IL GIORNO DOPO
Sono un uomo d’età, che nella vita ne ha viste di tutti i colori, per nulla incline alla violenza pur essendo un “mangiabambini comunista”, eppure, scorrendo i resoconti della stampa di regime sugli scontri di ieri, a Roma, la mia abituale natura riflessiva è andata a farsi benedire.
Sono letteralmente furioso, lo sono perché ho scorto un copione già visto nell’Italia peggiore, quando settori dello Stato amoreggiavano con le trame nere e regolarmente si trovava l’espediente, più o meno dialettico, o giuridico, per scagionare i malfattori di Stato.
Renzi dice che ha parlato con Landini, poi, smentito, ma in maniera furbesca, da Landini stesso, afferma d’essere stato cercato dal vate sindacale e d’avere scambiato con esso alcuni messaggi.
La prima questione che mi viene in mente è che l’errore squadristico è stato commesso dando una manganellata anche a Landini.
Evidentemente nessuno aveva informato i responsabili dell’ordine di regime, che le parole di Renzi, per quel che riguarda la dirigenza sindacale non dovevano essere prese alla lettera.
Un conto è rimetterli al loro posto di semplici collaboratori e un conto è trattarli come si fa abitualmente con gli altri, quelli che si oppongono davvero alle porcherie.
Dov’era Landini quando volavano dal ministero fior di candelotti sui manifestanti, quando si massacrava di botte migliaia di studenti e lavoratori, rei di non accettare le misure imposte dal Re e dai suoi accoliti?
Qui nessuno ha detto che si trattava di un equivoco, anzi, si è negata anche l’evidenza scientifica.
E fosse solo questo il problema.
Landini, in quanto dirigente sindacale, porta tutt’intera la responsabilità dell’obiettivo isolamento, in cui i lavoratori hanno subito negli anni tutte le angherie possibili da parte del padronato e del governo.
Mentre con uno stillicidio inarrestabile il padronato faceva quel che voleva, licenziando, chiudendo fabbriche e quant’altro, anziché chiamare alla lotta unitaria tutte le categorie, si limitava a fare ciò che la dirigenza sindacale sa fare meglio, insegnare ai padroni come la loro bestialità sia “solo” frutto di scelte imprenditoriali “sbagliate”.
Cioè contribuiva a disegnare la dirigenza sindacale come consulente padronale e parte in causa nella gestione imprenditoriale.
La seconda questione invece, è la constatazione che il processo di fascistizzazione dello Stato è andato talmente avanti da liberare dagli orpelli di un controllo, spesso più formale che reale, il loro operato.
Si sentono liberi di eseguire al meglio il loro compito, sicuri che ci penseranno i superiori a trovare la giustificazione adatta per spiegare qualsiasi cosa.
Del resto a questo si è puntato nel corso degli ultimi anni, la stessa noncuranza con cui, nelle alte sfere, si calpesta la legge fondante della Repubblica, la Costituzione, è il “liberi tutti” per la parte peggiore della società, sia essa in divisa, in toga, o coperta dal doppio petto di qualche manager o consigliere d’amministrazione.
Tutte cose già viste, cose per le quali l’arrabbiatura del singolo non cambierà nulla, sino a quando la somma dei singoli non sarà in grado di organizzarsi, pensionando “rappresentanti” che “chiamano il capo” solo perché hanno assaggiato di persona la medicina che “nutre” tutti i giorni i lavoratori.
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