Ma in che misura e in che modo gli
accademici, gli intellettuali, i professionisti, e in questo caso gli artisti,
da sempre riluttanti al moralismo e a qualsiasi forma di censura, liberi nel
limbo superpartes da cui raccontare con la propria arte
il contemporaneo fatto di bene e di male, di trasformazioni politiche, etiche e
sociali, di conflitti ed emozioni, possono/debbono intonare il
IO SO
pasoliniano, su questioni che non li riguarda direttamente, ma che influiscono
sul clima e sul modo di sentire comune?
In
un tempo fatto di indifferentismo culturale e dominato dall’incultura, è più sensato esprimersi,
ognuno con i propri mezzi, compresi i “riluttanti” artisti, o è più opportuno
lasciare che certe battaglie vengano combattute sul campo dagli eserciti
ufficiali, legittimati a farlo, restando con il dubbio se questo “impegno”, che
necessariamente prevede il rischio che si possa essere definiti faziosi o
moralisti, non sia piuttosto un atto di coraggio?
Chiara
Schirru
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