ELEZIONI:
IL GIORNO DOPO di G Angelo Billia
Ho posto attenzione a ciò che penso, ai miei commenti espressi e a quelli non espressi, li ho uniti a quelli formulati dagli altri, amici e no, sono giunto alla conclusione che tutti quanti noi recitiamo un copione ripetuto, ripetuto e ripetuto.
Ho il non invidiabile privilegio di poter fare un raffronto, per conoscenza diretta, di una lunga sequenza di giorni dopo, e ancora constato, nonostante alcuni cambiamenti obiettivi della situazione generale, la ripetizione meccanica, sempre uguale, non solo delle ragioni politiche, bensì delle stesse metodiche adottate per commentare.
Per i puristi della politica dirò che sono consapevole che le argomentazioni non cambiano perché nulla è cambiato dal punto di vista dei rapporti fra le classi.
Vorrei, però, cercare di capire perché, alla fine, ognuno prescinde obiettivamente da essi, in un apparente dialogo fra sordi.
Il motivo dominante fra chi ritiene d’aver perso, chi d’aver vinto, ma non abbastanza e chi ritiene che sia stato meglio non giocare partite truccate in partenza, è costituito dal livore, a volte mitigato dal bon ton, verso gli “altri”, colpevoli di non aver capito niente.
Mi chiedo: e se fosse davvero così?
Se avessimo, al di là delle differenze, centrato inconsapevolmente il problema di fondo?
Proviamo a spostarci in tribuna e a guardare senza opinioni precise il gioco che si sta sviluppando. I più compassati di noi prenderebbero partito per i più abili, i più sportivi, a prescindere dal padrone della squadra alla quale appartengono, altri, magari frustrati da una vita senza arte né parte, s’accoderebbero ai più decisi e spregiudicati, altri ancora farebbero una scelta estetica basata sul colore delle magliette, altri ancora sceglierebbero il campanile.
Ora immaginiamoci all’uscita dello stadio, a festeggiare i “nostri” vincitori, e a discutere con i perdenti, o viceversa.
C’è davvero molta differenza dal giorno dopo elettorale?
So di urtare molte suscettibilità, compresa la mia, ma noto che la maggior parte delle argomentazioni sportive, pardon, politiche, esula completamente dalla realtà delle cose.
Viviamo in un mondo nel quale cento cioccolatini diversi sono poeticamente ognuno “più buono” dell’altro e per renderci edotti di ciò si spende un centesimo per fare i cioccolatini e nove centesimi per la poesia.
Il fatto che i cioccolatini siano alla portata esclusiva dello 0,05% della popolazione non è motivo su cui accapigliarsi.
Spendiamo la vita per produrre i cioccolatini, avere di che sopravvivere e arricchire l’industriale, ma, nell’ipotesi in auge, più “onesta” politicamente, bisogna dare altri soldi all’industriale.
A norma costituzionale dovremmo avere di che vivere decentemente, ma lo Stato deve pensare a garantire l’indecente ricchezza dei padroni d’Europa.
La perversione secondo la quale il diritto al lavoro e ad una vita degna dipende dalla bontà del datore di lavoro è divenuto elemento indiscutibile fra le forze politiche.
E’ del tutto normale discutere di disoccupazione e povertà, non in termini di diritti negati, ma in termini di questione umanitaria, da risolvere con qualche elargizione.
L’asse fra affaristi, industriali e forze politiche, non è più banditesco in quanto tale, ma lo è solo se sono disonesti, secondo parametri forniti da loro stessi.
L’emolumento percepito dai politici ha attratto le ire di tutti, divenendo il capro espiatorio atto a coprire l’illegalità generale di quella che è stata definita classe politica.
E’ un fatto che siamo tutti a fauci digrignanti sul percepito e lo siamo molto meno sulla ragione che, chi percepisce, per il solo fatto di essere abusivamente in Parlamento dovrebbe essere in galera.
Di tutto questo e molto altro c’è senz’altro traccia nei commenti, ma è la traccia peggiore, quella che mi porta a dire che vedo prevalente lo “spessore” degli “argomenti” tipici del dopo partita.
E’ partendo dalle considerazioni sopra accennate che mi accingo a trarre delle conclusioni.
A chi non ha votato perché la partita era truccata, dico senza mezzi termini, che la scelta ha un senso solo se ad essa fa seguito l’organizzazione alternativa, destinata a creare le condizioni per rovesciare completamente questo sistema sociale.
In caso contrario non c’è differenza col piccolo borghese stizzito che vive nella “grandezza” della sua solitudine.
A chi ha votato 5s rivolgo l’invito a guardare l’insieme della politica del movimento.
Non è un atto rivoluzionario l’auto decurtazione di cotanto stipendio e lo è ancora di meno usare i soldi così ottenuti per sostituirsi alle banche, foraggiando nuove aziende, nell’ambito delle quali i lavoratori subiranno lo sfruttamento al pari di qualsiasi altra azienda.
Certamente è una misura indicativa di onestà personale dei politici 5s, ma non basta se non serve ad una strategia di cambiamento radicale.
Le performance di Grillo nelle assemblee degli azionisti, contro i disonesti, non tolgono nulla al fatto che si consideri onesta la proprietà privata dei mezzi di produzione.
Il reddito di cittadinanza, così com’è espresso dal movimento, relega in un ambito assistenzialistico una questione, quella del diritto al lavoro, che è materia di diritto costituzionale.
Il motivo dominante, quello che nei commenti appare dirimente della scelta 5s, è la questione degli onesti contrapposti ai disonesti.
Posso dire che ho visto passare sotto gli occhi tutte le scadenze elettorali della repubblica, e affermo che questo motivo è stato presente in tutte le campagne elettorali.
Mancava, come manca ora, l’onestà di mettere in discussione la profonda disonestà insita in un sistema sociale che fa dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo la sua ragion d’essere.
A chi ha votato per liste “di sinistra”, dico solo che non bastano le parole per essere veramente tali.
Gli spazi per strappare qualche conquista agendo di concerto con la borghesia “buona” non ci sono più, in quanto questa borghesia non esiste, e sono troppi i danni che sono stati fatti rincorrendo questo miraggio.
E’ ora di por mano ad un profondo ripensamento sulle ragioni che inducono a cercare affermazioni in un campo occluso e che, per giunta, non è quello dei lavoratori.
Nessuna illusione, quand’anche per una serie di circostanze fortunate, per ora certamente neppure ipotizzabili, fosse possibile creare una situazione politica simile a quella greca, il compito che dovrà essere svolto è quello di coprire con qualche misura popolare, il lavoro fondamentale di tenere in piedi il sistema che ha reso possibile lo sfacelo della società.
A chi ha votato per l’area governativa, ivi compreso il centro destra, osservo solo che dovrebbero accettare la definizione di elettorato intercambiabile, così come lo sono le forze politiche a cui si riferiscono.
Certamente hanno la responsabilità di aver favorito la fascistizzazione dello Stato, l’affossamento della Costituzione, la perdita dei diritti dei lavoratori.
Qui, mi spiace dirlo, non c’è nulla da discutere sul piano politico, siamo su schieramenti opposti ed incompatibili.
Solo chi dovesse rinsavire è ancora in tempo per trovarsi dalla parte giusta al momento dello scontro. Eh sì, perché, anche se non ci credono, lo scontro ci sarà, eccome!
IL GIORNO DOPO di G Angelo Billia
Ho posto attenzione a ciò che penso, ai miei commenti espressi e a quelli non espressi, li ho uniti a quelli formulati dagli altri, amici e no, sono giunto alla conclusione che tutti quanti noi recitiamo un copione ripetuto, ripetuto e ripetuto.
Ho il non invidiabile privilegio di poter fare un raffronto, per conoscenza diretta, di una lunga sequenza di giorni dopo, e ancora constato, nonostante alcuni cambiamenti obiettivi della situazione generale, la ripetizione meccanica, sempre uguale, non solo delle ragioni politiche, bensì delle stesse metodiche adottate per commentare.
Per i puristi della politica dirò che sono consapevole che le argomentazioni non cambiano perché nulla è cambiato dal punto di vista dei rapporti fra le classi.
Vorrei, però, cercare di capire perché, alla fine, ognuno prescinde obiettivamente da essi, in un apparente dialogo fra sordi.
Il motivo dominante fra chi ritiene d’aver perso, chi d’aver vinto, ma non abbastanza e chi ritiene che sia stato meglio non giocare partite truccate in partenza, è costituito dal livore, a volte mitigato dal bon ton, verso gli “altri”, colpevoli di non aver capito niente.
Mi chiedo: e se fosse davvero così?
Se avessimo, al di là delle differenze, centrato inconsapevolmente il problema di fondo?
Proviamo a spostarci in tribuna e a guardare senza opinioni precise il gioco che si sta sviluppando. I più compassati di noi prenderebbero partito per i più abili, i più sportivi, a prescindere dal padrone della squadra alla quale appartengono, altri, magari frustrati da una vita senza arte né parte, s’accoderebbero ai più decisi e spregiudicati, altri ancora farebbero una scelta estetica basata sul colore delle magliette, altri ancora sceglierebbero il campanile.
Ora immaginiamoci all’uscita dello stadio, a festeggiare i “nostri” vincitori, e a discutere con i perdenti, o viceversa.
C’è davvero molta differenza dal giorno dopo elettorale?
So di urtare molte suscettibilità, compresa la mia, ma noto che la maggior parte delle argomentazioni sportive, pardon, politiche, esula completamente dalla realtà delle cose.
Viviamo in un mondo nel quale cento cioccolatini diversi sono poeticamente ognuno “più buono” dell’altro e per renderci edotti di ciò si spende un centesimo per fare i cioccolatini e nove centesimi per la poesia.
Il fatto che i cioccolatini siano alla portata esclusiva dello 0,05% della popolazione non è motivo su cui accapigliarsi.
Spendiamo la vita per produrre i cioccolatini, avere di che sopravvivere e arricchire l’industriale, ma, nell’ipotesi in auge, più “onesta” politicamente, bisogna dare altri soldi all’industriale.
A norma costituzionale dovremmo avere di che vivere decentemente, ma lo Stato deve pensare a garantire l’indecente ricchezza dei padroni d’Europa.
La perversione secondo la quale il diritto al lavoro e ad una vita degna dipende dalla bontà del datore di lavoro è divenuto elemento indiscutibile fra le forze politiche.
E’ del tutto normale discutere di disoccupazione e povertà, non in termini di diritti negati, ma in termini di questione umanitaria, da risolvere con qualche elargizione.
L’asse fra affaristi, industriali e forze politiche, non è più banditesco in quanto tale, ma lo è solo se sono disonesti, secondo parametri forniti da loro stessi.
L’emolumento percepito dai politici ha attratto le ire di tutti, divenendo il capro espiatorio atto a coprire l’illegalità generale di quella che è stata definita classe politica.
E’ un fatto che siamo tutti a fauci digrignanti sul percepito e lo siamo molto meno sulla ragione che, chi percepisce, per il solo fatto di essere abusivamente in Parlamento dovrebbe essere in galera.
Di tutto questo e molto altro c’è senz’altro traccia nei commenti, ma è la traccia peggiore, quella che mi porta a dire che vedo prevalente lo “spessore” degli “argomenti” tipici del dopo partita.
E’ partendo dalle considerazioni sopra accennate che mi accingo a trarre delle conclusioni.
A chi non ha votato perché la partita era truccata, dico senza mezzi termini, che la scelta ha un senso solo se ad essa fa seguito l’organizzazione alternativa, destinata a creare le condizioni per rovesciare completamente questo sistema sociale.
In caso contrario non c’è differenza col piccolo borghese stizzito che vive nella “grandezza” della sua solitudine.
A chi ha votato 5s rivolgo l’invito a guardare l’insieme della politica del movimento.
Non è un atto rivoluzionario l’auto decurtazione di cotanto stipendio e lo è ancora di meno usare i soldi così ottenuti per sostituirsi alle banche, foraggiando nuove aziende, nell’ambito delle quali i lavoratori subiranno lo sfruttamento al pari di qualsiasi altra azienda.
Certamente è una misura indicativa di onestà personale dei politici 5s, ma non basta se non serve ad una strategia di cambiamento radicale.
Le performance di Grillo nelle assemblee degli azionisti, contro i disonesti, non tolgono nulla al fatto che si consideri onesta la proprietà privata dei mezzi di produzione.
Il reddito di cittadinanza, così com’è espresso dal movimento, relega in un ambito assistenzialistico una questione, quella del diritto al lavoro, che è materia di diritto costituzionale.
Il motivo dominante, quello che nei commenti appare dirimente della scelta 5s, è la questione degli onesti contrapposti ai disonesti.
Posso dire che ho visto passare sotto gli occhi tutte le scadenze elettorali della repubblica, e affermo che questo motivo è stato presente in tutte le campagne elettorali.
Mancava, come manca ora, l’onestà di mettere in discussione la profonda disonestà insita in un sistema sociale che fa dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo la sua ragion d’essere.
A chi ha votato per liste “di sinistra”, dico solo che non bastano le parole per essere veramente tali.
Gli spazi per strappare qualche conquista agendo di concerto con la borghesia “buona” non ci sono più, in quanto questa borghesia non esiste, e sono troppi i danni che sono stati fatti rincorrendo questo miraggio.
E’ ora di por mano ad un profondo ripensamento sulle ragioni che inducono a cercare affermazioni in un campo occluso e che, per giunta, non è quello dei lavoratori.
Nessuna illusione, quand’anche per una serie di circostanze fortunate, per ora certamente neppure ipotizzabili, fosse possibile creare una situazione politica simile a quella greca, il compito che dovrà essere svolto è quello di coprire con qualche misura popolare, il lavoro fondamentale di tenere in piedi il sistema che ha reso possibile lo sfacelo della società.
A chi ha votato per l’area governativa, ivi compreso il centro destra, osservo solo che dovrebbero accettare la definizione di elettorato intercambiabile, così come lo sono le forze politiche a cui si riferiscono.
Certamente hanno la responsabilità di aver favorito la fascistizzazione dello Stato, l’affossamento della Costituzione, la perdita dei diritti dei lavoratori.
Qui, mi spiace dirlo, non c’è nulla da discutere sul piano politico, siamo su schieramenti opposti ed incompatibili.
Solo chi dovesse rinsavire è ancora in tempo per trovarsi dalla parte giusta al momento dello scontro. Eh sì, perché, anche se non ci credono, lo scontro ci sarà, eccome!
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