Tutti
a Ponte Chiasso?
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E se dieci gallerie
italiane di un certo peso aprissero una filiale a Ponte Chiasso? Be’,
sarebbe forse un gesto clamoroso, non vi pare, cari colleghi?
Se ci trovassimo in
dieci che vanno d’accordo, con idee simili, che non ne possono più dell’Iva
al 21 e poi il 23% della SIAE che pretende il 4% quando comperi da un
notaio, un altro 4% quando vendi a un avvocato, e farà tra poco 23+8%=
31%!...
Voi mi dite, anzi
mi insegnate, che così andiamo a sbattere, tra poco.
Quando cominceremo
a spararci a una tempia, a impiccarci anche noi o a buttarci giù da un
balcone?
Invece di
suicidarci propongo un’azione clamorosa da un lato e necessaria dall’altro.
Poi ognuno di noi
dieci potrà scegliere se chiudere la galleria in Italia o tenerla.
Intanto avremo
almeno lanciato una provocazione, posto un problema, evidenziato una
situazione insostenibile.
Perché i nostri
colleghi d’oltralpe ci fottono regolarmente vendendo con Iva al 5,5% i
francesi, 7% i tedeschi, 8% gli svizzeri e questi anche senza Siae. Perché
gli americani non hanno né Iva né dds e noi stupidi sì?
Perché una classe
politica di ladri europei ci ha messo nella merda? Da chi hanno preso i
soldi? Perché la lobby degli artisti che conta centomila iscritti ha fottuto
la lobietta dei galleristi che hanno solo duemila associati nella F.E.A.G.A.
(la federazione europea della nostra categoria)?
E dove vanno
veramente i soldi che diamo alla Siae quando questa non trova il de
cuius?
Se aprissimo a
Ponte Chiasso una sede comune, ci organizzassimo delle mostre, bene inteso,
e ci facessimo transitare le nostre vendite, anche quelle verso l’Italia,
risparmieremmo, noi e i nostri collezionisti, una montagna di soldi e
riusciremmo a contrastare la concorrenza che oggi, con i prezzi che girano, ci
supera sempre di un bel 20% circa e scusate se è poco.
Niente di
personale, anzi sono amici, ma quando Dabbeni a Lugano o Verna e Hauser
& Wirth a Zurigo espongono Paolini, Dan Graham o Jason Rhoades, se io
fossi un collezionista milanese ci andrei di volata (naturalmente già lo
fanno... e fanno bene).
Ghada Amer un mese
fa a New York mi chiedeva come mai io non vendo le sue opere mentre Cheim
& Read ne vendono tante proprio agli italiani! E mi chiedeva come mai
noi ci lamentiamo che in Italia il mercato è finito, mentre collezionisti
italiani comperano bellamente più di prima e a manetta.
Dunque chiamiamo
dieci gallerie, non di piu', ma tutte assieme per costituire un fatto
clamoroso.
Già molte gallerie
italiane lo hanno fatto individualmente, alla chetichella, anticipando i
tempi e vedendo lontano.
Sperone in Usa e
Svizzera, De Cardenas in Svizzera, Tornabuoni Svizzera e Francia, Continua
in Francia e Pechino... Altri hanno scelto Londra (De Carlo, Sprovieri,
Corvi Mora, Greengrassi, ma non dimentichiamo John Eskenazi o Pescali...), E
Massimo Martino, caro amico, che lo aveva capito vent’anni fa? Chissà cosa
pensava di noi, quelli che restano, tanto per fare citazioni. D’altronde con
i pezzi e i prezzi che aveva lui dall’Italia non sarebbe mai stato possibile.
Insomma, potremmo
tenere la casa madre qui e una vetrina fuori, altri potrebbero fare il
contrario, dipende dai singoli.
Ma un bel gesto
collettivo farebbe sicuramente notizia.
Sono sempre stato
contrario ad abbandonare l’Italia. Andarsene significa mollarla al suo
destino, spingerla alla deriva.
Però a stare qui
faremmo la fine della Costa Concordia: a forza di fare inchini ce lo
prenderemo nel sedere.
Naturalmente niente
da eccepire, la cosa può anche avere una côté piacevole...
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Massimo
Minini massimo@galleriaminini.it
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mercoledì 25 luglio 2012
Lettera aperta a Massimo Minimi
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