La finzione del prodotto artistico anteposto al processo è generata dall'immaginazione di qualcuno che gli imprime il carattere, la realtà è negli effetti sensibili che le cose producono, un effetto che le cose reali hanno è generare credenza, il problema è come distinguere le credenze reali da quelle false, insomma certe credenze sull'arte contemporanea sono delle macchine teatrali rappresentate nella finzione del sistema.
Il critico non è un uomo d'arte, come la gran parte di coloro che si definiscono e propongono come addetti ai lavori non capisce un cazzo d'arte, non riesce neanche a leggere una discussione sull'arte a un livello un poco più profondo e sostenuto senza passare per i soliti nomi e le solite cifre da gossip di casa d'aste e da circoletto di galleria privata.
Purtroppo per lui, problematiche esterne all'arte lo metteranno in virtù di forze esterne dettate dalla stessa opulenta economia che l'ha prodotto a prendere atto della sua pochezza e nullità, non è una questione di punti di vista e neanche di selezione di ricerche artistiche da indagare, non potrà sfuggire alla riconfigurazione di tutto il sistema dell'arte.
So che in materia di arte il pubblico che non m'interessa preferisce la merce, qui cerco di elaborare idee vitali, che vorrei virali e capillari in nome del buon senso dell'arte e dell'artista, arte non ridotta a regola ma a cui dai segreto la scienza e la sua storia fornisce qualche indizio, intanto qualcuno ammira i suoi stronzi generati dal suo metabolismo nel fondo della sua tazza del cesso.
La giurisdizione del sistema del valore sociale dell'arte contemporanea è immanente all'ordine domestico. Il rapporto privato con la ricerca linguistica dell'arte nasconde un riconoscimento e un consenso profondo nei confronti del pubblico.
In fondo ciascun addetto ai lavori (che in realtà se non è un serio ricercatore praticante dei linguaggi artistici non è addetto a nulla) è consapevole di essere giudicato dagli oggetti che possiede, e si sottomette a questo giudizio del suo privato, anche quando lo sconfessa in apparenza.
Il privato, il domestico e il rifugio dell'arte, il vero rifugio dalle costrizioni del ruolo pubblico nel sociale (?), il privato è lo spazio autonomo del bisogno e della soddisfazione.
L'oggetto artistico è la giurisdizione privata dell'individuo in privato, anche quando in apparenza la rifiuta.
In tutto questo c'è un aspetto realmente patetico, si mima attraverso il possesso privato l'arte per l'arte, in quanto in fondo in fondo, per gli stessi addetti ai lavori (che di addetto non hanno un cazzo) non è un vero lavoro e neanche una vera cultura, altro non è che retorica della cultura domestica.
Quanti artisti, anche a livello inconscio, lavorano per non essere compresi dal pubblico? Anche quando si danno il tono pop, in fondo sono gratificati dal ruolo che hanno con il loro lavoro come segno di distinzione, il problema è che spesso si rivolgono a chi già distingue e non a chi non li vede.
Nessun commento:
Posta un commento