giovedì 30 ottobre 2014

Il giorno dopo di G Angelo Billia







ONORE E INFAMIA
(A proposito delle botte agli operai).

Ho ancora negli occhi il volto sanguinante di un operaio, pestato perché colpevole d’aver difeso il posto di lavoro e il Tg mi rimanda l’immagine di Fassino in conferenza stampa:
 i comuni protestano per le misure governative, vogliono un tavolo di confronto.
Onore e infamia. 
L’onore di chi affronta gli sgherri del regime, senz’altra arma che il suo diritto ad una vita di lavoro dignitosa e l’infamia di chi ha contribuito alla costruzione del regime stesso.
Che fare? 
Ancora una volta “alzare alta la voce della protesta”, oppure ritornare a disquisire sull’ingiustizia?
Ci sarebbe anche l’ipotesi di continuare a coltivare le tante preferenze personali: denuncia delle malversazioni; il Parlamento incostituzionale; l’Euro fonte di tutti i mali; le banche che non danno prestiti; la degenerazione del Pd; il futuro negato alle nuove generazioni; il ricordo della Costituzione repubblicana; la disoccupazione; le pensioni da fame e quelle da ricchi; i tagli ai fondi per disabili; ecc.
Ponendomi questi interrogativi, che derivano da una personale lettura dei fermenti che attraversano la sinistra, noto la loro inadeguatezza rispetto al problema centrale che si pone oggi.
 A che serve, mi domando, parcellizzare un problema che proprio i fatti odierni dimostrano essere, al contrario, riconducibile all’insieme del regime?
Non serve neppure fare, per l’ennesima volta, l’elenco dei tanti motivi che sono alla base di questo ragionamento.
 Le botte di oggi, più ancora che quelle del passato, sono il sigillo di un regime che non indietreggerà di fronte a nulla per imporre le sue scelte al popolo lavoratore. 
Il pluripresidente e il partito che è andato affermandosi grazie alle sue scelte, facendo a meno anche dell’avallo elettorale, sono la mano politica di chi, oggi, ha deciso di riprendersi lo stesso diritto alla vita dei cittadini.
Il paese e con esso gli altri paesi, europei, ma non solo, affonda nelle tenebre di una dittatura che fa a meno delle camicie nere (per ora), ma che, per le sue moderne peculiarità promette di essere più feroce di quelle conosciute in passato.
Mentre chi ha perso il lavoro muore, spesso non solo civilmente, e viene manganellato, mentre anche la semplice attuazione della giustizia penale, cioè quella contenuta nel codice, da anni dà segni sempre più evidenti d’omologazione (basterebbe per tutti l’esempio del processo G8, o il processo con l’imputazione di terrorismo per i no TAV) e mentre l’esercito e le forze di polizia, in modo sempre più impune zittiscono violentemente il dissenso, provando con l’evidenza dei fatti di rispondere ad orientamenti politici precisi del regime, credo davvero non abbia più senso, né la frammentazione della sinistra, né, tantomeno, l’annullamento delle energie rincorrendo questo o quell’ obiettivo parziale.
La protervia renziana-presidenziale è lì, a dimostrare che il nemico è uno e indivisibile. 
A mio giudizio non se ne esce, o si comprende questo oggi, o lo capiremo domani, quando il numero dei nostri caduti sarà divenuto insopportabile anche per le “anime belle” della sinistra.




IL GIORNO DOPO

Sono un uomo d’età, che nella vita ne ha viste di tutti i colori, per nulla incline alla violenza pur essendo un “mangiabambini comunista”, eppure, scorrendo i resoconti della stampa di regime sugli scontri di ieri, a Roma, la mia abituale natura riflessiva è andata a farsi benedire.
Sono letteralmente furioso, lo sono perché ho scorto un copione già visto nell’Italia peggiore, quando settori dello Stato amoreggiavano con le trame nere e regolarmente si trovava l’espediente, più o meno dialettico, o giuridico, per scagionare i malfattori di Stato.
Renzi dice che ha parlato con Landini, poi, smentito, ma in maniera furbesca, da Landini stesso, afferma d’essere stato cercato dal vate sindacale e d’avere scambiato con esso alcuni messaggi.
La prima questione che mi viene in mente è che l’errore squadristico è stato commesso dando una manganellata anche a Landini. 

Evidentemente nessuno aveva informato i responsabili dell’ordine di regime, che le parole di Renzi, per quel che riguarda la dirigenza sindacale non dovevano essere prese alla lettera. 
Un conto è rimetterli al loro posto di semplici collaboratori e un conto è trattarli come si fa abitualmente con gli altri, quelli che si oppongono davvero alle porcherie.
Dov’era Landini quando volavano dal ministero fior di candelotti sui manifestanti, quando si massacrava di botte migliaia di studenti e lavoratori, rei di non accettare le misure imposte dal Re e dai suoi accoliti? 

Qui nessuno ha detto che si trattava di un equivoco, anzi, si è negata anche l’evidenza scientifica.
E fosse solo questo il problema. 

Landini, in quanto dirigente sindacale, porta tutt’intera la responsabilità dell’obiettivo isolamento, in cui i lavoratori hanno subito negli anni tutte le angherie possibili da parte del padronato e del governo.
Mentre con uno stillicidio inarrestabile il padronato faceva quel che voleva, licenziando, chiudendo fabbriche e quant’altro, anziché chiamare alla lotta unitaria tutte le categorie, si limitava a fare ciò che la dirigenza sindacale sa fare meglio, insegnare ai padroni come la loro bestialità sia “solo” frutto di scelte imprenditoriali “sbagliate”.

 Cioè contribuiva a disegnare la dirigenza sindacale come consulente padronale e parte in causa nella gestione imprenditoriale.
La seconda questione invece, è la constatazione che il processo di fascistizzazione dello Stato è andato talmente avanti da liberare dagli orpelli di un controllo, spesso più formale che reale, il loro operato. 

Si sentono liberi di eseguire al meglio il loro compito, sicuri che ci penseranno i superiori a trovare la giustificazione adatta per spiegare qualsiasi cosa. 
Del resto a questo si è puntato nel corso degli ultimi anni, la stessa noncuranza con cui, nelle alte sfere, si calpesta la legge fondante della Repubblica, la Costituzione, è il “liberi tutti” per la parte peggiore della società, sia essa in divisa, in toga, o coperta dal doppio petto di qualche manager o consigliere d’amministrazione.
Tutte cose già viste, cose per le quali l’arrabbiatura del singolo non cambierà nulla, sino a quando la somma dei singoli non sarà in grado di organizzarsi, pensionando “rappresentanti” che “chiamano il capo” solo perché hanno assaggiato di persona la medicina che “nutre” tutti i giorni i lavoratori.

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