Addetti ai lavori a Km.zero?
Non esiste arte o linguaggio artistico che non abbia tentato di padroneggiare intellettualmente il mondo nel quale si formula; non esiste artista che non abbia una sua costruzione dell'immagine dell'uomo per uso e consumo personale, che non abbia una immagine dei rapporti inter-umana, della natura e dei rapporti tra uomo e natura.
Il linguaggio dell'artista erroneamente si crede venga mosso dal desiderio di conoscere, muove in realtà dall'esigenza di riconoscersi in una immagine.
Gli artisti e gli spettatori che ricevono e donano visioni, non desiderano conoscere il mondo, ma riconoscersi in esso, questo spinge in genere il linguaggio dell'arte a accettare frontiere e sicurezze totalitarie di mondi chiusi, questo spinge i linguaggi dell'arte e certi artisti, e non una reale interazione linguistica, verso l'errore, verso verità parziali e provvisorie; l'egotismo d'artista allontana il linguaggio dell'arte dall'essere scienza condivisa.
Idealmente gli artisti si dovrebbero svincolare dal "critichese" imposto e da quelle espressioni convenzionali del relativismo comune che ghettizzano i linguaggi dell'arte ("sono generi diversi" o "sono linguaggi artistici differenti"), in questa maniera si determinano "apartheid" del linguaggio che non si integra, interagisce e diffonde.
La realtà è che oggi il problema dell'artista sta nella fatica e difficoltà a pensare al rapporto con lo spazio, vive immerso in grandi spazi economici e aggregati politici, forte e complice di come capitale e multinazionali abbiano abbattuto frontiere e incredibilmente accetta la crescita esponenziale di musei locali, che fanno riferimento ad "addetti ai lavori" locali e artistici che rivendicano il loro lavoro altamente professionale a km. zero nel mondo dei km. ridotti dai media.
Questo non è il tempo della crisi dell'identità d'artista (che anzi è inflazionata e in ogni dove), questo è il tempo della reale e irreversibile crisi degli spazi preposti all'arte che non hanno più funzione d'essere (se non nella forma di laboratori didattici) e della conseguente crisi dell'alterità, lo spettatore è stato cancellato e bannato dalla determinazione del fatto artistico.
Non riuscendo a pensare all'altro si è creata la figura del dilettante e dell'ignorante, colui che non sa e non capisce.
L'arte come linguaggio in questo momento storico è schiantata dall'eccesso degli eventi, delle immagini e dall'eccesso dell'individualizzazione che di fatto hanno affossato le cosmologie collettive.
Non esiste arte o linguaggio artistico che non abbia tentato di padroneggiare intellettualmente il mondo nel quale si formula; non esiste artista che non abbia una sua costruzione dell'immagine dell'uomo per uso e consumo personale, che non abbia una immagine dei rapporti inter-umana, della natura e dei rapporti tra uomo e natura.
Il linguaggio dell'artista erroneamente si crede venga mosso dal desiderio di conoscere, muove in realtà dall'esigenza di riconoscersi in una immagine.
Gli artisti e gli spettatori che ricevono e donano visioni, non desiderano conoscere il mondo, ma riconoscersi in esso, questo spinge in genere il linguaggio dell'arte a accettare frontiere e sicurezze totalitarie di mondi chiusi, questo spinge i linguaggi dell'arte e certi artisti, e non una reale interazione linguistica, verso l'errore, verso verità parziali e provvisorie; l'egotismo d'artista allontana il linguaggio dell'arte dall'essere scienza condivisa.
Idealmente gli artisti si dovrebbero svincolare dal "critichese" imposto e da quelle espressioni convenzionali del relativismo comune che ghettizzano i linguaggi dell'arte ("sono generi diversi" o "sono linguaggi artistici differenti"), in questa maniera si determinano "apartheid" del linguaggio che non si integra, interagisce e diffonde.
La realtà è che oggi il problema dell'artista sta nella fatica e difficoltà a pensare al rapporto con lo spazio, vive immerso in grandi spazi economici e aggregati politici, forte e complice di come capitale e multinazionali abbiano abbattuto frontiere e incredibilmente accetta la crescita esponenziale di musei locali, che fanno riferimento ad "addetti ai lavori" locali e artistici che rivendicano il loro lavoro altamente professionale a km. zero nel mondo dei km. ridotti dai media.
Questo non è il tempo della crisi dell'identità d'artista (che anzi è inflazionata e in ogni dove), questo è il tempo della reale e irreversibile crisi degli spazi preposti all'arte che non hanno più funzione d'essere (se non nella forma di laboratori didattici) e della conseguente crisi dell'alterità, lo spettatore è stato cancellato e bannato dalla determinazione del fatto artistico.
Non riuscendo a pensare all'altro si è creata la figura del dilettante e dell'ignorante, colui che non sa e non capisce.
L'arte come linguaggio in questo momento storico è schiantata dall'eccesso degli eventi, delle immagini e dall'eccesso dell'individualizzazione che di fatto hanno affossato le cosmologie collettive.
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