza al punto di arrivo tutta la materia presente nel viaggiatore (nell’opera). Altrimenti, sarà una copia perfetta, ma solo secondo le conoscenze del costruttore della macchina, a lui sufficiente per essere creduta vera, ma non dal punto di vista del viaggiatore che ha avuto la sfortuna di provare la macchina.

E ancora: da Opera2 (A2, A3, A1, A5, A4) è possibile tornare a Opera1 (A1, A2, A3, A4, A5) senza che questa risulti diversa? E’ possibile invertire la freccia del tempo? L’opera è leggibile allo stesso modo solo superficialmente, perchè al contrario a livello reale è diversa da com’era precedentemente, il lavoro dell’artista, le sue forbici e la sua colla hanno lasciato tracce, microscopiche, sull’opera stessa?

Possediamo forbici e colla abbastanza sottili da poter nascondere la mano dell’artista e far sembrare un’opera “originale”, senza interventi?

Quinto caso, si prende un’opera e si taglia in parti secondo diversi criteri, creando sottoinsiemi (opere) con identità diverse. Ad esempio, da un quadro taglio tutte le parti di colore rosso, le metto da una parte, poi procedo con il blu, da un’altra, e via dicendo.

Opera6 (A1,B1, A2, B2, C1, C2) diventa Opera7 (A1, A2) Opera8 (B1, B2) Opera9 (C1, C2)

Questo forse è un modo per mettere ordine, mi chiedo se esistano infiniti oppure finiti modi di poter riordinare tutti i pezzetti di un collage.

Ricordo l’odore di colla dei lavori di collage della scuola, e la colla che restava sulle dita, seccava, veniva via come pelle morta. E il copia e incolla (e il taglia e incolla, che non risparmiava invece l’opera di origine) delle ricerche scolastiche, il Ctrl-C e il Ctrl-V ideato da Larry Tesler, prima in uso per Mac, poi copiato (e incollato) da Windows.

Penso poi alle questioni di significato.

Nel primo caso, si smonta l’Opera1, con un significato ordinato, per creare Opera2, con un altro significato ordinato. Oppure, consideriamo se esista la possibilità che esista un’Opera1 che, tagliata e incollata, non possa più dare vita ad opere con un significato ordinato. Questo, che può sembrare banale, a me ha sempre stupito. In questo esatto momento, scrivendo, sto usando pezzi già esistenti di un collage, le parole, per realizzare un altro collage con un senso specifico. Se n’era stupito anche Sartre, facendo dire al suo Erostrato: “Avrei voluto parole che fossero mie.” La stessa Opera1 può essere considerata allo stesso modo, interpretata con un senso ordinato, da molti spettatori, eccetto qualcuno, oppure solo a grandi linee gli osservatori la percepiscono (credono di percepirla) allo stesso modo. Credo si tratti di variazioni del quinto caso sopra descritto.

Penso ai giocatori di scacchi. Alle regole che permettono loro di spingere la partita, a discapito del proprio avversario, verso il collage di pezzi sulla scacchiera che hanno in mente. Penso alle regole combinatorie: in questo caso, finite. Fuori dalla scacchiera, con i frammenti di altri collage, di tutti i collage possibili: finite, infinite? Esistono pezzi che proprio non possono stare accanto ad altri? Per i quali l’accostamento non ammette significato? Forse possiamo sempre inventarcene uno? Di fronte al frammento del collage chiamato dolore, molti scrittori non ammettevano significato. “Soffrire non serve a niente”, diceva Pavese. “Pàzei màzos”, risuona al contrario l’eco dei greci, duemila anni prima.

Penso agli scienziati, a quanti di loro cercano di scomporre l’opera nei suoi tasselli più piccoli, oltre gli atomi, e a quanti di loro invece si allontanano il più possibile dall’opera stessa per vederla nel suo insieme, contando tutti i tasselli presenti, per comprendere il suo significato complessivo; geni come il matematico Simon P. Norton alle prese con il suo Atlas of Finite Groups. Penso al collage infinito dell’universo che ci troviamo ad abitare e ad essere, dove nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si collage. Alle infinite combinazioni, a tutto il tempo disponibile per provare tutte le possibili combinazioni, e a tutte le altrettante infinite interpretazioni degli spettatori del collage.

Penso ad un calcolatore abbastanza potente (ce ne sarà a sufficienza, di energia, in questo universo, per farlo funzionare?) da conoscere tutte le possibili combinazioni dei frammenti del collage. Potremmo chiamarla la Macchina Senza Stupore. E allo stupore del bambino che gioca per la prima volta con i pezzi del suo collage, alle possibilità che intravede nella mente prima ancora della colla e delle forbici, al suo riconoscersi in quel gioco dopo anni, di fronte ad un collage ritrovato, per caso, in una cartellina in fondo ad un cassetto.

Andrea P-Ars Roccioletti

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