Selfie-control:
Che il "Selfie" sia diventata la tecnica fotografica che meglio racconta che tra le nostre vite nel mercato globale delle informazioni che viaggiano attraverso i social network e le scatole Campbell di Andy Warhol non ci sia differenza alcuna è un fatto inconfutabile.
Siamo diventato il mercato di noi stessi e divoriamo avidamente la nostra immagine autoprodotta ed autodeterminata in cerca del consenso altrui.
Incredibilmente interessati a condividere la nostra immagine piuttosto che a osservare quella dell'arte, perennemente riflessi in uno specchio dietro il quale si nasconde uno spettatore sconosciuto che la giudica attraverso un pollice verso.
Il fenomeno è stato analizzato di recente da James Kliner, neuroscienziato dell'University College di Londra; il quale ci spiega che nella nostra vita sociale normale e reale siamo portati istintivamente ad osservare l'altro, il suo volto, la sua espressione, i suoi gesti e a questi rispondiamo interattivamente cercando di costruire le nostre relazioni di successo, insomma cerchiamo in tempo reale una sincronizzazione empatica.
Come mai con uno smartphone diventiamo tendenzialmente degli ebeti in cerca di una propria autorappresentazione d'autore?
Secondo Kliner siamo mossi dalla scarsa conoscenza del nostro volto, della nostra insicurezza visiva in relazione a cià che nostre facce trasmettono.
Sembra sia stato dimostrato che quando viene mostrata una immagine di se stessi alla richiesta di abbinarla a una riproduzione mimica, siamo tutti incapaci di farlo senza riuscire a vederci.
Questa nostra mancanza di conoscenza ci porta a pensare di sembrare qualcosa, al punto che quando si è chiamati a selezionare una immagine di sé, tendenzialmente si sceglie una immagine distante dalla visione che l'altro ha di noi stessi.
Sistematicamente si selezionano immagine meno naturali e più attraenti di come in realtà siamo, sostanzialmente tendiamo a proporci in maniera più giovane ed attraente di quello che siamo.
Per la prima volta nella nostra storia sociale siamo in grado tutti di scattare e riprendere la nostra immagine e abbinare questa alla nostra percezione di noi stessi.
Questa cosa è democratica quanto la Coca Cola negli anni sessanta lo era per Warhol, rincorriamo tutti la nostra immagine, da Papa Francesco a Obama; da me a te a noi; ma questo a cosa porterà? Spero non all'omologazione estetica ideale, personalmente, forse perché figlio di un altra generazione mediatica, convivo abbastanza bene con i miei sfoghi di pelle, le mie rughe e i miei capelli che imbiancano, optando per il naturale nei confronti dell'ideale, ma se questo atteggiamento nei confronti della propria immagine fosse in estinzione?
Che il "Selfie" sia diventata la tecnica fotografica che meglio racconta che tra le nostre vite nel mercato globale delle informazioni che viaggiano attraverso i social network e le scatole Campbell di Andy Warhol non ci sia differenza alcuna è un fatto inconfutabile.
Siamo diventato il mercato di noi stessi e divoriamo avidamente la nostra immagine autoprodotta ed autodeterminata in cerca del consenso altrui.
Incredibilmente interessati a condividere la nostra immagine piuttosto che a osservare quella dell'arte, perennemente riflessi in uno specchio dietro il quale si nasconde uno spettatore sconosciuto che la giudica attraverso un pollice verso.
Il fenomeno è stato analizzato di recente da James Kliner, neuroscienziato dell'University College di Londra; il quale ci spiega che nella nostra vita sociale normale e reale siamo portati istintivamente ad osservare l'altro, il suo volto, la sua espressione, i suoi gesti e a questi rispondiamo interattivamente cercando di costruire le nostre relazioni di successo, insomma cerchiamo in tempo reale una sincronizzazione empatica.
Come mai con uno smartphone diventiamo tendenzialmente degli ebeti in cerca di una propria autorappresentazione d'autore?
Secondo Kliner siamo mossi dalla scarsa conoscenza del nostro volto, della nostra insicurezza visiva in relazione a cià che nostre facce trasmettono.
Sembra sia stato dimostrato che quando viene mostrata una immagine di se stessi alla richiesta di abbinarla a una riproduzione mimica, siamo tutti incapaci di farlo senza riuscire a vederci.
Questa nostra mancanza di conoscenza ci porta a pensare di sembrare qualcosa, al punto che quando si è chiamati a selezionare una immagine di sé, tendenzialmente si sceglie una immagine distante dalla visione che l'altro ha di noi stessi.
Sistematicamente si selezionano immagine meno naturali e più attraenti di come in realtà siamo, sostanzialmente tendiamo a proporci in maniera più giovane ed attraente di quello che siamo.
Per la prima volta nella nostra storia sociale siamo in grado tutti di scattare e riprendere la nostra immagine e abbinare questa alla nostra percezione di noi stessi.
Questa cosa è democratica quanto la Coca Cola negli anni sessanta lo era per Warhol, rincorriamo tutti la nostra immagine, da Papa Francesco a Obama; da me a te a noi; ma questo a cosa porterà? Spero non all'omologazione estetica ideale, personalmente, forse perché figlio di un altra generazione mediatica, convivo abbastanza bene con i miei sfoghi di pelle, le mie rughe e i miei capelli che imbiancano, optando per il naturale nei confronti dell'ideale, ma se questo atteggiamento nei confronti della propria immagine fosse in estinzione?
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