UN PO’ DI PULIZIA di G Angelo Billia
Mio suocero, oltre trent’anni fa, nel tentativo di arginare la mia tendenza al disordine diceva:
“ogni cosa al suo posto e un posto per ogni cosa”.
Ogni volta che sentivo quest’affermazione, sapevo che avrei impiegato mesi per trovare le cose che, nel mio disordine trovavo in un attimo.
Ho sempre pensato, forse sbagliando, che l’ordine esasperato corrisponda più ad esigenze estetiche che a ragioni funzionali.
Va beh, nulla di grave, una semplice contraddizione in famiglia, fra le più innocue.
Il problema, però, mi si ripropone in termini rovesciati, se appena guardo agli schieramenti politici. Trovo schizofrenico, mistificante, fino al punto del depistaggio attivo, l’uso di termini come centro, centro sinistra, centro destra, destra, sinistra.
Apparentemente è una concessione alla comodità d’espressione e in una certa misura lo è anche, ma ha il difetto di annacquare, fino a renderla spesso irriconoscibile nella sua essenza, la questione di fondo: la divisione in classi della società.
Se appena consideriamo questo fatto e poi cerchiamo di ricondurlo alla terminologia politica, la cosa che balza agli occhi è che quest’ultima non riflette affatto la realtà.
Può esistere una sinistra, cioè una formazione nata e cresciuta nell’ambito delle esigenze della classe operaia, che si trasforma in organizzazione funzionale al capitale e continuare ad essere identificata, magari in qualche sua parte, di sinistra?
Onestamente credo di no, anzi, affermo che anche chi affida a queste categorie le possibilità di riscatto sociale, agisce da mosca cocchiera del capitale.
Questa è una delle ragioni, forse la più importante, che si frappone alla realizzazione dell’unità dei comunisti, cioè la mancata capacità di discernimento fra ciò che è organicamente classe operaia e quello che, al contrario, è organico al capitale.
Non è una questione da poco, l’unità dei comunisti non può essere l’unità della sinistra, perché quest’ultima, così come si è configurata è obiettivamente interclassista.
La cosa non riguarda soltanto le organizzazioni, coinvolge prima di tutto gli stereotipi acquisiti singolarmente, in tanti anni di cultura mutuata in gran parte dalla borghesia.
In questi giorni è in auge il toto presidente e, com’è normale anche i “comunisti” dicono la loro. Sentendosi tutti perfettamente in sintonia con le esigenze del paese, cioè con l’entità territoriale che tiene in gabbia i lavoratori, a disposizione di coloro che hanno il diritto di considerarli una merce, fanno a gara ad alimentare l’idea che ci sia qualcuno meglio degli altri, omettendo che comunque non hanno mai messo in discussione l’elemento di fondo: il potere di una classe sull’altra.
Si hanno così proposte inverosimili, giustificate solo dal fatto che i candidati sono dei tecnici della Costituzione, della Giurisprudenza, della Magistratura, del giornalismo e quant’altro.
Pochi si pongono il problema che sono vissuti (e hanno prosperato), all’ombra di un sistema intollerabile, perché profondamente iniquo e disonesto e che di questo sistema hanno discusso solo del rispetto delle regole che il sistema stesso si è dato.
E’ uno dei tanti esempi possibili per dimostrare che la cultura della borghesia la fa da padrona anche in molti che si definiscono ad ogni piè sospinto comunisti.
Sto facendo queste distinzioni non allo scopo di ignorare le contraddizioni in seno alla borghesia e al suo apparato, cosa che indubbiamente va sfruttata, quanto piuttosto sull’incapacità di molti di rapportarsi concretamente con queste, mantenendo la lucidità di capire che si tratta pur sempre di pezzi del sistema.
Ecco quindi che da questa forma di disordine mentale, scaturisce la sinistra che “cerca l’unità”, forse neanche rendendosi conto, per gli obiettivi che si pone, che sta togliendo le castagne dal fuoco della borghesia, svolgendo obiettivamente la funzione di indebolire sempre più le prospettive di lotta della classe operaia.
Nello specifico mi riferisco ai “syrizi”, professionisti del depistaggio, paghi di servire l’illuminato per un pugno di lenticchie.
E’ tempo di capire che, se non mettono ordine nel loro marasma culturale, cioè nella miscela perversa di malafede e sogni senza costrutto, non c ‘è più nulla da fare ed è inutile, anzi, controproducente intestardirsi considerandoli interlocutori.
Bisogna prendere atto che la sinistra, così come l’abbiamo conosciuta in questi anni è obiettivamente una finzione, cioè è tutto meno che una forza rivoluzionaria.
I comunisti hanno il compito di farlo subito, è una delle condizioni per rendere credibile qualsiasi tentativo politico organizzativo finalizzato alla liberazione dalla schiavitù della classe operaia.
Mio suocero, oltre trent’anni fa, nel tentativo di arginare la mia tendenza al disordine diceva:
“ogni cosa al suo posto e un posto per ogni cosa”.
Ogni volta che sentivo quest’affermazione, sapevo che avrei impiegato mesi per trovare le cose che, nel mio disordine trovavo in un attimo.
Ho sempre pensato, forse sbagliando, che l’ordine esasperato corrisponda più ad esigenze estetiche che a ragioni funzionali.
Va beh, nulla di grave, una semplice contraddizione in famiglia, fra le più innocue.
Il problema, però, mi si ripropone in termini rovesciati, se appena guardo agli schieramenti politici. Trovo schizofrenico, mistificante, fino al punto del depistaggio attivo, l’uso di termini come centro, centro sinistra, centro destra, destra, sinistra.
Apparentemente è una concessione alla comodità d’espressione e in una certa misura lo è anche, ma ha il difetto di annacquare, fino a renderla spesso irriconoscibile nella sua essenza, la questione di fondo: la divisione in classi della società.
Se appena consideriamo questo fatto e poi cerchiamo di ricondurlo alla terminologia politica, la cosa che balza agli occhi è che quest’ultima non riflette affatto la realtà.
Può esistere una sinistra, cioè una formazione nata e cresciuta nell’ambito delle esigenze della classe operaia, che si trasforma in organizzazione funzionale al capitale e continuare ad essere identificata, magari in qualche sua parte, di sinistra?
Onestamente credo di no, anzi, affermo che anche chi affida a queste categorie le possibilità di riscatto sociale, agisce da mosca cocchiera del capitale.
Questa è una delle ragioni, forse la più importante, che si frappone alla realizzazione dell’unità dei comunisti, cioè la mancata capacità di discernimento fra ciò che è organicamente classe operaia e quello che, al contrario, è organico al capitale.
Non è una questione da poco, l’unità dei comunisti non può essere l’unità della sinistra, perché quest’ultima, così come si è configurata è obiettivamente interclassista.
La cosa non riguarda soltanto le organizzazioni, coinvolge prima di tutto gli stereotipi acquisiti singolarmente, in tanti anni di cultura mutuata in gran parte dalla borghesia.
In questi giorni è in auge il toto presidente e, com’è normale anche i “comunisti” dicono la loro. Sentendosi tutti perfettamente in sintonia con le esigenze del paese, cioè con l’entità territoriale che tiene in gabbia i lavoratori, a disposizione di coloro che hanno il diritto di considerarli una merce, fanno a gara ad alimentare l’idea che ci sia qualcuno meglio degli altri, omettendo che comunque non hanno mai messo in discussione l’elemento di fondo: il potere di una classe sull’altra.
Si hanno così proposte inverosimili, giustificate solo dal fatto che i candidati sono dei tecnici della Costituzione, della Giurisprudenza, della Magistratura, del giornalismo e quant’altro.
Pochi si pongono il problema che sono vissuti (e hanno prosperato), all’ombra di un sistema intollerabile, perché profondamente iniquo e disonesto e che di questo sistema hanno discusso solo del rispetto delle regole che il sistema stesso si è dato.
E’ uno dei tanti esempi possibili per dimostrare che la cultura della borghesia la fa da padrona anche in molti che si definiscono ad ogni piè sospinto comunisti.
Sto facendo queste distinzioni non allo scopo di ignorare le contraddizioni in seno alla borghesia e al suo apparato, cosa che indubbiamente va sfruttata, quanto piuttosto sull’incapacità di molti di rapportarsi concretamente con queste, mantenendo la lucidità di capire che si tratta pur sempre di pezzi del sistema.
Ecco quindi che da questa forma di disordine mentale, scaturisce la sinistra che “cerca l’unità”, forse neanche rendendosi conto, per gli obiettivi che si pone, che sta togliendo le castagne dal fuoco della borghesia, svolgendo obiettivamente la funzione di indebolire sempre più le prospettive di lotta della classe operaia.
Nello specifico mi riferisco ai “syrizi”, professionisti del depistaggio, paghi di servire l’illuminato per un pugno di lenticchie.
E’ tempo di capire che, se non mettono ordine nel loro marasma culturale, cioè nella miscela perversa di malafede e sogni senza costrutto, non c ‘è più nulla da fare ed è inutile, anzi, controproducente intestardirsi considerandoli interlocutori.
Bisogna prendere atto che la sinistra, così come l’abbiamo conosciuta in questi anni è obiettivamente una finzione, cioè è tutto meno che una forza rivoluzionaria.
I comunisti hanno il compito di farlo subito, è una delle condizioni per rendere credibile qualsiasi tentativo politico organizzativo finalizzato alla liberazione dalla schiavitù della classe operaia.
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