La sindrome da Selfie: gli effetti collaterali dell'autoritratto 3.0
Viviamo nel tempo della ricerca artistica che passa per l'estetica della relazione e della condivisione; il fatto estetico ha senso quando è scaraventato in una arena di scambio tra l'artista e i suoi fruitori o visitatori (nelle due dimensioni digitali come nelle tre dimensioni virtuali), questo permette la condivisione di idee ed esperienze.
Che l'autoscatto a mezzo smartphone e la sua relativa condivisione mediante social network, sia stato elevato a tecnica artistica di questo nuovo millennio è qualcosa di cui abbiamo già parlato, Selfie è il termine tecnico, un tempo l'autoritratto era qualcosa di esclusivo, uno strumento a disposizione degli artisti visivi per raccontare la propria vita, i propri percorsi e i propri segni sul volto; adesso tutti possono autorappresentarsi e autoritrarsi in tempo reale attraverso il selfie, ciascuno è manager e azionista attivo della propria immagine sociale.
Eminenti studi dimostrano però che questa tecnica artistica, ostentata di recente da Papa Francesco e anche da Obama ai funerali di Mandela (un tempo servivano pittore di corte e tele di grosso formato per raccontare eventi di portata storica, questo è un dato sul quale dovrebbero ragionare gli artisti di questo tempo per ridefinire il loro ruolo sociale e comunicativo, ponendosi in maniera differente davanti alle sfide linguistiche di questo tempo), crei e sviluppi dall'adolescenza un disturbo narcisistico della personalità.
In altre parole chi, privo di consapevolezza specifica e cognizione di causa storica e sociale, in relazione al gesto dell'autorappresentazione di sé, compie ritualmente il gesto dell'autoritrarsi è facilmente soggetto a disturbi di personalità, a preoccuparsi eccessivamente di come sia percepito dagli altri; in maniera narcisa si persegue la gratificazione della propria vanità e si evidenziano i propri "attributi" fisici ed intellettuali.
Insomma il lato patologico, schizzofrenico e bipolare, che caratterizza l'artista contemporaneo dai tempi di Van Gogh, Ensor e Munch, sembra essere diventato consuetudine sociale; chi soffre della patologia della sindrome di Selfie:
è incapace di porsi in una condizione di ascolto o di visione;
quando ascolta lo fa con la finalità non di rispondere ma per respingere al mittente l'argomentazione, negandola o sconfessandola, minimizzandola rendendo quello che per altri può essere preoccupante irrilevante;
anche se generosi agiscono per fine egoistici e personali, tutto ruota intorno alle loro preoccupazioni;
ci si sente sopra le regole proprio perché incapaci di accettare critiche "costruttive";
vivono in una bolla gonfiata dall'ego della loro immagine autoprodotta che non sopporta critiche negative;
rifiutano l'assunzione di responsabilità e incolpano gli altri quando qualcosa non gira come loro prevedono, è una reazione veloce dettata dalla rabbia; facilmente irritabile dai commenti negativi si è scomposti nella reazione.
Ma gli effetti negativi del selfie via social network non finiscono qui, secondo una ricerca condotta dalla California State University, l'uso eccessivo e fine a se stesso dei social network, può essere derivante da problemi psichiatrici presentissimi nel nostro tempo (lo saranno sempre più, visto che non ci sono reali spazi di dibattito pubblico e critico in relazione a come sta mutando socialmente la nostra vita), quali:
Deficit dell'attenzione e disordine iperattivo;
depressione;
disturbo ossessivo-compulsivo;
disturbo narcisistico della personalità;
ipocondria;
disturbi schizzoaffettivi e schizzotipici;
dismorfia del corpo;
voyeurismo e addiction.
Come se non bastasse, ci viene segnalato che le persone che utilizzano Facebook tendono ad avere più personalità ed identità e a essere narcise o insicure; il narcisismo come patologia lo si intercetta davanti a soggetti che postano selfie e citazioni o motti autoglorificanti.
Utenti Facebook tra i 18 e 25 anni sembra abbiano un narcisismo estremo ed incontrollato stante ai test della California Univesity.
Non va meglio a quelli della mia e nostra generazione, ai nostri padri ed i nostri nonni: Un sondaggio del 2012, rivolto agli avvocati divorzisti, ha mostrato come Facebook fosse parte in causa in almeno 1/3 delle separazioni con causa di divorzio dell'anno precedente (non c'è motivo per ritenere nel 2014 il dato in calo).
Non cambia molto se ragioniamo su Twitter, uno studio di studenti Universitari del Michingam ha dimostrato che tra un campione di studio, il tasso di narcisismo era più alto in chi pubblicava maggiormente su Twitter; Twitter è considerato un ampliatore sociale che porta a sopravvalutare l'importanza delle proprie opinioni.
La domanda da porci ora è, questa diffusione di massa dell'autoritratto e dell'autorappresentazione del sé porta inevitabilmente al narcisimo e alla spettacolarizzazione del singolo in ogni suo momento di vita nella nostra cultura sociale? Cosa porterà gli addetti ai lavori a distinguere tra il selfie artistico e quello patologico e forse autoterapeutico? Temo che la risposta possa essere sempre la solita, ossia il valore di mercato.
Viviamo nel tempo della ricerca artistica che passa per l'estetica della relazione e della condivisione; il fatto estetico ha senso quando è scaraventato in una arena di scambio tra l'artista e i suoi fruitori o visitatori (nelle due dimensioni digitali come nelle tre dimensioni virtuali), questo permette la condivisione di idee ed esperienze.
Che l'autoscatto a mezzo smartphone e la sua relativa condivisione mediante social network, sia stato elevato a tecnica artistica di questo nuovo millennio è qualcosa di cui abbiamo già parlato, Selfie è il termine tecnico, un tempo l'autoritratto era qualcosa di esclusivo, uno strumento a disposizione degli artisti visivi per raccontare la propria vita, i propri percorsi e i propri segni sul volto; adesso tutti possono autorappresentarsi e autoritrarsi in tempo reale attraverso il selfie, ciascuno è manager e azionista attivo della propria immagine sociale.
Eminenti studi dimostrano però che questa tecnica artistica, ostentata di recente da Papa Francesco e anche da Obama ai funerali di Mandela (un tempo servivano pittore di corte e tele di grosso formato per raccontare eventi di portata storica, questo è un dato sul quale dovrebbero ragionare gli artisti di questo tempo per ridefinire il loro ruolo sociale e comunicativo, ponendosi in maniera differente davanti alle sfide linguistiche di questo tempo), crei e sviluppi dall'adolescenza un disturbo narcisistico della personalità.
In altre parole chi, privo di consapevolezza specifica e cognizione di causa storica e sociale, in relazione al gesto dell'autorappresentazione di sé, compie ritualmente il gesto dell'autoritrarsi è facilmente soggetto a disturbi di personalità, a preoccuparsi eccessivamente di come sia percepito dagli altri; in maniera narcisa si persegue la gratificazione della propria vanità e si evidenziano i propri "attributi" fisici ed intellettuali.
Insomma il lato patologico, schizzofrenico e bipolare, che caratterizza l'artista contemporaneo dai tempi di Van Gogh, Ensor e Munch, sembra essere diventato consuetudine sociale; chi soffre della patologia della sindrome di Selfie:
è incapace di porsi in una condizione di ascolto o di visione;
quando ascolta lo fa con la finalità non di rispondere ma per respingere al mittente l'argomentazione, negandola o sconfessandola, minimizzandola rendendo quello che per altri può essere preoccupante irrilevante;
anche se generosi agiscono per fine egoistici e personali, tutto ruota intorno alle loro preoccupazioni;
ci si sente sopra le regole proprio perché incapaci di accettare critiche "costruttive";
vivono in una bolla gonfiata dall'ego della loro immagine autoprodotta che non sopporta critiche negative;
rifiutano l'assunzione di responsabilità e incolpano gli altri quando qualcosa non gira come loro prevedono, è una reazione veloce dettata dalla rabbia; facilmente irritabile dai commenti negativi si è scomposti nella reazione.
Ma gli effetti negativi del selfie via social network non finiscono qui, secondo una ricerca condotta dalla California State University, l'uso eccessivo e fine a se stesso dei social network, può essere derivante da problemi psichiatrici presentissimi nel nostro tempo (lo saranno sempre più, visto che non ci sono reali spazi di dibattito pubblico e critico in relazione a come sta mutando socialmente la nostra vita), quali:
Deficit dell'attenzione e disordine iperattivo;
depressione;
disturbo ossessivo-compulsivo;
disturbo narcisistico della personalità;
ipocondria;
disturbi schizzoaffettivi e schizzotipici;
dismorfia del corpo;
voyeurismo e addiction.
Come se non bastasse, ci viene segnalato che le persone che utilizzano Facebook tendono ad avere più personalità ed identità e a essere narcise o insicure; il narcisismo come patologia lo si intercetta davanti a soggetti che postano selfie e citazioni o motti autoglorificanti.
Utenti Facebook tra i 18 e 25 anni sembra abbiano un narcisismo estremo ed incontrollato stante ai test della California Univesity.
Non va meglio a quelli della mia e nostra generazione, ai nostri padri ed i nostri nonni: Un sondaggio del 2012, rivolto agli avvocati divorzisti, ha mostrato come Facebook fosse parte in causa in almeno 1/3 delle separazioni con causa di divorzio dell'anno precedente (non c'è motivo per ritenere nel 2014 il dato in calo).
Non cambia molto se ragioniamo su Twitter, uno studio di studenti Universitari del Michingam ha dimostrato che tra un campione di studio, il tasso di narcisismo era più alto in chi pubblicava maggiormente su Twitter; Twitter è considerato un ampliatore sociale che porta a sopravvalutare l'importanza delle proprie opinioni.
La domanda da porci ora è, questa diffusione di massa dell'autoritratto e dell'autorappresentazione del sé porta inevitabilmente al narcisimo e alla spettacolarizzazione del singolo in ogni suo momento di vita nella nostra cultura sociale? Cosa porterà gli addetti ai lavori a distinguere tra il selfie artistico e quello patologico e forse autoterapeutico? Temo che la risposta possa essere sempre la solita, ossia il valore di mercato.
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