"L'arte contemporanea? Un mondo di ladri" di Delfo Cantoni.
Pierre Restany voleva organizzare la prima Biennale d’arte per corrispondenza.
Forse gli artisti si sarebbero autoinvitati.
Non esiste la Biennale come selezione o merito.
Le cosiddette carriere artistiche, le fortune risiedono nel potere dei cartelli, cioè in quel patto neanche tanto tacito per cui un gruppo di critici e galleristi sostengono pochi a dir la verità davvero pochi artisti.
Un esempio di cartello è stato il richiamo all’obbedienza quando qualche giornalista d’arte ha provato a stroncare ora Chia poi Paladino.
Flash art era ancora per la transavanguardia.
I giornali d’arte e la riproducibilità tecnica, fotografica delle opere, come fatto legato alla circolazione della merce informazione, gravitare dei costi, si paga dando una promessa si emette un titolo su un guadagno e si ottengono percentuali sulle vendite future delle opere, si paga la pubblicità e di conseguenza arrivano recensioni.
All’inizio della difficile carriera non ci sono margini di autonomia sospensione del giudizio, niente si è scriba dell’interesse mercantile che fa i nomi di luoghi e persone, il sistema si paga per entrare.
Ma il potere dei critici è anche separato come diceva Tony Negri, accendono un sistema elettrico e poi non servono più a niente se non sono biblicamente semplici come colombe e prudenti come serpenti.
Esiste il rovescio di questo mondo in fermento e concorrenza il monopolio e gli oligopoli, cioè il patto tacito -il cartello- non fa passare niente e nessuno, per decenni vediamo gli stessi artisti la stessa tendenza e se ne determina il prezzo.
Stroncare Chia o Paladino non era libertà di pensiero, era la guerra Bonito Oliva Celant di trent’anni fa, e ciascuno aveva i suoi uomini e mezzi.
Sapere usare il web scongiura cosa sarebbe analfabetismo, ma ancora non basta.
Le grandi firme dei giornali che gabellano, che noi lavoriamo gratis, per primi loro non sono tutti la stessa cosa.
Per uno stesso lavoro la stessa paga.
E mai è così, ci sono i recensori a cui le riviste affidano il lavoro più ingrato, sfruttando questi critici e coloro che sono promossi a stringere patti creare cartelli.
Prima che si componga una rosa una scrematura tra chi è obbediente, ci sono le mostre pubbliche veri appalti che i curatori a loro sentire fanno prendendo soldi pubblici, ma di fatto favorendo interessi di privati che con loro determinano i nomi le scuderie di tale o tall’altra galleria.
Gli artisti più sono separati tra loro e più sono numerosi, più non contano niente e cosa offirebbero è svalutato e sostituibile.
Portare della democrazia?
In cuor nostro dobbiamo abbandonare l’estetica idealistica e non credere al genio e capire lucidamente cosa aggiunge ciascuno.
Un lavoro non pagato e soprattutto che ha dei costi non campatibili tra dilettantismo e professionismo, un esempio il dilettante oggi considerato tale, fa opere che non gli costano molto un artista del sistema fa opere che possono essere non migliori del primo ma dispendiose.
Super arte 1990 -l’arte del sistema dell’arte- sciagura per cui dati i costi di produzione l’artista è separato dalla proprietà della sua stessa opera.
Il sistema entra nell’atelier.
Una volta il mercante comprava un tot a due soldi per rivenderselo e prometteva la visibilità delle mostre cioè la circolazione delle opere-merce.
Un accumulazione, l’artista degli anni sessanta: Festa, Angeli etc….era un lavoratore salariato la galleria poteva dargli uno stipendiuccio vendendo per lui.
Voler essere liberi produttori, voler vendere per conto proprio senza mediatori è importante.
Ci si può appoggiare a corniciai che tengono in deposito opere ed all’occorrenza le vendono per noi.
Si può esporre nei bar negli autosaloni etc…
Bisogna inventare i contesti.
Certo l’insegnamento resta una risorsa enorme, un entrata in tutti i sensi non solo economicamente.
Per vendere è meglio vendere poco a tanto che tanto a poco ci si inflaziona come direbbe un amico di Renzo Arbore.
L’artista costretto a vendere mette la sua opera in difficoltà.
Poppea che si scopre troppo fa perdere il desiderio scriveva Starobinsky.
Il giovane artista deve seguire la legge del vantaggio comparato, capendo cosa gli conviene fare data a concorrenza, specializzandosi in qualcosa di suo-banale ma vero-un metodo, l’arte deve rispondere alla legge una parte per il tutto essenso sempre riconoscibile di un insieme più vasto ciascuna opera.
L’arte è sempre un fatto è pragmatica anche l’arte immateriale, le idee costituiscono anch’esse compito e parte del lavoro dell’artista.
Meglio sarebbe se gli artisti compissero un primo passo con una dichiarazione di poetica che rientra nella filosofia dell’arte, né nella critica né nell’estetica.
In questo mondo di ladri c’è un gruppo di amici che non si arrendono mai.
I critici avvicinano i giovani artisti e come nelle campagne inglesi dell’ottocento danno un sorso di vino a questi orfani gli fanno da padre per poi farli esporre gratis da galleristi che non restituiscono le opere al legittimo produttore.
Pierre Restany voleva organizzare la prima Biennale d’arte per corrispondenza.
Forse gli artisti si sarebbero autoinvitati.
Non esiste la Biennale come selezione o merito.
Le cosiddette carriere artistiche, le fortune risiedono nel potere dei cartelli, cioè in quel patto neanche tanto tacito per cui un gruppo di critici e galleristi sostengono pochi a dir la verità davvero pochi artisti.
Un esempio di cartello è stato il richiamo all’obbedienza quando qualche giornalista d’arte ha provato a stroncare ora Chia poi Paladino.
Flash art era ancora per la transavanguardia.
I giornali d’arte e la riproducibilità tecnica, fotografica delle opere, come fatto legato alla circolazione della merce informazione, gravitare dei costi, si paga dando una promessa si emette un titolo su un guadagno e si ottengono percentuali sulle vendite future delle opere, si paga la pubblicità e di conseguenza arrivano recensioni.
All’inizio della difficile carriera non ci sono margini di autonomia sospensione del giudizio, niente si è scriba dell’interesse mercantile che fa i nomi di luoghi e persone, il sistema si paga per entrare.
Ma il potere dei critici è anche separato come diceva Tony Negri, accendono un sistema elettrico e poi non servono più a niente se non sono biblicamente semplici come colombe e prudenti come serpenti.
Esiste il rovescio di questo mondo in fermento e concorrenza il monopolio e gli oligopoli, cioè il patto tacito -il cartello- non fa passare niente e nessuno, per decenni vediamo gli stessi artisti la stessa tendenza e se ne determina il prezzo.
Stroncare Chia o Paladino non era libertà di pensiero, era la guerra Bonito Oliva Celant di trent’anni fa, e ciascuno aveva i suoi uomini e mezzi.
Sapere usare il web scongiura cosa sarebbe analfabetismo, ma ancora non basta.
Le grandi firme dei giornali che gabellano, che noi lavoriamo gratis, per primi loro non sono tutti la stessa cosa.
Per uno stesso lavoro la stessa paga.
E mai è così, ci sono i recensori a cui le riviste affidano il lavoro più ingrato, sfruttando questi critici e coloro che sono promossi a stringere patti creare cartelli.
Prima che si componga una rosa una scrematura tra chi è obbediente, ci sono le mostre pubbliche veri appalti che i curatori a loro sentire fanno prendendo soldi pubblici, ma di fatto favorendo interessi di privati che con loro determinano i nomi le scuderie di tale o tall’altra galleria.
Gli artisti più sono separati tra loro e più sono numerosi, più non contano niente e cosa offirebbero è svalutato e sostituibile.
Portare della democrazia?
In cuor nostro dobbiamo abbandonare l’estetica idealistica e non credere al genio e capire lucidamente cosa aggiunge ciascuno.
Un lavoro non pagato e soprattutto che ha dei costi non campatibili tra dilettantismo e professionismo, un esempio il dilettante oggi considerato tale, fa opere che non gli costano molto un artista del sistema fa opere che possono essere non migliori del primo ma dispendiose.
Super arte 1990 -l’arte del sistema dell’arte- sciagura per cui dati i costi di produzione l’artista è separato dalla proprietà della sua stessa opera.
Il sistema entra nell’atelier.
Una volta il mercante comprava un tot a due soldi per rivenderselo e prometteva la visibilità delle mostre cioè la circolazione delle opere-merce.
Un accumulazione, l’artista degli anni sessanta: Festa, Angeli etc….era un lavoratore salariato la galleria poteva dargli uno stipendiuccio vendendo per lui.
Voler essere liberi produttori, voler vendere per conto proprio senza mediatori è importante.
Ci si può appoggiare a corniciai che tengono in deposito opere ed all’occorrenza le vendono per noi.
Si può esporre nei bar negli autosaloni etc…
Bisogna inventare i contesti.
Certo l’insegnamento resta una risorsa enorme, un entrata in tutti i sensi non solo economicamente.
Per vendere è meglio vendere poco a tanto che tanto a poco ci si inflaziona come direbbe un amico di Renzo Arbore.
L’artista costretto a vendere mette la sua opera in difficoltà.
Poppea che si scopre troppo fa perdere il desiderio scriveva Starobinsky.
Il giovane artista deve seguire la legge del vantaggio comparato, capendo cosa gli conviene fare data a concorrenza, specializzandosi in qualcosa di suo-banale ma vero-un metodo, l’arte deve rispondere alla legge una parte per il tutto essenso sempre riconoscibile di un insieme più vasto ciascuna opera.
L’arte è sempre un fatto è pragmatica anche l’arte immateriale, le idee costituiscono anch’esse compito e parte del lavoro dell’artista.
Meglio sarebbe se gli artisti compissero un primo passo con una dichiarazione di poetica che rientra nella filosofia dell’arte, né nella critica né nell’estetica.
In questo mondo di ladri c’è un gruppo di amici che non si arrendono mai.
I critici avvicinano i giovani artisti e come nelle campagne inglesi dell’ottocento danno un sorso di vino a questi orfani gli fanno da padre per poi farli esporre gratis da galleristi che non restituiscono le opere al legittimo produttore.
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