Arte profanata? Mai più consacrata
Direttore, al solito leggo con molto interesse le notizie sulle ultime tendenze d’arte contemporanea sull’isola e apprendo con sgomento di un Museo d’arte contemporanea a Calasetta, che dovrebbe “abbattere ogni cliché e convenzione”, ma come è possibile abbattere ogni cliché e convenzione nascondendosi dietro l’etichetta Museo?
Si promette l’esotica avventura in un luogo “della profanazione dell’arte” quando tutto il programma curatoriale rimanda a una estetica del comportamento performance di vita figlia degli anni sessanta-settanta, fondata sull’estetica del processo non in antitesi con il prodotto, ma fatta essa stessa prodotto.
Questa idea del museo a cielo aperto, tra l’altro, rispetto a una idea performativa figlia dell’arte comportamentale, della body art e della land art, appare provinciale, non sorprende, la si raduna in un posto etichettato Museo dove la si va deliberatamente a incontrare in quanto arte.
Siamo onesti, come si fa a sfuggire ai cliché, con un curatore come Stefano Rabolli, Pansera, che un artista non è, ma ha un portfolio da addetto ai lavori che più convenzionale non si può?
Workshop in Corea e a Berlino, curatore per due anni alla Biennale di Venezia e Laurea presso l’Architettural Associaton di Londra; insomma a dirla tutta penso che questo Macc e la sua galleria mangia barche, siano destinati a rimanere negli intenti, un rifugio radical chic per pochi e spauriti impavidi turisti dell’arte contemporanea in cerca di qualcosa dal gusto apparentemente diverso ma in realtà piatto, omologato e privo di reali specificità semantiche (eccezion fatta per la location).
Con stima, Mimmo Di Caterino, Capoterra
Direttore, al solito leggo con molto interesse le notizie sulle ultime tendenze d’arte contemporanea sull’isola e apprendo con sgomento di un Museo d’arte contemporanea a Calasetta, che dovrebbe “abbattere ogni cliché e convenzione”, ma come è possibile abbattere ogni cliché e convenzione nascondendosi dietro l’etichetta Museo?
Si promette l’esotica avventura in un luogo “della profanazione dell’arte” quando tutto il programma curatoriale rimanda a una estetica del comportamento performance di vita figlia degli anni sessanta-settanta, fondata sull’estetica del processo non in antitesi con il prodotto, ma fatta essa stessa prodotto.
Questa idea del museo a cielo aperto, tra l’altro, rispetto a una idea performativa figlia dell’arte comportamentale, della body art e della land art, appare provinciale, non sorprende, la si raduna in un posto etichettato Museo dove la si va deliberatamente a incontrare in quanto arte.
Siamo onesti, come si fa a sfuggire ai cliché, con un curatore come Stefano Rabolli, Pansera, che un artista non è, ma ha un portfolio da addetto ai lavori che più convenzionale non si può?
Workshop in Corea e a Berlino, curatore per due anni alla Biennale di Venezia e Laurea presso l’Architettural Associaton di Londra; insomma a dirla tutta penso che questo Macc e la sua galleria mangia barche, siano destinati a rimanere negli intenti, un rifugio radical chic per pochi e spauriti impavidi turisti dell’arte contemporanea in cerca di qualcosa dal gusto apparentemente diverso ma in realtà piatto, omologato e privo di reali specificità semantiche (eccezion fatta per la location).
Con stima, Mimmo Di Caterino, Capoterra
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