venerdì 1 marzo 2013

Gesto insubordinato? La base della speranza

La dignità dei linguaggi dell'arte invisibili esiste ovunque ci sia vita e relazione umana.
L'oppressione di un linguaggio implica forza maggiore il suo opposto.
La lotta delle immagini è la lotta per vivere dell'umanità, è la lotta della dignità identitaria personale in nome del ben fatto.
La lotta dei linguaggi dell'arte è una lotta per essere riconosciuti, è la lotta del fronte della liberazione linguistica del potere fare.
Ovviamente il peto roboante dell'artista del sud dell'isola a sud del mondo non farà cadere da cavallo il signorotto, ma è un linguaggio insubordinato che materializza il potere del gesto e del senso, la base della speranza.




Ci sono modi sottili dove il fare linguaggio dell'arte si produce in forme alternative, anche semplicemente passando per il fare bene il proprio lavoro, docenti di arte che cercano d'insegnare il senso del segno ai propri discenti, designer o grafici che cercano di proporre prodotti bene disegnati e comunicati in maniera etica prima che estetica, autoproduzioni che siano prima di tutto buoni prodotti.
Il valore linguistico dell'arte in questo fatto può essere visto come un motivo di disturbo.
Il potere fare implica un ritorno ai mezzi pratici del fare ed al recupero del fare come bene comune, il linguaggio del fare è relazione tra persone diverse per  qualità.
Come permettere al linguaggio dell'arte di continuare a muoversi e fare movimento? Aprendoci all'incertezza formale del linguaggio dell'arte, "camminando domandando" come dicono gli zapatisti, perché non conosciamo la strada e perché la strada è parte del processo d'innovazione e rivoluzione della didattica della grammatica linguistica dell'arte.
I linguaggi dell'arte non hanno un finale, i musei li negano, sono domande e inviti a discutere, l'arte non ha un lieto fine e non cambia gli errori e gli orrori del sistema sociale in cui è immersa. L'obiettivo dei linguaggi dell'arte? Alimentare le differenze per arrivare a comprenderle. 

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