Mano libera per il boia
Dunque, secondo l'estimatore delle preminenti ragioni dei pescicani, italiani ed europei, Napolitano, ISIS e antagonisti sono la stessa cosa.
Il fatto, poi, che la dichiarazione venga a cavallo delle nuove regole d’ingaggio delle forze dell’ordine di regime, compreso esplicitamente anche l’esercito: "evitare il contatto fisico coi manifestanti, tenerli a bada con gas al peperoncino, urticanti e quant’altro".
Assume il sapore di una dichiarazione di guerra a chi, non riconoscendosi nel regime e nella sua libertà di morire di fame, viene considerato come nemico da abbattere.
Che questo sia quanto pensa l’apripista del regime, che liquida come residui del passato il diritto di ogni lavoratore d’avere un lavoro, giustamente retribuito, e una pensione dignitosa, è cosa “normale”, soprattutto risaputa.
Ma a questo livello di chiarimento non si era mai giunti.
I tempi sono evidentemente giudicati maturi dal custode della tomba della Costituzione, maturi in modo tale da non richiedere neppure i consueti infingimenti dialettici atti a “democratizzare” le normali bestialità del regime.
D’altronde, se sulle reti di regime possono pontificare personaggi e “giornalisti” che si scandalizzano sulla differenza, risibile per loro, fra cinquecento e seicento euro di pensione, vuol dire che il cerchio si è chiuso e il boia ha mano libera.
ROMA, 4 NOVEMBRE 2014.
(Altare della Patria)
La “macchina da cucire” com’è definita dalla parte di Roma dissacrante, incombe sulla piazza. Picchetti d’onore interforze schierati, bandiere al vento, ordini secchi, stentorei, a sigillare l’allineamento perfetto degli uomini in armi.
Onori al Capo dello Stato, alla bandiera, alla corte di alti ufficiali e di politici compresi della solennità del momento.
La banda intona l’inno nazionale, poi la leggenda del Piave, poi nuovamente l’inno.
“Medaglia d’oro al valor militare conferita al caporale… il quale in Afganistan, in azione di guerra, teneva testa stoicamente al nemico subendo una ferita”, poi è la volta degli “eroici aviatori” per le missioni militari svolte in medio oriente.
Lassù, sulla scalinata, la tomba del milite ignoto s’indovina alle spalle dei corazzieri che sostengono la corona presidenziale.
In fondo è un simbolo, posto lì in rappresentanza di seicentomila contadini, trasformati in poltiglia dalla spietatezza di chi li mandava a ridurre in poltiglia altrettanti fratelli, contadini “nemici”.
Quanto ha reso economicamente il tritacarne della prima guerra mondiale?
E’ un tabù, così come lo sono le ricchezze costruite sulla seconda e quelle che si stanno costruendo sui vari teatri di guerra in giro per il mondo.
Già, la retorica patriottarda serve proprio a questo, ad usare anche da morti le vittime del capitale.
Lo si fa spesso, per rendere invisibile la spietata grettezza di chi usa gli uomini per trasformarli in denaro sonante e accumulare potere.
“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, fa parte di quel pezzo di carta scritto col sangue, nel novecento, degli unici caduti italiani del popolo e per il popolo.
A Roma, oggi, c’era il fior fiore dei rappresentanti di quei poteri da sempre responsabili delle guerre. Tutti impegnati a spalare letame sulla carta fondante della Repubblica.
Era visibile una conferma di ciò che è maturato in questi anni, un regime che considera normale il sacrificio di milioni di uomini per rafforzare ricchezza e potere nelle mani di pochi.
Quando parlano di patria, si riferiscono agli interessi di quei pochi sapendo benissimo che essi hanno assunto una dimensione sovranazionale.
Ho l’intima certezza che non indietreggeranno di fronte a nulla, non c’è guerra, non c’è strage, non c’è bassezza umana che non vorranno percorrere per conseguire i loro obiettivi.
La strada per impedirlo è dolorosa, perché collide con il naturale pacifismo di chi vorrebbe lavorare in pace facendo crescere i propri figli, sapendo che i lavoratori del mondo intero non sono e non sono mai stati nemici.
Eppure è necessario, prima che accada l’irreparabile, por fine al “lavoro” dell’immondizia radunata all’altare della patria oggi.
Ogni strumento è moralmente lecito per impedire che i parassiti dell’umanità ci trascinino nuovamente nel tritacarne della guerra.
Dunque, secondo l'estimatore delle preminenti ragioni dei pescicani, italiani ed europei, Napolitano, ISIS e antagonisti sono la stessa cosa.
Il fatto, poi, che la dichiarazione venga a cavallo delle nuove regole d’ingaggio delle forze dell’ordine di regime, compreso esplicitamente anche l’esercito: "evitare il contatto fisico coi manifestanti, tenerli a bada con gas al peperoncino, urticanti e quant’altro".
Assume il sapore di una dichiarazione di guerra a chi, non riconoscendosi nel regime e nella sua libertà di morire di fame, viene considerato come nemico da abbattere.
Che questo sia quanto pensa l’apripista del regime, che liquida come residui del passato il diritto di ogni lavoratore d’avere un lavoro, giustamente retribuito, e una pensione dignitosa, è cosa “normale”, soprattutto risaputa.
Ma a questo livello di chiarimento non si era mai giunti.
I tempi sono evidentemente giudicati maturi dal custode della tomba della Costituzione, maturi in modo tale da non richiedere neppure i consueti infingimenti dialettici atti a “democratizzare” le normali bestialità del regime.
D’altronde, se sulle reti di regime possono pontificare personaggi e “giornalisti” che si scandalizzano sulla differenza, risibile per loro, fra cinquecento e seicento euro di pensione, vuol dire che il cerchio si è chiuso e il boia ha mano libera.
ROMA, 4 NOVEMBRE 2014.
(Altare della Patria)
La “macchina da cucire” com’è definita dalla parte di Roma dissacrante, incombe sulla piazza. Picchetti d’onore interforze schierati, bandiere al vento, ordini secchi, stentorei, a sigillare l’allineamento perfetto degli uomini in armi.
Onori al Capo dello Stato, alla bandiera, alla corte di alti ufficiali e di politici compresi della solennità del momento.
La banda intona l’inno nazionale, poi la leggenda del Piave, poi nuovamente l’inno.
“Medaglia d’oro al valor militare conferita al caporale… il quale in Afganistan, in azione di guerra, teneva testa stoicamente al nemico subendo una ferita”, poi è la volta degli “eroici aviatori” per le missioni militari svolte in medio oriente.
Lassù, sulla scalinata, la tomba del milite ignoto s’indovina alle spalle dei corazzieri che sostengono la corona presidenziale.
In fondo è un simbolo, posto lì in rappresentanza di seicentomila contadini, trasformati in poltiglia dalla spietatezza di chi li mandava a ridurre in poltiglia altrettanti fratelli, contadini “nemici”.
Quanto ha reso economicamente il tritacarne della prima guerra mondiale?
E’ un tabù, così come lo sono le ricchezze costruite sulla seconda e quelle che si stanno costruendo sui vari teatri di guerra in giro per il mondo.
Già, la retorica patriottarda serve proprio a questo, ad usare anche da morti le vittime del capitale.
Lo si fa spesso, per rendere invisibile la spietata grettezza di chi usa gli uomini per trasformarli in denaro sonante e accumulare potere.
“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, fa parte di quel pezzo di carta scritto col sangue, nel novecento, degli unici caduti italiani del popolo e per il popolo.
A Roma, oggi, c’era il fior fiore dei rappresentanti di quei poteri da sempre responsabili delle guerre. Tutti impegnati a spalare letame sulla carta fondante della Repubblica.
Era visibile una conferma di ciò che è maturato in questi anni, un regime che considera normale il sacrificio di milioni di uomini per rafforzare ricchezza e potere nelle mani di pochi.
Quando parlano di patria, si riferiscono agli interessi di quei pochi sapendo benissimo che essi hanno assunto una dimensione sovranazionale.
Ho l’intima certezza che non indietreggeranno di fronte a nulla, non c’è guerra, non c’è strage, non c’è bassezza umana che non vorranno percorrere per conseguire i loro obiettivi.
La strada per impedirlo è dolorosa, perché collide con il naturale pacifismo di chi vorrebbe lavorare in pace facendo crescere i propri figli, sapendo che i lavoratori del mondo intero non sono e non sono mai stati nemici.
Eppure è necessario, prima che accada l’irreparabile, por fine al “lavoro” dell’immondizia radunata all’altare della patria oggi.
Ogni strumento è moralmente lecito per impedire che i parassiti dell’umanità ci trascinino nuovamente nel tritacarne della guerra.
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