Leggo su "La stampa" un incredibile attacco di Francesco Bonami (ex artista divenuto curatore dove essere passato per la palestra di "Flash Art" alla ministra Melandri.
Sostiene che il Maxxi, il museo della arti del ventunesimo secolo firmato Zaha Hadid, aperto nel 2010 sia già finito perché non programmato nel modo giusto, a partire dal concorso per l'edificio, accusa la responsabile ex ministro della cultura di avere montato una imbarazzante collezione di arte contemporanea, dal punto di vista qualitativo e del costo. Accusa anche l'attuale ministro Ornaghi di avere nominato a capo del museo la responsabile principale dei suoi mali.
Perché Bonami attacca così?
Non ci vuole un genio a capirlo e lo spiega lui stesso:
"Un archeologo non può essere al vertice di un museo d'arte contemporanea.....Un politico può fare il presidente di una Fondazione culturale come figura che ne tutela l'autonomia non quella che plasma la sua missione".
Non una parola su come le Fondazioni Culturali stiano trattando la non restituzione se non in minima parte di un debito contratto con la stato di cui si prevede la restituzione di una quota per fare gravare il resto della spesa a carico dei contribuenti ignari, il Maxxi dovrebbe chiudere come tanti Musei e Fondazioni d'arte contemporanea che in nome di ricchezze e culture private contribuiscono in tempi come questi ad immiserire la comunità.
Il problema non è la Melandri e Bonami che l'attacca fa sorridere, quasi non si sapesse che è un uomo al soldo del mercato privato ed un mercenario della cultura artistica (niente è peggiore di un artista che per interesse decide di fare il curatore), il problema è che certi spazi non hanno senso alcuno e non ha senso che il mercato privato Musealizzi il contemporaneo, il contemporaneo esiste da sé, la storia del presente non si può arrogare nessuno il diritto si scriverla e di giudicarla, altrimenti quale differenza ci sarebbe tra il critico e lo storico? Bisogna tornare a comprendere è un critico ha un valore molto relativo, vale quanto un pessimo giornalista, la storia l'insegna, il problema è che nessuno studia più la propria storia e che di questa si perde e frammenta quotidianamente il senso.
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