giovedì 28 marzo 2013

Cosa resterà dell'arte contemporanea?

L'ottocento è stato il secolo dell'avvento della cultura artistica di massa, il mecenate era colui che commissionava la maggiore parte degli oggetti artisticamente alti, eccezion fatta per la stampa (primogenito diretto della rivoluzione industriale).
Nell'ottocento nasce il mito persistente dell'opera unica irripetibile e costosa (come se non esistessero opere uniche  e irripetibili omesse, escluse e non comprese che della stessa epoca sono figlie).
 In Europa i produttori dell'arte unica e non riproducibile dipendevano da sovrani, principi e nobili, patrizi, milionari e chiese.
Il novecento ha ampliato il raggio, distinguendo tra arte nazionale e/o internazionale, l'arte della società extraeuropea che ha dato il via alla modernizzazione e alla europeizzazione.
Da quel momento è diventato improbabile che la distribuzione geografica e museale della grande arte universale muti, nessun Museo di un paese emergente, per quanto ricco, ma confinato in una condizione di partenza nazionale, può e potrà competere con la concentrazione di arte "globalmente, storicamente e universalmente" riconosciuta in Europa e in Usa, d'altro canto le collezioni d'arte occidentale grazie a razzie di guerra e frodi varie non sono prive di tesori di altre culture.
L'anomalia del nostro sistema espositivo museale è da cercare in quel crollo della modernità negli  del novecento che ha spinto realmente e non come proclama avanguardistico, l'arte figurativa verso l'indeterminato anche attraverso la performance espositiva, questo ha costituito (con resistenza di mercato fortissime) già nel secolo scorso la messa in discussione della differenza pregressa ottocentesca tra "arte globale" e "locale".
Il modello tradizionale di arte elevata a vita non poteva attecchire su popolazioni indifferenti a Rembrandt o Vermeer, il secolo era imbevuto di immagini, forme e suoni prodotti e distribuiti solo per gonfiare il consumo di massa.
Gli artisti non erano più centrali nella produzione di un opera, non era più chiaro cosa fosse una operae quale fosse la differenza tra un quadro appeso in galleria e il flusso di immagini pubblicitarie comune.
L'arte di Warhol stessa, si proponeva come antiarte, non aveva pretese e sfidava nel distinguere tra arte e non arte.
Il problema del secolo in corso è quello di adattare l'arte alla identità culturale, a un senso collettivo e simbolico di appartenenza a un qualche gruppo di "noi" che non appartiene a "loro".
In fondo siamo tutti membri di svariate e diverse collettività che contestualizzano di riflesso arti e artisti differenti.
Molta post-arte, si trascina stancamente dal secolo scorso adattandosi a una cornice culturale che non ha più senso alcuno, la scultura pubblica ha resistito attraverso interventi urbani e extraurbani  e spazi in espansione, ma il vero problema dell'oggi è: cosa del contemporaneo resisterà (anche attraverso i performing media) senza essere ridotto a memoria generazionale avvicendata un poco rétro?
 Difficile dirlo, intanto viviamo tsunami di sistema nel mondo una volta specializzato e riservato degli addetti ai lavori dell'arte contemporanea e aspettiamo che il ventunesimo secolo si assesti in qualche rotta di movimento.



1 commento:

  1. le avanguardie sono sempre ostiche. Il rinascimento ha impiegato decenni ad imporsi lontano da Firenze, in alcuni casi il gotico era così radicato che ha resistito fino al '600; nel frattempo a Firenze si era passati al manierismo e poi a Roma era nato il barocco, mentre nella vicinissima Sardegna, sotto l'influsso spagnolo, il gotico continuava ad imperare.

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