Ai Weiwei? Preferiamo l'enfasi del contrario.
La vera questione dei linguaggi dell'arte contemporanea è sull'uso sociale che se ne fa, il welfare dei linguaggi dell'arte contemporanea sembra una questione non interessante per gli "addetti ai lavori", pagherebbero oro per un "fuck you" mediatico di Ai Weiwei o Maurizio Cattelan per presentare la "trasgressione" del gesto artistico come un comunicato visivo dell'artista sulla società, questa dinamica scavalca il linguaggio dell'arte contemporanea, omette appunti, bozze e processi dell'artista stesso e ne cancella la mappa cognitiva, la sua immagine diventa più importante del suo linguaggio.
In realtà, gli artisti impegnati nella costruzione di un linguaggio sociale dell'arte dovrebbero avere un nemico comune, quel fluttuante e indebitato capitale globale che detta il nuovo ordine linguistico del fare artistico contemporaneo, nelle Accademie come nelle gallerie d'arte; gli artisti dovrebbero con il loro lavoro e la loro ricerca proclamare che l'omologazione del gusto e dello stile non è funzionale all'interesse culturale di una comunità.
L'interrogatorio comune da porsi sarebbe: "come fare mutare il sistema?"
Bisogna superare il limite dell'artista "militante", non c'è soldato e non c'è esercito, non si muta un ordine con la pretesa di fare il poliziotto della cultura e della ricerca, il termine "militante" antepone il vertice alla causa della ricerca artistica, militante di chi? Militante di cosa?
Achille Bonito Oliva si definisce "critico militante" e questo basta a determinare che non è il concetto di militanza che puoi aiutarci nel rappresentare un altro sistema dell'arte, forse lo è la sua negazione, ossia l'azione, il recupero del gesto nel processo artistico, nessuna militanza di sistema o contro il sistema, ma reazione.
Militante è un termine figlio della spinta della sinistra politica (che non è quella sociale e di movimento che si è manifestata a Genova all'inizio del secolo per intenderci) verso il potere, risale a logiche tardo ottocentesche per le quali i partiti basarono il proprio successo sulle organizzazioni sindacali, questo ha prodotto una miriade di associazioni, funzionari, uffici, sedi, circoletti, amministratori, ministri e ministeri di ogni livello, ordine e grado, il risultato pratico nel terzo millennio è che l'artista alla base del movimento, in nome della sua stessa militanza è finito per contare sempre meno, insomma la militanza d'artista è terminata col fatto che dei linguaggi dell'arte non freghi niente a nessuno, a destra come a sinistra, e l'orientamento è in base alla stella cometa del mercato indotto.
Quanto marketing culturale artistico passa per la possibilità di "dire la verità in faccia al potere" al fine di attirare l'attenzione su tematiche e problematiche che appaiono omesse ma in realtà sono abbondantemente diffuse?
Questo marketing del comodo "militante" non distingue e eleva l'artista professionista a portavoce della gente e anche degli artisti comuni che si schierano al suo fianco?
Il "militante" professionista non rivendica il suo ruolo proprio in relazione alla rete di contatti fatta da chi si nasconde tra le stanze del potere?
Il pubblico e le comunità non sono reali interlocutori di Ai Weiwei, sono semplici destinatari di un suo messaggio unidirezionato.
Blog e media integrati in teoria contrasterebbero questa tendenza, ma nella realtà i blog più visitati sono proprio quelli di artisti vicini al potere (Ai Weiwei, il bluff di Luca Rossi costruito a tavolino o Beppe Grillo con il suo M5S in Italia a esempio), tutto questo per dire che gli artisti che il sistema eleva a leader della militanza non hanno contatto con le reali problematiche dell'arte contemporanea e il loro stile comunicativo nasce condiscendente verso gli "addetti ai lavori"; schierati dalla parte degli oppressi non sono interessati per nulla alla reali problematiche linguistiche del fare arte contemporanea che tolgono il sonno all'artista comune.
Un linguaggio dell'arte "militante" gestito dall'alto nega l'uguaglianza e rende astrazione la solidarietà tra ricerche artistiche, questo è il motivo per cui l'enfasi del contrario è necessaria, fatta di scambi e collaborazioni dal basso tra artisti con la finalità di rimediare al difetto virale di un linguaggio imposto dall'alto per coalizioni di vertici.
La vera questione dei linguaggi dell'arte contemporanea è sull'uso sociale che se ne fa, il welfare dei linguaggi dell'arte contemporanea sembra una questione non interessante per gli "addetti ai lavori", pagherebbero oro per un "fuck you" mediatico di Ai Weiwei o Maurizio Cattelan per presentare la "trasgressione" del gesto artistico come un comunicato visivo dell'artista sulla società, questa dinamica scavalca il linguaggio dell'arte contemporanea, omette appunti, bozze e processi dell'artista stesso e ne cancella la mappa cognitiva, la sua immagine diventa più importante del suo linguaggio.
In realtà, gli artisti impegnati nella costruzione di un linguaggio sociale dell'arte dovrebbero avere un nemico comune, quel fluttuante e indebitato capitale globale che detta il nuovo ordine linguistico del fare artistico contemporaneo, nelle Accademie come nelle gallerie d'arte; gli artisti dovrebbero con il loro lavoro e la loro ricerca proclamare che l'omologazione del gusto e dello stile non è funzionale all'interesse culturale di una comunità.
L'interrogatorio comune da porsi sarebbe: "come fare mutare il sistema?"
Bisogna superare il limite dell'artista "militante", non c'è soldato e non c'è esercito, non si muta un ordine con la pretesa di fare il poliziotto della cultura e della ricerca, il termine "militante" antepone il vertice alla causa della ricerca artistica, militante di chi? Militante di cosa?
Achille Bonito Oliva si definisce "critico militante" e questo basta a determinare che non è il concetto di militanza che puoi aiutarci nel rappresentare un altro sistema dell'arte, forse lo è la sua negazione, ossia l'azione, il recupero del gesto nel processo artistico, nessuna militanza di sistema o contro il sistema, ma reazione.
Militante è un termine figlio della spinta della sinistra politica (che non è quella sociale e di movimento che si è manifestata a Genova all'inizio del secolo per intenderci) verso il potere, risale a logiche tardo ottocentesche per le quali i partiti basarono il proprio successo sulle organizzazioni sindacali, questo ha prodotto una miriade di associazioni, funzionari, uffici, sedi, circoletti, amministratori, ministri e ministeri di ogni livello, ordine e grado, il risultato pratico nel terzo millennio è che l'artista alla base del movimento, in nome della sua stessa militanza è finito per contare sempre meno, insomma la militanza d'artista è terminata col fatto che dei linguaggi dell'arte non freghi niente a nessuno, a destra come a sinistra, e l'orientamento è in base alla stella cometa del mercato indotto.
Quanto marketing culturale artistico passa per la possibilità di "dire la verità in faccia al potere" al fine di attirare l'attenzione su tematiche e problematiche che appaiono omesse ma in realtà sono abbondantemente diffuse?
Questo marketing del comodo "militante" non distingue e eleva l'artista professionista a portavoce della gente e anche degli artisti comuni che si schierano al suo fianco?
Il "militante" professionista non rivendica il suo ruolo proprio in relazione alla rete di contatti fatta da chi si nasconde tra le stanze del potere?
Il pubblico e le comunità non sono reali interlocutori di Ai Weiwei, sono semplici destinatari di un suo messaggio unidirezionato.
Blog e media integrati in teoria contrasterebbero questa tendenza, ma nella realtà i blog più visitati sono proprio quelli di artisti vicini al potere (Ai Weiwei, il bluff di Luca Rossi costruito a tavolino o Beppe Grillo con il suo M5S in Italia a esempio), tutto questo per dire che gli artisti che il sistema eleva a leader della militanza non hanno contatto con le reali problematiche dell'arte contemporanea e il loro stile comunicativo nasce condiscendente verso gli "addetti ai lavori"; schierati dalla parte degli oppressi non sono interessati per nulla alla reali problematiche linguistiche del fare arte contemporanea che tolgono il sonno all'artista comune.
Un linguaggio dell'arte "militante" gestito dall'alto nega l'uguaglianza e rende astrazione la solidarietà tra ricerche artistiche, questo è il motivo per cui l'enfasi del contrario è necessaria, fatta di scambi e collaborazioni dal basso tra artisti con la finalità di rimediare al difetto virale di un linguaggio imposto dall'alto per coalizioni di vertici.
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